Caratteri estetici e compositivi della musica
di Claude Debussy
(nell'analisi del Prélude à l'après-midi d'une faune)
Tesi intermedia del corso di Storia della Musica, prof. Pierluigi Petrobelli,
Università La Sapienza, Roma Giugno 1984 (Audio)
Questo breve studio di alcuni aspetti dell'opera e della poetica di un compositore così particolare come fu Claude Debussy non si propone certamente di rivelare verità nascoste o ignorate dalla critica e dagli studiosi, ma semplicemente di sottolieare alcune caratteristiche proprie del suo linguaggio compositivo e di evidenziare le molteplici influenze artistiche e culturali che sono confluite nel complesso della sua opera.
Insieme a Strawinsky e Schönberg, Debussy viene considerato infatti come una pietra miliare della musica del nostro secolo; una musica di cui spesso si critica la mancanza di continuità col passato, mentre in realtà essa è solo la logica conseguenza di un processo di emancipazione del risultato sonoro rispetto alle categorie formali e concettuali che lo avevano precedentemente determinato e canonizzato.
L'opera "demolitrice e rivoluzionaria" di Debussy rappresenta in realtà una ricerca di nuove fondamenta per ricostruire l'edificio sonoro, ormai incrinato dalle riforme wagneriane e dall'ingresso nella sfera "colta" di componenti musicali di tradizione orale, sulla base non più accademica e scolastica di un linguaggio comunemente accettato, ma di una volontà espressiva individuale e libera che tenga conto solo della realtà sonora in quanto tale, e tralasci ogni schematismo formale o ideologico anteriore al fatto musicale.
Questo non vuol dire tuttavia che egli avesse intenzione di fare tabula rasa delle regole e delle forme del passato, e di molti suoi contemporanei: significa solo che sentiva l'esigenza, allora comune a molti campi dell'arte, di restituire un valore intrinseco ed "ontologico" alla musica e al musicista, sfrondandoli entrambi da ogni aspetto accessorio slegato dal fatto puramente acustico e musicale.
Il presente lavoro si svolgerà dunque in modo da presentare un quadro complessivo dell'epoca e dei diversi problemi e aspetti inerenti al compositore francese e all'ambiente europeo fin de siecle, per giungere, attraverso l'analisi del Prélude à l'après-midi d'une faune, a cogliere sulla partitura le innovazioni presenti nello stile di Debussy.
Parallelismi tra campi culturali e artistici diversi, approfondimento di alcuni aspetti piuttosto che altri ed evidenti limitazioni nell'elaborazione di un materiale così ampio sono quindi previsti in partenza nella natura stessa di questo lavoro.
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Essenza di rose per fanciulle:1 così il compositore futurista Balilla Pratella definì la musica di Claude Debussy. E così è stata considerata, per tanto tempo, la sua musica; qualificandolo come impressionista e naturalista i critici hanno voluto vedere in lui un'immagine che non gli apparteneva se non in parte; e la sua musica è stata associata a un ambiente artistico, quello impressionista, che, se pure aveva delle premesse operative cui Debussy si accosterà decisamente (orientamento realista, rifiuto dell'accademismo, uso dei colori puri), nello stesso tempo era ben lontano da quella sublimazione della realtà, da quel preziosismo e da quel langueur che caratterizzavano la corrente parnassiana e simbolista, alla quale è più opportuno avvicinarlo, soprattutto perché egli stesso ebbe stretti legami e frequenti contatti con i poeti simbolisti (Mallarmé, Pierre Louys) e si interessò alle loro tematiche.
Liberando la parola dal concetto che essa esprime e valorizzandone in pieno l'aspetto musicale, i poeti simbolisti realizzarono infatti l'identità fra "significato" e "significante" (per usare i termini di de Saussure), tra concetto e fonema, precorrendo così quell'"identità del gesto" (inteso come atto definito e in sé concluso) che sarà propria della poesia americana del dopoguerra e dello stesso action painting pittorico.
Nello stesso tempo, in campo figurativo, le stampe di Beardsley, i "Notturni" di Whistler, le atmosfere macabre e caricate di Moreau creavano suggestioni ambigue e quasi morbose, nelle quali la raffinata eleganza del segno (derivata in gran parte dall'ampia diffusione delle pitture giapponesi) si mischiava a una sensibilità crepuscolare e malata, di cui il "Vate" D'Annunzio fu il maggiore interprete letterario d'oltralpe.
Tutti questi aspetti sono stati sufficientemente messi in luce attraverso pubblicazioni e mostre recenti, che tendono a restituire Debussy al suo vero ambiente culturale e artistico.2 Noi ci soffermiamo tuttavia su questo aspetto per un preciso motivo analitico e metodologico: ritroveremo infatti nell'opera di Debussy tutte queste caratteristiche estetiche e programmatiche proprie della cerchia simbolista, che si manifesteranno non solo nella sua realizzazione musicale, ma anche nella sua sintassi e metodologia compositiva.
Avremo modo di tornare su questo punto quando affronteremo l'analisi del Prélude, per ora concentriamoci sulla figura del compositore, nel quale, sotto l'influenza di queste e altre tematiche, confluiscono tre precise tradizioni musicali, delle quali egli sintetizza gli aspetti fondamentali, creando così uno stile e una poetica personali e autonome: la tradizione wagneriana tedesca, la tradizione sinfonica russa del Gruppo dei Cinque e la tradizione clavicembalistica francese.
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Adorno afferma: La natura adinamica della musica francese può forse risalire al suo nemico giurato, Wagner, a cui pure si suol rimproverare una dinamica insaziabile.
Già in lui il decorso musicale è più di una volta un semplice spostamento, e di lì deriva la tecnica tematica di Debussy, che ripete senza sviluppo semplicissime successioni sonore. I melismi calcolatamente avari di Strawinsky sono i discendenti diretti di quelli incisi debussyani di natura per così dire fisica. (…) In realtà l'instancabile dinamica di Wagner che alla fine, essendo priva di contrapposizioni, si annulla, nasconde un che di illusorio e di vano (…).
