Etnomusicologia


Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

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Disciplina musicologica che ha come proprio oggetto di studio la musica di tradizione orale, cioè tutta la musica che risulta prodotta in aree o culture poste al di fuori della tradizione musicale europea scritta e di tipo colto; l'indagine etnomusicologica si rivolge dunque verso la musica delle popolazioni cosiddette ''primitive'', la musica orientale e il folklore musicale delle popolazioni ''euro-bianche'' dell'Occidente.

Questa disciplina ebbe origine in Inghilterra e in Germania sul finire del secolo 19°, quando si sviluppò, a opera di storici della musica, di fisici acustici e di psicologi, la cosiddetta ''musicologia comparata'' (vergleichende Musikwissenschaft) che, nel più vasto ambito del contemporaneo sviluppo delle scienze storiche, si proponeva lo studio delle musiche extraeuropee e la loro comparazione con le musiche europee colte e popolari.

L'interesse verso la musica di continenti e civiltà extraeuropei si era del resto già sviluppato intorno alla metà del Settecento, per effetto combinato del mito illuminista del ''buon selvaggio'' e dell'interesse per una forma generica di archeologia musicale (cfr. J.-J. Rousseau, Dictionnaire de la musique, Parigi 1768). Per quasi tutto l'Ottocento, tuttavia, persistette tra gli studiosi una visione del tutto approssimativa delle musiche primitive ed extraeuropee, viziata, peraltro, da un giudizio estetico negativo. Visione gradualmente sostituita sul finire del secolo da un approccio sempre più oggettivo e scientifico da parte degli storici della musica, direttamente influenzati dalle teorie evoluzionistiche e comparativistiche (da essi applicate alle tradizioni musicali delle antiche civiltà mediterranee e alle musiche primitive ed extraeuropee) del pensiero di Darwin e Spencer (Stumpf 1885).

L'assetto attuale assunto dalla disciplina è frutto del decisivo lavoro di due importanti generazioni di studiosi: i pionieri della ''musicologia comparata'' tedesca, riuniti nella cosiddetta ''Scuola di Berlino'' (1900-33), quali C. Sachs, C. Stumpf, E.M. von Hornbostel, O. Abraham, R. Wallascheck, cui va il merito di aver creato nella capitale tedesca i famosi Phonogramm Archiv (1901), le prime fonoteche di etnografia musicale (a queste ne seguiranno molte altre in Europa e negli Stati Uniti), e la successiva generazione, formatasi alla scuola berlinese ma in gran parte costretta a trasferirsi negli Stati Uniti, per ragioni razziali, dopo l'avvento del nazismo nel 1933, di R. Lachmann, J. Kunst, G. Herzog, M. Kolinsky, M. Schneider e altri, che diedero vita negli Stati Uniti a un nuovo capitolo dell'e., che appare caratterizzato da un maggior legame con l'antropologia sociale e da un'impostazione della ricerca fortemente interdisciplinare (Kunst 1959).

Contemporaneamente l'e. europea riceveva nuovi e determinanti impulsi da parte degli ungheresi B. Bartók, Z. Kodály e del rumeno C. Brăiloiu, i cui interessi furono rivolti principalmente verso i problemi della raccolta e della trascrizione del materiale e verso gli aspetti sociologici degli eventi musicali, e da parte del capostipite dell'e. francese A. Schaeffner, già collaboratore di C. Sachs e fautore di una sistematica ricerca organologica. Con essi si chiude la fase ''storica'' dell'e. moderna; tutte le successive diversificazioni regionali assunte dall'e. in Europa e in USA hanno infatti preso avvio da questo nucleo iniziale di ricercatori e di studiosi, che possono quindi essere considerati come i capiscuola dell'e. contemporanea.

Per quanto riguarda l'Italia è solo nella seconda metà dell'Ottocento che s'incontrano, in un clima di positivismo comparativistico, i primi musicistietnografi e trascrittori di musica popolare che operino un'indagine diretta ''sul campo'' per la raccolta dei documenti. Prima di essi vi era stata solo una generica tradizione di interessi amatoriali, che risultavano per lo più viziati da una visione ''eurocentrica'' nella raccolta delle musiche, per altro spesso notevolmente deformate dalla matrice colta degli arrangiamenti e delle armonizzazioni operate dai trascrittori.

