Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le proprie idee, o le sue idee non valgono niente, oppure non vale niente lui (Ezra Pound)
In quest'epoca di "quote rosa", di "pari opportunità" e di diffuso e programmatico sdoganamento, in tutte le salse e a tutti i livelli, delle virtù "femminili" del matriarcato in ascesa - qual è quella in cui stiamo vivendo attualmente - è bene ogni tanto ricordare in cosa consiste quella virtù propriamente maschile, che gli antichi greci definivano andreia e i latini virilitas, che rappresenta l'attitudine e la propensione al coraggio, alla forza e all'intrepidezza propria degli antichi eroi del passato, secondo quella componente virile - virtualmente maschile, ma non necessariamente confinata in un'identità di genere - che si applica per estensione a ogni uomo o donna che voglia intrinsecamente definirsi tale, e che il pensiero unico dominante sta cercando invece in tutti i modi, più o meno palesemente e spudoratamente, di demonizzare, rimuovere ed esorcizzare dalla cultura e dalla coscienza collettiva contemporanea.
Perché poi lo faccia, è presto detto: lungi infatti dal voler onestamente e sinceramente riscoprire il valore e il significato profondo del principio femminile nella nostra società, emarginato e represso nelle epoche precedenti (e ancor di più in verità, malgrado le apparenze, nell'età contemporanea), l'ideologia del pensiero unico tende invece a svirilizzare, depotenziare e reprimere "dalla culla alla tomba" ogni possibile forma di identità maschile, bollandola come sessista, autoritaria o "patriarcale" e depotenziandone così la potenziale spinta eversiva, per sostituirla con l'immagine del maschio buonista, effemminato e transgender, che tanto piace al laicismo imperante, tramite cui trasformare e orientare i gusti e le tendenza sociali secondo i propri interessi politici ed economici di dominio.
E quel che è peggio - e veramente drammatico - è che l'alleato più forte in questo processo di svirilizzazione collettiva della società contemporanea è identificato, dal pensiero unico dominante, proprio in quella community progressista (che definiamo semplicemente tale, perché chiamarla "ideologia" ci sembra francamente troppo, mancandole il benché minimo tipo di riferimento filosofico o programmatico alla base) che vorrebbe invece presentarsi come l'erede dei movimenti di protesta o di rivolta del passato, prontamente utilizzati peraltro, una volta esauritasi la loro spinta iniziale, come strumenti di controllo delle coscienze in senso "riformista", liberista e controrivoluzionario dal potere mondialista dominante.
Trasformare il maschio in una sorta di "paciocchino morbidoso", in un "gabibbo" buonista e svirilizzato, fino a demonizzarne ogni possibile tendenza aggressiva e potenzialmente antagonista a livello politico, culturale e sociale, significa infatti riuscire a creare un tipo d'uomo sostanzialmente accomodante e compiacente, che si sforza di rendersi gradevole sul piano estetico e si presenta formalmente corretto sul piano politico e culturale, salvo poi riversare in esplosioni incontrollate di rabbia e furore – nelle fasce più deboli ed emarginate della società - tutta la l'impotenza e la frustrazione derivanti da questa sua impossibilità di esprimere la propria virilità in modo costruttivo e socialmente riconosciuto, ottenendo con ciò il duplice obiettivo di frustrarlo e sottometterlo, da una parte, e di trasformarlo contemporaneamente in un mostro, per rafforzare così la tesi della sua intrinseca pericolosità sociale, dall'altra.
In tutto ciò il ruolo del matriarcato in ascesa non è, peraltro, affatto secondario: non si tratta infatti, come s'è detto poc'anzi, di trascurare o negare l'importanza e la necessità che il modello femminile d'interpretazione della realtà possa e debba giustamente e pienamente esprimersi nella società contemporanea, permettendo così alle donne e ai loro valori di manifestarsi e valorizzarsi in tutta la loro importanza, ma di divenire coscienti di quanto i principi affermati dal laicismo imperante non siano affatto "femminili" in senso proprio ma anzi, al contrario, siano delle vere e proprie forme di "patriarcato rosa", ossia di matriarcato, e come tali legate e determinate da una precisa logica di dominio.
Sostituire un potere a un altro, infatti, crea nuovamente un potere: non si tratta quindi di sostituire, per dirla con Marx, un capitalismo privato con un capitalismo di Stato, ma di distruggere alle radici la necessità stessa di un homo oeconomicus, soggetto ai condizionamenti dell'alienazione sociale – il che, trasportato nel campo del rapporto fra i sessi nella società contemporanea, equivale a dire che sostituire il patriarcato con il matriarcato non può che peggiorare ulteriormente le cose, poiché nasconde, sotto personaggi e ruoli in apparenza femminili, una malcelata riproposizione dei modelli maschili del potere, dell'arroganza e della sopraffazione, declinandoli semplicemente secondo un'apparente diversità di genere, che tutela invece tutte le forme e gli schemi di comando propri della peggiore eredità maschilista.
L'unico modo di far fronte a ciò è dunque riscoprire davvero, prima che sia troppo tardi, l'aspetto archetipico dei due principi opposti e complementari del Maschile e del Femminile a livello fisico, psichico e spirituale, affinché entrambi possano essere espressi pienamente e liberamente iuxta propria principia, impedendo così un'alterazione artificiale e artificiosa delle rispettive identità di genere, e la conseguente manipolazione strumentale da parte del pensiero unico dominante tramite i ben noti mezzi di comunicazione di massa e le loro occulte strategie mediatiche.
E la funzione dell'andreia maschile nel testimoniare nei fatti la sopravvivenza di un ethos virile nella società del nostro tempo consiste proprio in questo: manifestare all'esterno il proprio coraggio, che in questo momento di crisi significa forse, molto semplicemente, il coraggio di avere coraggio.
Roma, 11 Aprile 2014
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