A questo stato di cose dovrebbe riferirsi il vecchio e limitato rimprovero della mancanza di forma, che vien rivolto a Wagner.3
Il cromatismo armonico e "l'infallibilità orchestrale" (attribuita da Debussy alla partitura del Parsifal) che Wagner raggiunse nelle sue opere, furono senza dubbio fattori determinanti nella formazione del gusto e della scrittura musicale dei compositori a lui contemporanei e successivi. L'amore-odio sviluppato, specie in terra francese, verso il "wagnerismo" si affiancherà infatti a un generale sentimento nazionalistico e antitedesco, che porterà alla creazione di un linguaggio musicale nazionale (o sedicente tale), del quale Debussy fu acceso sostenitore, firmandosi e qualificandosi addirittura come "musicista francese".
Ma intanto le innovazioni armoniche wagneriane avevano aperto il varco alla possibilità di nuove scelte formali che superassero le limitazioni accademiche e, come afferma Adorno, la differenza fra una dinamica esasperata come quella di Wagner e una impercettibile e rarefatta come quella di Debussy, poteva diventare minima e condurre ugualmente a "un che di illusorio e di vano".4
Nello stesso tempo bisogna tener conto che il titanismo tardo-romantico di Wagner poneva le sue basi in mitologie ed epopee continentali pagane e "naturali", dove ogni elemento o forza della natura diventava personaggio e si caratterizzava addirittura con un proprio Leit-motiv. Questo elemento pagano e mitologico, frutto dei rinnovati interessi romantici verso le tradizioni popolari nazionali, sarà presente del resto in tutta la cultura fine-ottocentesca e del primo Novecento, quando si fonderanno fra loro motivi classici, orientali, africani e primitivi, dai quali l'artista europeo trarrà alimento e spunto per superare il momento di crisi generale dei vecchi valori.
Debussy stesso si volgerà verso la mitologia greca del Prélude e in altre opere, evocando da essa, tramite il filtro di Mallarmé, quelle forze "paniche" mediterranee, impersonate nella figura del fauno, che lo riportavano alle origini di un'intera cultura, quando musica e poesia, e tutte le arti, erano fuse insieme in un'unica, totale manoifestazione di vitalità collettiva.
Al paganesimo germanico individualista faceva inoltre riscontro, in terra di Russia, una diversa forma di paganesimo nazionale, quello dei musicisti programmatici del Gruppo dei Cinque (Rimsky-Korsakov, Mussorgskij, Balakirev, Borodin, Cui), che si accostavano alle melodie tradizionali e popolari delle varie regioni russe nel tentativo di dar forma a una musica nazionale, nella quale però l'elemento collettivo prevaleva su quello individuale.
Ma l'esempio maggiore di questa tendenza a fondere elementi diversi in un'unica creazione, fusione che in lui avvenne a tutti i livelli (melodico, ritmico, strutturale), fu Igor Strawinsky, personaggio cardine nella storia della musica moderna, del quale avremo modo di vedere alcune caratteristiche che lo avvicinano e nello stesso tempo lo differenziano profondamente da Debussy.
L'influenza che il colorismo orchestrale russo ebbe su Debussy fu profonda, e sebbene il compositore conobbe le musiche di Borodin e di Mussorgskij e si recò a Mosca in gioventù, la continuità di una affinità artistica proseguì negli anni, attraverso l'incontro e l'amicizia con Strawinsky e la collaborazione con Diaghilev. Non dobbiamo d'altronde dimanticare il clima cosmopolita che regnava a Parigi in quegli anni, e soprattutto nel 1910 con l'Ėcole de Paris, forse l'unico periodo in cui si formò una vera collaborazione artistica a livello europeo.
Debussy tuttavia non accettò a occhi chiusi le lussureggianti suggestioni orientali che gli provenivano dai compositori russi, ma filtrò le loro tecniche orchestrali, i loro metri alterni, i loro ritmi mobili, le loro bizzarre suggestioni armoniche attraverso quell'eleganza e raffinatezza tipicamente francesi che gli provenivano dalla scuola clavicembalistica, e da Jean-Philippe Rameau in particolare.
Egli fu sempre attratto dalla semplicità e dall'economia di mezzi propria della musica antica e rinascimentale, tanto che durante il suo soggiorno a Villa Medici, vincitore del Prix de Rome 1884, trovò conforto alla sua malinconia e irrequietezza nell'ascolto delle polifonie di Palestrina e di Orlando di Lasso.
Questa ricerca della semplicità assoluta, dell'eleganza, dello stile prezioso proprio della musica di corte, lo portò all'elaborazione di un linguaggio conciso ed epigrammatico, che trovò forma nel sodalizio con Mallarmé e Pierre Louys, e nelle composizioni ispirate alle ecloghe alessandrine ed ellenistiche (Six epigraphes antiques, Chansons de Bilitis).
Per contro, della grandiosità e dell'artifizio russo gli rimasero importanti lezioni di scrittura orchestrale e di timbrica (nell'uso dei legni, degli ottoni e della percussione) nonché di libertà ritmica e melodica.
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Rifiutando dunque la pietrificazione accademica e romantica di armonia + melodia nelle sue rigide forme canoniche di triadi e modulazioni, superando il cromatismo wagneriano, accostandosi al colorismo russo e filtrandolo attraverso la limpidezza francese, l'architettura sonora di Debussy elabora in definitiva una nuova simmetria del periodare, nella ricerca (e necessità) di trovare nuove modalità stilistiche e nuove soluzioni armoniche.
Per far questo egli deve provocare innanzitutto una dissoluzione dell'armonia tonale, creando, attraverso la sovrapposizione di accordi di quarta, di settima e di nona non risolti, una staticità armonica che sfugge alle regole dello sviluppo, provocando un complessivo senso di incertezza e di attesa.