Tra i ricercatori del periodo positivistico, che operarono sulla scia degli studi di ''tradizioni popolari'' iniziati nel 1871 dal folklorista siciliano G. Pitrè, vanno ricordati A. Favarra e M. Ferrara, ambedue attivi in Sicilia a cavallo tra il 19° e 20° secolo, mentre è solo negli anni Trenta che appare la cosiddetta ''generazione di mezzo'', legata ai nomi di F. B. Pratella, G. Nataletti, L. Colacicchi, la cui principale preoccupazione, oltre che la raccolta del materiale, sarà quella di recuperare il ritardo dell'e. italiana attraverso un'opera di aggiornamento alla luce degli studi sviluppatisi fuori d'Italia.

Nel 1948 venne creato, presso l'Accademia di Santa Cecilia in Roma, il Centro nazionale studi di musica popolare; con questo prese avvio un progressivo processo di raccolta sul campo e di documentazione, compiuto soprattutto in Italia centro-meridionale da un gruppo di ricercatori la cui prospettiva etnico-meridionalistica e la cui impostazione interdisciplinare derivavano dalla collaborazione con l'etnologo e storico delle religioni E. de Martino, che ha avuto, e ha tuttora, una profondissima influenza nel complesso delle discipline demoantropologiche italiane; tra questi ricercatori citiamo D. Carpitella, il cui apporto alla nascente e. italiana è a tutt'oggi insuperato.

Come disciplina autonoma l'e. ha raggiunto lentamente, ma ormai definitivamente, l'emancipazione dalle preesistenti discipline folkloriche e musicologiche, dalle quali si stacca come semplice branca specializzata di ricerca per assurgere a scienza vera e propria; infatti, rispetto all'insieme delle discipline folkloriche (storia delle tradizioni popolari, storia del folklore, demologia) che affrontano lo studio della cultura popolare in maniera globale e complessiva, l'e. compie un'analisi particolare e specifica della produzione etnografico-musicale che, pur se inserita all'interno di un contesto socio-culturale più vasto, conserva tuttavia un suo linguaggio e un suo spessore autonomi, oltrepassando in tal modo i limiti della ricerca folklorica.

Inoltre lo studio della musica considerata di per se stessa fa dell'e. una disciplina specialistica, dato il grado di competenza musicale specifica richiesto, mentre rispetto alla musicologia essa differisce notevolmente non solo per l'area di ricerca e d'indagine, ma anche per la metodologia, rivolgendosi l'e. verso il ''campo di suoni'' al di fuori dell'esperienza euro-colta occidentale e assumendo pertanto un carattere largamente interdisciplinare e polispecialistico.

Tre sono i momenti sostanziali attraverso i quali si sviluppa la ricerca etnomusicologica: a un primo stadio di raccolta sul campo, consistente nella registrazione di canti, danze e musiche strumentali nell'ambiente fisico e sociale degli ''informatori'' stessi, ne succede un secondo fondato sulla notazione e sulla trascrizione del materiale raccolto, cui segue infine un terzo momento di elaborazione e di interpretazione dei dati, che rappresenta la fase conclusiva dell'indagine etnomusicologica. Per quanto riguarda il primo livello della raccolta sul campo, possiamo affermare che la storia effettiva dell'e. ha avuto inizio nel 1890 con l'impiego, da parte dei ricercatori, del fonografo Edison, successivamente sostituito dai mezzi di registrazione elettronica su nastro magnetico, che consentiva di non doversi più affidare semplicemente alla personale capacità di memorizzazione o abilità di trascrizione, spesso viziate da reminiscenze stilistiche e formali di natura colta, ma di potersi basare su testimonianze oggettive e fedeli, con le quali supportare il momento vero e proprio della trascrizione e dell'analisi del materiale taccolto.

Rispetto a questo secondo stadio della notazione e della trascrizione l'e. ha infatti stabilito dei criteri precisi e definitivi di lavoro, che si sono andati formando nel corso del tempo come veri e propri principi metodologici (cfr. Hornbostel, Bartók, Brăiloiu): le trascrizioni manuali, pur necessitando dal punto di vista grafico dell'uso di indispensabili segni diacritici che consentano la notazione di eventi musicali di tradizione orale, estranei alle convenzioni musicali del sistema colto occidentale, debbono considerarsi di per se stesse insufficienti, e vanno pertanto verificate con le relative registrazioni sonore, da considerarsi assolutamente necessarie per una corretta valutazione del documento etnografico-musicale. Ciò è indicativo dell'importanza che l'''oralità'' riveste nell'e., non solo al momento dell'esecuzione e della trasmissione del brano, ma anche al momento dell'interpretazione e dell'analisi di esso.

