Le parole proibite: disciplina, autorità, obbedienza
Consiglio Centrale Sathya Sai Italia, Dicembre 2007
Le seguenti riflessioni vogliono introdurre, seppur parzialmente, la tematica della differenza fra educazione e istruzione nella cultura contemporanea, come premessa al successivo lavoro che porteremo avanti negli anni.
La trasformazione del concetto di educazione in quello di istruzione non è infatti semplicemente la conseguenza di circostanze contingenti (economia di mercato, nuove tecnologie, ecc.), bensì il frutto di un processo che affonda le sue radici in una ben precisa concezione del mondo e della società, identificabile nella cosiddetta ideologia liberista, che mira al perseguimento dell'esclusivo utile economico come valore fondante dell’intera società.
In seguito alla “crisi delle ideologie” del Novecento, che ha portato alla scomparsa dei totalitarismi europei, capitalismo e liberismo regnano infatti incontrastati nel panorama mondiale contemporaneo; essi affondano le loro radici a livello economico nella rivoluzione industriale, a livello politico nelle rivoluzioni americana e francese, a livello filosofico nell’utilitarismo e nell’individualismo, a livello culturale nell’illuminismo, e possono essere considerati alla base della concezione del mondo dominante nella società contemporanea.
Nell’attuale fase storica, tale ideologia si manifesta attraverso il processo di "globalizzazione planetaria" in atto, che comporta il progressivo sfaldamento e disgregazione delle identità nazionali, religiose e culturali dei popoli, e la conseguente perdita di ogni riferimento spirituale di ordine superiore: in questo contesto la crisi del concetto di educazione è dunque collegata con la più ampia crisi generale della società moderna, della quale essa è specchio fedele e inequivocabile.
L’attuale situazione di crisi dell’educazione, e più in generale dell’intera società contemporanea, deriva dunque innanzitutto dalla perdita di valori autentici e condivisi fra le famiglie, gli insegnanti, gli alunni e la società, sostituiti da un insieme di disvalori artificiali e fittizi a carattere individualistico, edonistico, materialistico e relativistico: secondo la concezione del mondo moderna è infatti necessario unicamente istruire i cittadini, senza trasmettere loro alcun valore fondante, poiché ciò sarebbe un’indebita ingerenza nella pretesa "libertà di coscienza" dell’individuo.
Ormai, per esempio, nella scuola moderna non si può più parlare di educazione, ma solo di istruzione, perché l’ideologia della post-modernità ha paura dei valori e delle identità, in una parola del cosiddetto “pensiero forte”: anzi, ne ha addirittura il terrore, perché sa che tutto questo potrebbe mettere irrimediabilmente in crisi la cultura relativistica, individualistica, utilitaristica e materialistica su cui essa si fonda, senza la quale essa sarebbe nient’altro che un castello di carte.
E allora ecco che qualunque riferimento a concetti come disciplina, autorità, obbedienza, dovere, tradizione è bollato come oscurantista, passatista, conservatore o addirittura reazionario, e si tende da ogni parte a minare alla base ogni possibile traccia di riferimento tradizionale, identitario o religioso nella cultura dei popoli e delle nazioni, per sostituirli con una non meglio identificata “cultura moderna”.
Quest’ultima infatti, rompendo con la tradizione, con i valori trascendenti e con la stessa idea di Dio, tende a mettere in dubbio ogni verità e a relativizzare ogni certezza (donde la definizione di “pensiero debole”), prefiggendosi a tal fine, nell’attuale fase storica, addirittura l’abbattimento di ciò che resta della tradizione religiosa nella società (innanzitutto la Chiesa cattolica e la Sharia islamica, ma anche l'Ortodossia in Russia e lo stesso Induismo in India), per spianare definitivamente la strada, a livello planetario, all’ideologia consumistica, materialistica, edonistica e relativistica di cui essa è portatrice.
Vale la pena citare, a questo proposito, una frase emblematica di Pier Paolo Pasolini che, non certo da una posizione clericale o papista, così affermava, in tempi non sospetti: la Chiesa potrebbe diventare in futuro la guida grandiosa di tutti coloro che rifiutano il consumismo, potere irreligioso, totalitario e violento2 (intendendo per "Chiesa", in questo caso, non tanto l’istituzione religiosa in quanto tale, quanto piuttosto il sistema di valori cui essa fa riferimento). Ciò a sottolineare, esclusivamente, quanto la critica della modernità contemporanea sia attualmente sentita e diffusa, quanto sia trasversale e quanto investa ogni settore della nostra società.
D’altra parte il termine “crisi” indica la rottura di un equilibrio esistente al fine di ricrearne un altro su un piano superiore, e dunque non ha unicamente una connotazione negativa: una condizione di crisi, infatti, comporta di per sé la necessità del suo superamento, e quindi determina la nascita di nuove soluzioni innovative, nelle quali i punti di debolezza possono trasformarsi in punti di forza.
Ciò è però possibile soltanto se non si confondono fra loro due termini apparentemente equivalenti, e cioè “coscienza della crisi” con “ideologia della crisi”, ossia se non si persegue l’esaltazione e la valorizzazione della crisi in quanto tale, ma la si considera come il campanello d’allarme di una condizione di degrado da superare: mentre infatti prendere coscienza di una condizione di crisi è una cosa positiva - poiché tende a risolvere il conflitto in atto -, giungere invece a ideologizzarla diventa una cosa negativa, perché tende ad accentuare e radicalizzare tale conflitto.
Ciò viene espresso chiaramente anche dalle seguenti parole di Giorgio Chiosso, docente di Scienza dell'Educazione presso l'Università di Torino, con le quali concludiamo questa prima parte della nostra relazione:
Ci sono parole che stanno silenziosamente scomparendo dal vocabolario della cultura educativa e pedagogica, giudicate ormai residuali e, come si dice, inadeguate rispetto alle esigenze ed alle sfide del tempo. Espressioni come “tradizione, dovere, autorità, volontà, maestro”, che per secoli hanno segnato il tempo della pedagogia occidentale, non godono di buona salute.
Da una parte esse stanno subendo l’erosione della cultura relativistica e individualistica del nostro tempo e, dall’altra, sono abbandonate nell’uso corrente anche da quanti, pur non riconoscendosi negli esiti decostruttivi di tanta parte della cultura contemporanea, sono vittime di un rassegnato senso di impotenza di fronte alla complessità odierna.
Se scompare l’”eterno nell’uomo” non vi sono altre ragioni per educarlo, se non quelle dell’utile economico.3
(1. segue)
Oriolo Romano (VT), Novembre 2007
1 Relazione sul Programma Educare, Consiglio Centrale Sathya Sai Italia, Oriolo (VT), Dicembre 2007
2 P.P.PASOLINI, 22 settembre 1974. Lo storico discorsetto di Caselgandolfo, in Scritti Corsari, 1975
3 G.CHIOSSO, Le parole proibite, in Nuova Secondaria n.1 (15.9.07)