Il problema dello sviluppo di un brano musicale è del resto uno dei più importanti per la tecnica compositiva, e ogni compositore, in epoche e secondo stili diversi, ha dovuto risolvere tale questione trovando di volta in volta nuove soluzioni. Per sfuggire allo sviluppo melodico e alla modulazione, che fin dai tempi del Conservatorio mal sopportava, Debussy adotta quindi un'ampia serie di soluzioni particolari e generali (che approfondiremo meglio, ancora una volta, quando analizzeremo il Prélude), che lo porteranno al punto di non potersi più basare su regole o principi sicuri e ortodossi, e di dover quasi "reinventare" la stessa sintassi musicale.
Fu lui stesso, del resto, ad affermare più volte la necessità di restituire la musica all'orecchio e alla natura, difendendo queste opinioni attraverso una polemica battaglia critica sulle pagine della Revue Blanche:
Bisogna cercare la disciplina nella libertà, scrive "Monsieur Croche antidilettante" (pseudonimo di Debussy critico militante), non ascoltare i consigli di nessuno, se non quelli del vento che passa e ci racconta la storia del mondo. La musica, arte libera, zampillante, d'aria aperta, un'arte a misura degli elementi, non deve quindi limitarsi a una riproduzione della natura, ma rivolgersi verso le corrispondenze misteriose fra la Natura e l'Immaginazione.5
Nonostante queste dichiarazioni apparentemente anarchiche, che ci chiariscono bene in che modo Debussy potesse restare affascinato dalle musiche estremo-orientali e dai loro contrappunti "naturali", il compositore organizzò il suo materiale sonoro sempre secondo strutture molto precise e mai casuali o arbitrarie.
L'uso di ripetizioni (o "duplicazioni", come Ruwet preferisce chiamarle6), di varianti, aumenti e diminuzioni di spessore e di frase, di simmetrie palesi nella partitura, la presenza di incisi staccati, ripresi e abbandonati, certi caratteri armonici ricorrdenti e altre particolarità tipiche del suo linguaggio, non lasciano dubbi circa la volontà organizzatrice e razionalizzante che Debussy aveva nella stesura delle sue partiture. La sua esigenza di libertà e di antipsicologismo in musica tendeva quindi a restituire a questa la sua vera identità di materiale sonoro che si sviluppa nel tempo, mentre mai egli pensò di operare una rivoluzione culturale o metodologica, di fondare nuove scuole o correnti estetiche radicali, e meno che mai di creare una nuova filosofia della musica.
La concezione poetica di Debussy fu infatti ben diversa da quella che si sviluppò nel dopoguerra in America e in Europa (tramite, ad esempio, le rispettive e opposte tendenze della "musica aleatoria" di Cage e della "musica stocastica" di Xenakis), ove il risultato sonoro era subordinato a un procedimento o a un calcolo delle probabilità prestabiliti, rispetto ai quali esso passava addirittura in secondo piano.
Come si è detto, non vi è nulla di arbitrario e di casuale nella musica di Debussy, che pure all'ascolto può sembrare estremamente evanescente e pare talvolta generarsi da se stessa. Egli libera la musica da schemi armonici, tematici o formali in genere, senza cadere in un possibilismo assoluto ma organizzandola in maniera intelligente e naturale, e inseguendo l'idea di un "materiale musicale puro".
Elevando il colore e il timbro orchestrali, le linee melodiche e i dettagli sonori, prima subordinati alla melodia tematica, a un livello di primaria importanza, egli affronta il fenomeno musicale come una realtà quasi "fisica", nella stessa maniera in cui il pittore nabis Maurice Denis affrontava i suoi quadri, affermando che un quadro è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori messi assieme in un certo ordine.7
E sono proprio queste concezioni poetiche di libertà compositiva, di valorizzazione dei particolari, di materiale musicale puro che differenziano il musicista francese dai contemporanei e da Strawinsky in particolare, il quale ammetteva invece la sua totale incapacità di muovere un passo senza la sicurezza di una salda struttura costruttiva:
Per quel che mi riguarda, io provo una specie di terrore quando, al momento di mettermi al lavoro e innanzi alle infinite possibilità che mi si offrono, ho la sensazione che tutto mi sia permesso. Se tutto mi è permesso, il meglio e il peggio, se nulla mi oppone resistenza, ogni sforzo è inconcepibile, io non posso appoggiarmi a nulla per costruire e quindi ogni impresa sarebbe vana.8
La concezione poetica di Strawinsky è infatti quella dell'homo faber, come un artigiano esperto che edifica la sua opera con una ben precisa volontà organizzatrice; ben diveramente Debussy si trovò invece a dover lottare contro ogni possibile cristallizzazione di una musica che voleva fosse il più possibile "libera e zampillante", trovandosi ad essere in questo più simile a una stella isolata che a un astro integrato in una precisa costellazione. La diversità, infatti, sta nelle due diverse tradizioni culturali dalle quali gli artisti provengono, cui abbiamo fatto in precedenza ampiamente riferimento.
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E' bene ora introdurre il discorso su quelli che vengono detti il "tema dell'assenza" e il "tema dell'angoscia"9 presenti nel simbolismo debussyano; potremo così notare che, dietro la sensibilità "pittorica e poetica" delle sue composizioni, per la quale è passato alla storia, Debussy nasconde un'oscura presenza drammatica che stenta a manifestarsi, ma che traspare comunque a un'attenzione priva di pregiudizi.
I riflessi, le ombre, le nebbie, le piogge, le nevi, i veli e le vele, le tenere ambiguità lunari della musica di Debussy sono tutti aspetti della sua tendenza costante a esprimere l'ineffabile o, come dice Pierre Boulez, della sua "ricerca dell'innalzabile",10 che si manifesta nei titoli ricorrenti delle sue opere.
Attraverso gli strumenti del mestiere compositivo Debussy cerca infatti di definire una vibrazione indefinibile e vacua: come le pitture zen giapponesi si qualificano e si apprezzano in base al "vuoto" che contengono e all'assenza del segno, e hanno la loro finalità nell'evocazione di risonanze nascoste e sottintese nel loro intrinseco codice di linguaggio, così la musica di Debussy, col suo movimento fluido e con la sua descrizione di stati d'animo fuggevoli e cangianti, si pone come evocatrice di presenze invisibili e impalpabili, che però si avvertono pienamente e caratterizzano tutta la natura della composizione.
