Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere sociale, politico e di attualità, volti a evidenziare e smascherare le mille forme di condizionamento e di manipolazione cui siamo quotidianamente sottoposti, costituendo in tal modo una sorta di pars destruens rispetto alle concezioni e alle idee espresse nella precedente sezione, di cui rappresenta il complemento e l'antitesi, come una sorta di Ombra.

Il navigatore attento non mancherà di trovarvi pensieri e posizioni anche piuttosto antitetici o contraddittori fra loro, secondo un principio di trasversalità intellettuale che ha caratterizzato negli anni la mia ricerca e i miei studi, nonché i molteplici incontri e contatti con personaggi diversi, provenienti da parrocchie e ideologie contrapposte ma tutti animati da un'aspirazione reale e sincera comune.

Questo spiega quindi, in qualche modo, la fondamentale eterodossia di questa rubrica, nonché la sua stessa ragion d'essere: scardinare le coscienze - prima di tutto la mia - per giungere così, forse un giorno, a quella "terra di nessuno" priva di ogni certezza dove ciascuno può ritrovarsi solo di fronte a se stesso e alla verità delle cose.

Può sembrare poca cosa, di fronte alla complessità del reale: ma poiché prima o poi abbandoneremo tutti questo pianeta, meglio prepararci fin d'ora a separarci anzitutto dai nostri schemi mentali.

Ieri, mentre fremevo disperato in mezzo alla strada, inchiodato al suolo, una goccia di pietà cadde dall'alto sul mio viso; non un alito di vento nell'aria, non una nube in cielo… c'era soltanto una presenza. (André Schwartz-Bart, L'ultimo dei giusti, Parigi 1959)

Roma, 13 Settembre 2013

L'Intifada dei coltelli

Categoria: Dissonanze Lunedì, 16 Novembre 2015 Scritto da Pierluigi Gallo Ziffer Stampa Email
E' SUFFICIENTE LA PAROLA INTIFADA PER GIUSTIFICARE LA VIOLENZA QUOTIDIANA IN ISRAELE? CIASCUNO PROVI, IN CUOR SUO, A DARSI UNA RISPOSTA, MAGARI CON UN MINIMO DI ONESTA' INTELLETTUALE
 

Considerati in Europa come le vittime sacrificali per eccellenza, quando si spostano in Asia per costruirvi uno Stato (sotto la benedizione dell'ONU, nda) gli ebrei divengono automaticamente carnefici, costretti a scusarsi e a discolparsi col mondo intero per il solo fatto di esistere, per una sorta di colpa originaria cui non ci si può sottrarre.

Dov'è l'inganno in tutto ciò?

Voglio subito dire, a scanso di equivoci, che personalmente ritengo, nella mia ignoranza, che la questione palestinese vada assolutamente risolta, senza se e senza ma: sul come, sul chi o sul quando possiamo discutere all'infinito, ma non c'è dubbio che questo problema vada risolto e dissolto una volta per tutte.

Dopodiché, fatte salve tutte le considerazioni possibili sull'impotenza e il rancore dei palestinesi, sulla politica degli insediamenti in Cisgiordania e West Bank o sul ruolo della CIA e del Mossad nell'esplosione della crisi siriana, io mi domando in cuor mio:

è sufficiente tutto questo per giustificare e comprendere la nuova ondata di violenza in Israele, la cosiddetta "Intifada dei coltelli", diretta contro civili inermi – oltre che militari – al solo scopo di uccidere e seminare il panico, ovunque e comunque, senza distinzioni di sorta?

Esiste forse una differenza sostanziale fra queste azioni in Israele e le altre forme del terrorismo globale? E' mai esistita – mi sento di aggiungere – una differenza sostanziale anche in passato, che le giustificasse in nome di una qualche nobile causa?

C'è ancora qualcuno che si ricordi, ad esempio, della strage di Monaco nel '72 e di quelle Olimpiadi macchiate di sangue? E quante furono le giustificazioni e i distinguo, anche allora?

E ancora: è sufficiente la periodica condanna internazionale della politica israeliana per rendere legittimo tutto ciò? Oppure, per caso, qualunque cosa compiuta da ebrei è sempre colpevole, a prescindere?

Che strano destino, del resto, è codesto: in quanto ebrei vengono amati e ammirati, ma come israeliani vengono odiati e accusati - uno strano mistero davvero!

Da parte mia, viceversa, più mi dissocio personalmente, e nel contempo mi indigno, per una politica sconsiderata come quella degli insediamenti in Cisgiordania, più mi meraviglio – non so trovare parola migliore – per l'incapacità occidentale di riconoscere la sofferenza di Israele, la sua sofferenza tout court intendo dire, senza  necessità di addurre giustificazioni o distinguo.

Generazioni intere di cittadini che nascono, invecchiano e muoiono in mezzo alle armi, alla violenza e alle bombe, giorno dopo giorno, anno dopo anno, decennio dopo decennio, lustro dopo lustro, per il solo fatto di voler vivere e sopravvivere in uno Stato sovrano (con tutte le mille contraddizioni del caso, ovviamente): giovani, adulti e anziani, tutti riuniti in uno stesso estenuante destino, che si perpetua negli anni e avvelena la vita e le attese di intere generazioni, non molto dissimili in apparenza da quelle occidentali ma profondamente diverse per il tasso di violenza che le circonda.

Ognuno di noi è chiamato a riflettervi, non fosse altro perché ci ritroviamo ormai tutti nella stessa barca: senza dimenticare, per contro, le parallele sofferenze di quell'altro popolo, quello  palestinese, per cui l'inizio del sogno sionista ha rappresentato la fine di ogni speranza di identità  nazionale.

Ma degli sconfitti sappiamo un po' tutto, e non di rado parteggiamo per loro: per una volta, invece, facciamo qualcosa di inaspettato, immedesimiamoci un po' nei "cattivi", dentro il dolore dei vincitori, e vediamo per caso se hanno un cuore anche loro.

Ne rimarremo stupiti, io credo, e impareremo forse qualcosa.

Roma, 16 Novembre 2015
www.pierluigigallo.org