di Piero Boldrin, 11 Dicembre 2014
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Per comprendere il fenomeno della Cavalleria, bisogna rapportarsi al fatto che essa, prima ancora di essere una istituzione storicamente definita, fu l’incarnazione della ricerca di un’idea di perfezione, la risultante di un Archetipo di Giustizia da riportare sulla terra.
Essenzialmente l’idea cavalleresca era legata a valori quali l’amicizia, la lealtà verso l’avversario, il rispetto per la parola data, la pietà verso il nemico vinto, la protezione verso i deboli, gli indifesi, gli orfani e le vedove, e di tutto ciò che poteva rappresentare il sostegno del Popolo di Dio.
Innestandosi su di una realtà religiosa, o collegata ad una fratellanza d’armi, si ha l’embrione di quello che sarebbe stato il delinearsi di questo complesso fenomeno, in ciò che si potrebbe definire il suo ingresso nella fase storica.
Per accedere alla comunità cavalleresca era necessaria una vera e propria iniziazione, conferita sotto la forma di una investitura spirituale, che comportava il superamento di prove atte a sondare la volontà e la capacità di adempiere agli obblighi che la condizione di cavaliere avrebbe comportato.
Tale investitura poteva avvenire sul campo, o da parte di un Signore, oppure da un Vescovo (Pontificale Romanum), oppure da un Cavaliere già consacrato, a conclusione di un tirocinio iniziato fin dall’adolescenza.
La preparazione del giovane cavaliere era complessa, ed iniziava infatti fin dall’infanzia.
Partendo da tenerissima età, il ragazzo attraversava i tre gradi di damicellus (paggio), vassaletus (valletto), e armiger (scudiero), nel corso dei quali apprendeva non soltanto l’uso e la manutenzione delle armi, ma regole di cortesia e precetti religiosi.
Veniva quindi consacrato cavaliere intorno ai quindici-sedici anni.
La tendenza generale, tuttavia, considerate le mansioni pratiche che il cavaliere era chiamato a svolgere, era quella di ritardare il tempo dell’investitura intorno ai ventuno anni.
Per la sua natura religiosa, oltre che militare, la vestizione - com’era chiamata l’iniziazione cavalleresca - era già considerata alla fine del X secolo un “ottavo sacramento”.
Il candidato vi si preparava con una notte di veglia in armi nella cappella di famiglia, inginocchiato davanti all’altare.
Veniva poi purificato con un bagno rituale, confessato e comunicato.
Seguiva una messa solenne, al termine della quale avveniva la vestizione vera e propria, che consisteva nella consegna da parte del sacerdote della spada consacrata, degli speroni, dello scudo, della lancia e delle varie parti dell’armatura, che il giovane avrebbe indossato.
La cerimonia si concludeva infine con l’accollata o palmata, cioè con un colpo inferto con il palmo della mano dal padrino sulla nuca del neofita, o anche di piatto con la spada sulla spalla. Era consuetudine che il colpo fosse di una certa forza, tanto da far vacillare il ricevente.
Poteva essere anche il sacerdote a chiudere la cerimonia, invece del padrino, cingendo in vita la spada al candidato e rivolgendogli due semplici parole. “Sii Cavaliere”.
Veniva scelta solitamente per tale cerimonia, una ricorrenza religiosa di una certa importanza, come Natale o la Pentecoste, o anche di qualche santo, ma spesso avveniva sul campo, dove i giovani venivano impegnati in battaglia, nel loro battesimo di guerra.
Reputiamo degno di nota, dal punto di vista Tradizionale ed Iniziatico, il ricordare i cinque momenti della cerimonia d’Investitura del “Pontificale Romanum”, in quanto rappresentano veramente i Canoni carismatici della Trasmissione:
- Benedizione della Spada (sacralizzazione dell’Opera)
- Consegna della Spada (Forza Manifestatrice Divina)
- Collata (il Vescovo colpisce tre volte la spalla del postulante)
- Lo schiaffo (nella Collata viene colpito l’uomo vecchio per farlo morire, e lo schiaffo significa il riscuotersi dal sonno dello spirito)
- Imposizione degli speroni (i Cavalieri presenti consegnandogli gli speroni lo accettano ufficialmente).
Il motivo per cui venne avvertita l’esigenza di creare una nuova Cavalleria Celeste, costituita da monaci guerrieri, è dovuta alla decadenza morale ed alla vanità nella quale erano caduti i cavalieri.
Il primo nucleo di cavalieri che aderirono all’iniziativa di Hugues de Payns (sarebbero stati nove di numero, secondo alcune fonti) ebbe subito a Gerusalemme l’appoggio di re Baldovino, del patriarca e dell’alto clero, dei canonici del Santo Sepolcro: il re assegnò loro degli alloggi nel proprio palazzo, presso la moschea di AL-AQ-SA dove un tempo sorgeva il Tempio di Salomone, ed i canonici del Santo Sepolcro concessero loro di occupare le vastissime scuderie nel sottostante sotterraneo.
Il re e il patriarca provvedevano poi alle loro necessità materiali, avendo essi fatto voto di povertà assieme a quelli di castità e di ubbidienza ed a quello specifico della difesa armata dei pellegrini (circa nell’anno 1118-1119).
All’inizio la piccola comunità non aveva un nome definito (gli adepti sono nominati ora come “Poveri cavalieri del Cristo”, ora come “Soldati di Dio e del Tempio di Salomone”), né una regola propria (era infatti adottata quella di sant’Agostino), né infine una veste religiosa particolare.
Si può parlare di un ordine monastico in senso stretto solo con il Concilio di Troyes, tenutosi nel 1128 sotto il pontificato di Onorio II, e da quel momento la comunità di coloro che ormai erano noti come Templari ebbe il riconoscimento ufficiale della Chiesa e si accinse a darsi una sua Regola, con l’aiuto di San Bernardo di Clairvaux.
Piero Boldrin
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