Ciò è ben visibile, ad esempio, in Pelléas et Melisande, in Jeux oppure nelle Images e nei Préludes per pianoforte, opere che per questa loro natura furono poco comprese dalla critica e dal pubblico a lui coevi. Ma questo linguaggio del "non detto" presenta una contraddizione interna che ci introduce allo sviluppo drammatico del "tema dell'angoscia": l'impalpabile riflesso astratto di una realtà naturale gradualmente diventa presenza ossessiva di un'impalpabile angoscia interiore. Dal vento bucolico del meriggio nasce un grido sommesso che muore in gola, e svanisce: quello stesso grido interiore che Strawinsky svilupperà e urlerà col massimo delle sue forze, rischiando di diventare "selvaggio" e persino grottesco.
Debussy stesso ci parla, in una lettera ad André Caplet (24 luglio 1909), della sua solitudine interiore:
C'è poco da dire, mi sento in un tale stato che preferirei essere una spugna in fondo al mare, o un vasetto sopra un camino, piuttosto che un uomo di pensiero (…).
Dato che non è facile tacciarsi freddamente di idiota,si sogna un cerchio vuoto; come tristi cavalli di legno, senza nessuno che li cavalchi. Forse è la punizione per chi, vivendo nel mondo delle idee, si accanisce a seguirne una sola… donde l'idea fissa, prologo alla follia.11
Queste parole si riferiscono soprattutto alle sue difficoltà nell'elaborazione di un linguaggio musicale che, tagliate le radici con il terreno scolastico e tradizionale, doveva trovare una nuova stabilità al di fuori di esso; ma possono chiarirci anche lo stato d'animo insoddisfatto e angosciato che traspare spesso dalle vicende della sua vita privata. D'altronde la componente simbolistica e decadente della cultura del tempo non era affatto immune da sentimenti angosciosi o addirittura perversi.
E l'interesse che Debussy ebbe per Edgard Allan Poe o per il personaggio di San Sebastiano (considerato il patrono degli omosessuali), interesse condiviso con D'Annunzio e condannato aspramente dalla Chiesa in occasione della prima del Martyre, sono frutto di una tendenza generale dell'ambiente simbolista verso tutto ciò che di tenebroso, oscuro, ambiguo o paranoico poteva venir loro suggerito dai moti dell'animo o dalle "misteriose assonanze tra la Natura e l'Immaginazione".
Debussy non riuscì mai, del resto, a musicare Il mistero della casa Usher di Poe, ma in lui restò sempre questa esigenza di "provocare il terrore" attraverso una sapiente creazione musicale che usasse tutti i dovuti accorgimenti tecnici ed espressivi per raggiungere tale fine.
E parecchie sue composizioni sono come dei lunghi preludi apparentemente innocenti e idilliaci, che vanno a introdurre tuttavia uno scatenamento orgiastico dell'inconscio, rimasto solo un'intenzione mai realizzata. Ma ciò nonostante le sue composizioni contengono dei germi che sarebbero dovuti venire alla luce nelle opere mai fatte, germi che Strawinsky soprattutto, suo amico stimato, porterà alla loro massima potenza espressiva nelle sue opere.
Il Prélude à l'après-midi d'une faune, opera spesso considerata "classicista" o bucolica, contiene dunque delle caratteristiche decisamente tenebrose rispetto alla pretesa "serenità apollinea" che dovrebbe pervadere il mondo classico greco; e l'interpretazione coreografica di Nijinsky ne aveva messo in luce quegli aspetti più propriamente satireschi e ambigui che l'opera contiene, creando così un'ondata di scandalo e di perplessità al tempo della sua prima rappresentazione.
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Riallacciandoci a queste considerazioni sulla grecità vorremmo fare a questo punto un ultimo accenno a un ulteriore aspetto della musica e della personalità artistica di Debussy: quello della sua "classicità mediterranea". Mentre infatti il "non detto" può evocare realtà drammatiche e piene di pathos più che un'affermazione compiutamente espressa, il gusto per la decorazione e per l'arabesco fiorito può portare a una superficialità e una vanità di fondo che si risolvono in un estetismo formale fine a se stesso, come fu il caso dell' Art Nouveau nel campo delle arti figurative e architettoniche.
L'incontro di Debussy con l'antichità classica delle ecloghe e delle elegie alessandrine della tarda grecità, filtrata attraverso le poesie simboliste che ebbe a musicare, lo portò forse a compiacersi eccessivamente dei giochi di luce che poteva creare intorno ai brevi epigrammi di gusto ellenistico che aveva sottomano, col risultato di allontanare da questo mondo mitico quegli aspetti "essenziali" e "sostanziali" che erano propri del suo linguaggio musicale e dei suoi interessi letterari.
Servendosi della percezione e della sensazione per cogliere timbricamente lo scorrere del tempo e il divenire della vita circostante, Debussy ne sottolinea dunque gli aspetti apparentemente più effimeri e mutevoli, accreditando in tal modo l'opinione corrente che lo vuole come un compositore impressionista: ma forse questo aspetto descrittivo e voluttuoso non gli è del tutto estraneo, e ciò che da una parte è leggerezza, finezza e preziosità, può diventare vanità e preziosismo al contatto con una cultura tanto aperta a molteplici interpretazioni come quella greca (si vedano ad esempio le Chansons de Bilitis).
E l'elemento panico, satiresco e dionisiaco che stende i veli della sua musica su di un'occulta tragedia, può nel contempo anche perdersi e "disperdersi" in altri veli più futili e superficiali: la stessa accusa, del resto, fu rivolta dal punto di vista formale e ideologico allo Strawinsky neoclassico, e identiche critiche muoveva Nietzsche al teatro greco nella sua Nascita della tragedia dallo spirito della musica (la cui esatta comprensione può aiutare peraltro ad analizzare e individuare correttamente la presenza dell'elemento dionisicaco nelle cuture antiche e moderne).