Relativamente alla tassonomia etnomusicologica, l'esigenza di studiare il rapporto tra la musica in quanto tale e il suo contesto sociale ha portato in questi ultimi anni l'e. a precisare e a definire maggiormente la funzione svolta dalla musica in una determinata cultura e l'occasione in cui essa viene eseguita (''funzione-occasione''), affrontando l'analisi del ''testo'' etnografico-musicale all'interno di un determinato ''contesto'' socio-culturale, attraverso l'impiego delle tecniche dell'indagine sociologica ed etnografica; ed è proprio sulla base del rapporto ''testo/contesto'' che l'e. si trova a dover scegliere tra diversi sistemi di classificazione del materiale, dovendo tener conto sia del testo musicale e verbale (scale, ritmo, variazioni, ecc.) che del contesto sociale (funzione e occasione della musica, riti religiosi, feste calendariali o stagionali, ecc.).

A questo riguardo, la tassonomia etnomusicologica euro-colta si riconduce alle classificazioni simboliche, mitiche o magiche che dello stesso materiale musicale fanno le società ''primitive'', in cui rientrano, per es., il significato simbolico del suono e degli strumenti, la segretezza rituale di alcuni modi di esecuzione, il feticismo di alcuni repertori, la funzione terapeutica del suono; tali criteri si ritrovano anche nella musica orientale e nel folklore europeo, e mettono in evidenza come il ''modo di esecuzione'' sia da considerare un elemento di classificazione decisivo, viste le implicazioni extramusicali di carattere simbolico e rituale che esso comporta nei sistemi culturali basati su tradizione orale.

Un ultimo elemento di grande rilevanza nell'indagine etnomusicologica è dato dalle varianti e microvarianti (a carattere strutturale od ornamentale), dalle quali è possibile dedurre i margini di improvvisazione all'interno di modelli tradizionali fissi, nonché l'entità dell'alterazione e della variazione, sia a livello melismatico che a livello ritmico-tonale; da un punto di vista formale le varianti possono infatti considerarsi come determinanti, poiché la loro variazione può dar vita a forme bipartite, tripartite o polipartite a seconda dei casi, offrendo la possibilità di continue modificazioni strutturali.

Bibl.:A. J. Ellis, Tonometrical observations of some existing non-armonic scales, Londra 1884; C. Stumpf, Music Psychologie in England, Berlino 1885; R. Wallaschek, Primitive music, Londra 1893; C. Stumpf, E. M. Hornbostel, Über die Bedeutung ethnologischer Untersuchungen für die Psychologie und Aesthetik der Tonkunst, Berlino 1911; B. Bartók, Cantece popolare romanesti din Comitatul Bihor, Bucarest 1913; E. M. Hornbostel, C. Sachs, Systematik der Musikinstrumente, Stoccarda 1914; M. Schneider, Geschichte der Mehrstimmgkeit, Berlino 1934; G. Herzog, Speech melody and primitive music, Washington 1934; A. Schaeffner, Origines des instruments de musique, Parigi 1936; B. Bartók, Scrieri màrunte despre muzica popularà romaneascà, Bucarest 1937; C. Sachs, The history of musical instruments, New York 1940; A. Schaeffner, La musique noire d'Afrique, Parigi 1946; C. Bráiloiu, Le giusto sillabique bichrone, ivi 1952; J. Kunst, Ethnomusicology, New York 1959; C. Sachs, The wellsprings of music (An introduction to ethnomusicology), L'Aia 1962; B. Nettl, Theory and method in ethnomusicology, New York 1964; A. P. Merriam, The antropology of music, Evanston 1964; M. Hood, The ethnomusicologist, New York 1971; R. Leydi, Il Folk music revival, Firenze 1973; D. Carpitella, Musica e tradizione orale, Palermo 1973; C. Brăiloiu, Folklore musicale, trad. it., Roma 1972; D. Carpitella, L'etnomusicologia in Italia, Palermo 1982; Strumenti musicali e tradizioni popolari in Italia, a cura di R. Leydi e F. Guizzi, Roma 1986.