Leggiamo dunque alcuni passi dallo scritto di Nietzsche:
Chi potrebbe disconoscere l'elemento ottimistico che, una volta penetrato nella tragedia, deve sommergere a poco a poco le sue regioni dionisiache e condurla di necessità all'annientamento – fino al salto mortale nel dramma borghese?
(…) Ciò accade nello sviluppo del nuovo ditirambo attico, la cui musica non esprime più l'intima essenza, ossia la stessa volontà, ma riproduce solo insufficientemente il mondo fenomenico, in una imitazione mediata per mezzo di concetti.(…) Col nuovo ditirambo la musica si ridusse sacrilegamente alla contraffazione imitatoria dei fenomeni, per esempio di una battaglia, di una tempesta di mare, e così rimase completamente defraudata del suo potere mitopoietico.
(…) Dove è andato a finire lo spirito della musica, padre del mito? Ciò che adesso rimane della musica è musica eccitativa o evocativa, vale a dire o è uno stimolante per i nervi insensibili e logorati, oppure è pittura musicale. (,,,) L'ottimismo latente nella genesi del melodramma e nell'essenza della cultura da questo rappresentata è, con inquietante celerità, riuscito a spogliare la musica della sua destinazione universale e dionisiaca e ad imprimerle un carattere di gioco illusorio, di mero divertimento: un'alterazione alla quale si potrebbe paragonare soltanto la metamorfosi dell'uomo eschileo nell'uomo della serenità alessandrina.12
Queste parole di Nietzsche, riferite al campo drammatico, hanno valore anche per quanto riguarda un'opera musicale, e non a caso egli si riferisce al melodramma, inteso come l'ultimo stadio di una lenta degenerazione creativa: del resto, nel caso di Debussy, ogni tentativo di trarre conclusioni o dare giudizi dal punto di vista teorico o estetico può essere valido sola a patto di confrontarsi con la partitura, poiché solo lo studio della sua prassi compositiva può rivelarci pienamente tutte le più intime particolarità del fatto musicale.
Passiamo dunque a questo punto a osservare più da vicino sulla partitura il brano forse più noto di tutta la sua produzione, che per la sua natura e la sua origine si ricollega pienamente alla già citata "classicità mediterranea" di Debussy, e cioè il Prélude à l'après-midi d'une faune.
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Ispirato a un'ecloga di Mallarmè, il Prélude fu eseguito per la prima volta alla Société Nationale di Parigi il 23 dicembre 1894; Diaghilev volle assolutamente che il suo primo ballerino Njinsky creasse una coreografia sull' A près-midi d'une faune, inserendo questo pezzo, insieme al Daphnis et Chloé di Ravel, nel programma della sua stagione teatrale.
Debussy, prima riluttante, accettò la proposta di Diaghilev e, sebbene il successo del Prélude avesse oscurato la rappresentazione del Daphnis avvenuta una settimana dopo, la critica, il pubblico e lo stesso compositore furono colpiti e scandalizzati dall'audacia coreografica dell'interpretazione di Nijnsky, che divise Parigi in due schiere di sostenitori e denigratori acerrimi, cosa d'altronde non nuova per quei tempi.
Molto è stato scritto su questo pezzo e sul rapporto col testo di Mallarmé, il quale mantenne un ambiguo comportamento nei confronti di Debussy, ora elogiandolo, ora affermando che non vi fosse la necessità di mettere in musica un testo che di per sé doveva già essere musicale.
Fatto sta che il risultato sonoro della scelta poetica fatta da Debussy, scelta ardita poiché rivolta verso una produzione senz'altro d'avanguardia e quindi rischiosa, risulta essere un perfetto esempio di poesia musicale; come dice Jaqueline Risset, Debussy e Mallarmé scrivono poesia; Debussy e Mallarmé compongono musica.13
La sintassi della frase si inserisce nel periodo e crea la struttura di un discorso articolato, essenziale, quasi "perfetto": la ricerca di una "semplicità assoluta" ha prodotto dunque un brano "assoluto" nella sua semplicità. Ma osserviamo più da vicino la struttura del Prélude, e scopriremo che dietro una musica appartentemente libera da ogni costrizione si celano delle rispondenze interne e delle simmetrie formali che forse non immaginavamo (vedi partitura).
Il Prélude è scritto per un organico orchestrale "classico", diviso nei due gruppi dei fiati (3 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 1 corno inglese, 2 fagotti, 4 corno a pistoni) e del quintetto d'archi, che aumenta di numero per estensione delle voci nella parte centrale; questi due gruppi, che creano complessivamente due colori timbrici ben distinti, sono collegati tra loro per mezzo delle due arpe, strumento tanto amato da Debussy; infine, nella parte finale, compaiono i "cembali antichi".
Il brano si compone di 110 battute, per una durata di circa 10 minuti; queste 110 battute possono essere divise in 4 grandi blocchi o episodi, caratterizzati da alcune particolarità sostanziali.
Le prime 30 battute, fino al n. 3 della partitura, contengono il tema del flauto, che esposto, ripreso e variato conclude il primo episodio alla battuta 30.
Le successive 24 battute (batt. 31-54), allargando lo spessore sonoro e sfruttando pienamente i timbri di tutti gli strumenti, comprendono due brevi episodi solistici dell'oboe (n. 4 della partitura) e del clarinetto (n. 6), e introducono quello che può essere definito il secondo tema del brano, che va dalla batt. 55 alla batt. 78.
Questo terzo episodio, anch'esso di 24 battute, è caratterizzato da una dinamica più marcata e da un felicissimo chiasmo tra i fiati e gli archi, i quali, dando un complessivo senso di respiro e di coralità al discorso musicale, raggiungono la massima intensità espressiva di tutto il brano.
Attraverso un "pianissimo" si passa poi alle ultime 32 battute, in cui viene ripreso il tema iniziale, anche qui ampliato e trasformato secondo il linguaggio formale del primo episodio, che consisteva in un'esposizione e una risposta (batt. 79-110).
Conclude la composizione una specie di breve coda (n. 12, batt. 106-110) che svanisce nel pizzicato degli archi.
Abbiamo quindi già notato, da questo primo sguardo complessivo, che vi sono sostanzialmente quattro sezioni, due delle quali racchiuse tra due ripetizioni del tema iniziale, nelle quali si articola il discorso musicale:
A ----------- B ----------- C ----------- A'
tema I ----- sviluppo ----- tema II ----- tema II
30 battute --- 24 battute --- 24 battute --- 32 battute
1-30 --------31-54 ------ 55-78 -------- 79-110
Ma questa non è l'unica particolarità strutturale del Prélude, poiché quasi a ogni pagina della partitura troviamo delle formule e dei caratteri ben definiti e individuabili, tipici della scrittura di Debussy.
Nel primo episodio, fino alla batt. 30, abbiamo due sezioni che, attraverso una terza che conclude il lungo fraseggio melodico (batt. 28-30), sono caratterizzate dal tema del flauto.
La prima sezione, fino al n.2, comprende l'esposizione del tema (4 batt.) più la risposta (6 batt.), cui segue una nuova esposizione, rinforzata dal tremolo degli archi (4 batt.), e una nuova risposta (6 batt.) che introduce un elemento nuovo: il movimento delle crome in crescendo, apportatore di tensione, che dà un senso di risveglio complessivo. Difatti è il primo momento in cui l'orchestra suona al completo.
Attraverso il "diminuendo e ritenuto" e la ripetizione della figurazione di crome nel clarinetto, si passa quindi alla seconda sezione (dalla batt. 21 alla 27). Qui il tema iniziale viene allargato attraverso il cambio di tempo in ¹²/₈, e fiorito, ritornando in ⁹⁄₈, prima per due battute (21-22) poi per tre (23-25) poi ancora per due (26-27), e passa dalla tonica alla dominante per poi ritornare sulla tonica (questi termini armonici sono per la verità del tutto indicativi, poiché le armonie del Prélude sfuggono a tali definizioni).
Manca completamente il senso dello sviluppo tonale (la marche d'armonie) e melodico, mentre le funzioni armoniche sono qui simili a macchie di colore accostate l'una con l'altra, provocando un senso di provvisorietà e un che d'irrisolto. La questione della risoluzione degli accordi dissonanti, e dell'armonia complessiva che dovrebbe conseguirne, è stata del resto ampiamente dibattuta agli inizi del Novecento, quando ancora la tonalità era considerata come unica categoria possibile in musica.
Sentiamo, attraverso le parole di Strawinsky (che fu anche teorico e didatta, oltre che artista creativo), quali erano su questo argomento le concezioni dei musicisti allora all'avanguardia:
La consonanza, dice il dizionario, è la fusione di più suoni in un'unità armonica. La dissonanza risulta dalla rottura di questa armonia con l'aggiunta di suoni che le suono estranei. Bisogna confessare che tutto ciò non è chiaro.
Appena fa la sua apparizione nel nostro vocabolario, questa parola "dissonanza" porta seco un vago odore di peccato. (…) Allo stesso modo che l'occhio completa in un disegno le linee che il pittore ha scientemente omesso di tracciare, l'orecchio può essere chiamato a completare un accordo e a supplire la risoluzione che non è stta effettuata. La dissonanza, in tal caso, ha il compito di un'allusione (…); ormai, da più di un secolo, la musica ha moltiplicato gli esempi di uno stile in cui la dissonanza si è emancipata, svincolandosi dalla sua antica funzione.
Diventa cosa autonoma, accade che non prepari né annunci più nulla. (…) Noi dunque non ci troviamo più nel regno della tonalità classica, secondo il significato scolastico della parola (…). La tonalità è solo un modo di orientare la musica verso un polo di attrazione (…) dal momento che i nostri poli d'attrazione non sono più al centro di quel sistema chiuso che era il sistema tonale, noi possiamo raggiungerli senza assoggettarci al protocollo della tonalità. (…) Dal momento in cui gli accordi non servono più soltanto a svolgere le funzioni loro riserbate dal gioco tonale, ma si svincolano da ogni costrizione per diventare delle nuove entità libere da ogni impegno, il processo si può dire compiuto: il sistema tonale ha finito di vivere.14
Il superamento della tonalità che venne effettuato "nell'arco di un secolo" poteva condurre a un'aridità formale e a un'empasse del linguaggio musicale di fronte alla mancanza di regole precise e confortanti, quali erano state le regole armoniche. Eppure in Debussy il discorso si sviluppa pienamente, grazie ad altre particolarità e "poli d'attrazione" che ora rintracceremo nella partitura del Prélude.
Già dalla visione del numero di battute in cui si racchiude ogni sezione (1 : 4 batt. esposizione, 6 batt. risposta, 4 batt. esposizione, 6 batt. risposta. 2: 2 batt. + 3 batt. + 2 batt.) appare chiaro che vi sono delle ripetizioni strutturali, che dalla partitura appaiono ancora più chiare: esse sono disseminate lungo tutto il pezzo e talvolta sono persino letterali.
Ruwet le chiama "duplicazioni" e le analizza come l'equivalente colto della "variante" popolare, presente in tutte le musiche e le produzioni poetiche di tradizione orale; egli tende a dimostrare che queste duplicazioni sono perfettamente inserite nell'economia delle composizioni di Debussy, e suppliscono al mancato sviluppo melodico creando una nuova maniera di portare avanti il discorso musicale, in una direzione totalmente diversa da ogni precedente compositivo della tradizione colta.
Non sono più la melodia, il movimento armonico o le funzioni tonali che caratterizzano la composizione, ma una scrittura "tangenziale" che porta a un ruolo di primo piano quei dettagli o aspetti secondari (i refrain, le ripetizioni, la timbrica orchestrale) rispetto alla melodia, alla polifonia o alle forme chiuse della musica europea.
Anche dal punto di vista ritmico assistiamo a una decisa innovazione rispetto al passato: i frequenti cambi di tempo, i gruppi sovrannumerali e i "ritenuti" che incontriamo spesso nelle partiture di Debussy sono l'esempio di una musica che cerca di liberarsi dalle pulsazioni fisse e tende verso un ritmo libero e vario, al cui interno lo stesso ritmo cambia spesso accentuazione e forma; tanto che oggi molte composizioni contemporanee fanno volentieri a meno di stanghette o indicazioni di tempo, ritenute coercitive per una musica veramente "emancipata".
Ed ecco che, a conclusione del primo episodio tematico (batt. 28), la partitura del Prélude ci mostra un chiaro esempio di ripetizione letterale della frase: il risultato di questa scrittura ripetitiva ci dà un senso di grande tensione e di conslusione del discorso, che termina effettivamente due battute dopo (batt. 30) sull'accordo di Si Maggiore.
Ha qui inizio il secondo episodio di 24 battute, in cui ritroviamo ancora la duplicazione di una medesima figurazione (arpeggio iniziale, inciso del violoncello e del clarinetto, accordi nelle arpe, pizzicato degli archi, scala del flauto), che però non è letterale, ma trasportata una terza sopra (n.3 della partitura); e a questo punto, dopo la sosta atematica del 3 che può essere considerata come una specie di voltar pagina, la composizione acquista un maggior respiro orchestrale, introdotto dal primo solo dell'oboe (batt.37) e dalle notazioni dinamiche in crescendo: l'armonia si spande verticalmente e gli archi acquistano un loro spazio autonomo (batt.40 2 seguenti) che, nonostante la brevità, introduce un nuovo colore che va ad affermarsi: è l'introduzione al ruolo fondamentale che gli archi avranno nelle parti 5 e 6 e nello sviluppo del secondo tema (batt.55), dove attraverso un chiasmo con i fiati imporranno il loro carattere di strumento lirico a tutto l'organico.
La particolarità maggiore di questo secondo, intensissimo tema è proprio nel momento lirico e fortemente espressivo che compare all'interno di una composizione che sembrava, fino ad ora, svilupparsi in maniera allusiva e velata: qui invece il discorso si chiarisce e si rivela in tutta la sua grandiosità drammatica e patetica.
E' il pathos collettivo del regno naturale ed extraumano, prima assente e indefinito, che si risveglia in un momento di autocoscienza collettiva, di identificazione reciproca: il mondo del molteplice, della totalità "panica" e vitale, quello stesso mondo che la grandiosità wagneriana aveva evocato dalle profondità della mitologia germanica.
Segni di un influsso wagneriano sono del resto rintracciabili anche nell'orchestrazione di questo episodio (batt.63): nel tempo di ¾, che risale al primo solo dell'oboe, abbiamo la melodia suddivisa binariamente negli archi e le terzine di cromenei fiati, mentre gli arpeggi delle arpe ricordano i temi fluviali dell'Oro del Reno, con la loro timbrica così particolare e originale; è soprattutto questo motivo iterativo prodotto dai fiati, che all'orecchio suona come una corona circolare che avvolge il tema fondamentale, che ricorda le soluzioni timbriche di Wagner: e la dinamica in crescendo aggiunge forza e intensità a questo momento decisivo.
Ancora una duplicazione letterale di due battute (67-68; 69-70), cui segue un progressivo diradarsi dei fiati, mentre il quintetto d'archi prosegue la sua frase in terzine di semicrome, fino all'entrata dei corni seguita dal clarinetto, dal primo violino e dall'oboe (batt. 74-78); qui abbiamo una concentrazione del 2° tema nel solo (doux et expressif) del violino, mentre prima nel clarinetto e poi nell'oboe viene ripresa la figurazione affidata agli archi precedentemente, che svanisce nel ppp della batt. 78. Dopo 16 battute in cui l'orchestra suona al completo il secondo tema (55-70), seguono 8 battute in cui mano a mano restano solamente i quattro timbri principali (oboe, clarinetto, corno, violino), sopra un pedale di Re bemolle tenuto dal contrabbasso (batt.70-78).
A questo punto ricompare il flauto con funzione melodica, che aveva abbandonato alla batt.30, riproponendo il primo tema alla tonica (batt.79); siamo così giunti all'ultimo episodio (n.8 della partitura) di 32 battute. Dove, dopo un'espansione orchestrale del discorso e la comparsa di un secondo motivo tematico che si conclude nuovamente con quattro strumenti solisti, avvenuta nella parte centrale e comprendente i due episodi di 24 battute, l'attenzione ritorna sul primo tema e sullo strumento che maggiormente caratterizza la composizione: il flauto traverso.
Nell'ora fulva, tutto brucia: inerte.
Né lascia traccia, insieme, del prodigio,
per cui sperdeva un imenèo bramato
troppo da chi va ricercando esatto,
lungo il suo flauto il tono.
… Ma ch'io lo trovi:
e allora al primo fervere del suono,
diritto io sorgerò – diritto e solo -,
sotto al gran flusso antico della luce,
o gigli, primo fra voi tutti, io solo,
per la virtù della purezza mia.15
Nella sua stessa ecloga Mallarmé accennava al flauto del fauno, quel particolare "flauto di Pan" che non permette, per la sua natura costruttiva, grandi estensioni o fraseggi melodici (essendo formato da canne parallele che comportano uno spostamento veloce dello strumento, insufflato perpendicolarmente dal suonatore); un altro nome di questo strumento, conosciuto in tutto il mondo e diffuso in molte culture diverse, è "siringa", che gli deriva dal movimento "a pompa" che si produce per emettere il suono.
Debussy scrisse peraltro un famoso brano per flauto solo che chiamò Sirynx, mostrando così la sua particolare intimità col linguaggio di questo strumento; e ancora ritroviamo il flauto nel Prélude (oltre che in numerose altre composizioni) con un ruolo di primo piano.
Strumento sensuale e affascinante, il flauto del Prélude (la cui comparsa in veste solistica è sempre sottolineata dalla nota doux et expressif) è presente come un vero e proprio flauto di Pan, caratterizzato dalla scala cromatica discendente e ascendente che non comporta lunghi fraseggi virtuosistici, ma nello stesso tempo risuona arcana e solenne come una vera e propria forma di archetipo musicale.
Lo abbiamo visto nelle battute iniziali, lo ritroviamo adesso, a conclusione di un lungo episodio collettivo: il flauto è un po' la monade primigenia, il fauno solitario che brama e desidera un contatto con il suo essere complementare, la ninfa (imenèo bramato / troppo da chi va ricercando esatto, / lungo il suo flauto il tono), contatto che si risolve in un momento di ebbrezza e di rapimento estatico, ma che in definitiva sancisce l'inevitabile solitudine dell'individuo di fronte a una chimera che fugge via.
Nella ripresa del primo tema (batt.79), allargato lungo l'arco di quattro battute e accompagnato dagli accordi degli archi e dagli arpeggi delle arpe, troviamo la stessa idea, leggermente variata, presente nella seconda sezione (batt.21-27) del primo episodio: qui vi era una maggiore concentrazione del materiale tematico e dell'accompagnamento delle arpe in una sola battuta di ¹²/₈, mentre nell'ultimo episodio la melodia si svolge in quattro battute di ⁴⁄₄, e il cromatismo del flauto avviene per crome e non più per semicrome, allargandone il respiro complessivo. La medesima figurazione delle batt. 78-82 ritorna tre battute dopo (86-89), non più in Mi Maggiore ma In Mi bemolle Maggiore, secondo l'ormai nota consuetudine debussyana di duplicare e variamente riproporre le sue figurazioni: ciò nonostante il risultato non è mai scontato o noioso, ma perfettamente integrato in una logica costruttiva e linguistica.
Non è forse lo stesso discorso valido anche per Mallarmé?
Nel Pomeriggio di un fauno non vi è un concetto che si sviluppa coerentemente e progressivamente nell'arco del componimento, non vi è uno svolgimento temporale di un tema di base, bensì vi sono attimi e momenti poetici autonomi, staccati, che si ricollegano in un'atmosfera comune piuttosto che in una logica discorsiva, cementati tra loro dalle "citazioni" mitiche in corsivo. La parola, il suono, l'atmosfera sono le colonne della sua poesia, una poesia forse un po' edonistica che accosta colori ed elementi "puri", a sé stanti, in un gioco poetico in cui il concetto viene evocato sommessamente dal valore sonoro della parola, e mai si impone su di essa.
A questa peculiarità musicale della parola Mallarmé si riferiva, forse, quando affermava che le sue poesie erano "già musica"; e non si può dire che Debussy abbia trascurato queste concezioni poetiche simboliste nelle sue composizioni, essendo queste ultime alcuni dei maggiori esempi di identità e comunione tra linguaggio letterario e musicale, secondo i principi antichi dell'arte greca, ripresi e riproposti dagli intellettuali dell'epoca.
L'idea di un' "opera d'arte totale" fu infatti accarezzata e inseguita da molti artisti, fino ai giorni nostri; ma come dice Ruwet al riguardo, la fusione di forme artistiche differenti non può avvenire se non sulla base di un codice di linguaggio comune, di una "semantica dell'arte" che possieda delle strutture fisse e valide per ogni forma di espressione; ed egli, come i glottologi e i linguisti, rintraccia queste strutture nelle forme universali del linguaggio umano e nelle loro espressioni particolari, che si manifestano nei vari ceppi linguistici.
L'argomento è affascinante e ancora poco esplorato; sarebbe interessantissimo, infatti, poter ampliare questo studio e adottare questi parametri nell'analisi dei diversi linguaggi compositivi colti e popolari, e non è escluso che ciò non sia oggetto di nuove ricerche in futuro da parte nostra.
Ma torniamo adesso alla nostra analisi della partitura, che inevitabilmente deve a tratti interromersi per un approfondimento di alcuni aspetti salienti. Eravamo rimasti alle quattro battute del flauto (n.8 batt.79-82) che riproponevano il tema iniziale: a questo inciso fanno seguito tre battute in cui Debussy riprende quello stile "atematico" del n. 3 , che è un po' la caratteristica di un altro pezzo orchestrale per balletto, il poema sinfonico Jeux.
Questo importante lavoro di Debussy, che Boulez definisce come capostipite e iniziatore di tutta la scrittura orchestrale del nostro secolo, si svolge infatti attraverso una serie di quadri staccati, che si sviluppano lungo tutto il brano senza tornare al punto di partenza, e sono caratterizzati dall'assenza di un tema comune: nel Prélude, invece, queste macchie di colore, caratterizzate dal ritmo marcato, dal pizzicato degli archi e dalle figurazioni di semicrome e di biscrome, sono brevi intermezzi che appaiono tra una sezione e l'altra (vedi n. 3 alle batt.31-36): anche qui, alle batt.83-85 e 90-93, questi due brevi episodi sono inseriti in una simmetria che vede una prima esposizione del tema, poi il primo episodio (batt.83-85), cui segue una seconde esposizione del tema e il secondo episodio (batt.90-93), in cui il cambiamento della figurazione ritmica nei clarinetti da due sestine di semicrome a due terzine di crome crea, contrapposta alle sestine della viola e del violino, un'ambiguità ritmica che ha l'effetto di un rallentamento complessivo, completato dal "ritenuto" conclusivo che precede il n. 10 , indicato avec plus de langueur.
E siamo infine giunti all'ultima sezione del brano, che ci riporta all'atmosfera pomeridiana e soffusa del primo episodio iniziale; lo sviluppo del Prélude è dunque uno sviluppo circolare, sia dal punto di vista strutturale (vedi lo schema illustrativo a pag…), sia dal punto di vista del risultato sonoro complessivo. Lentamente il brano si sviluppa, lentamente ritorna al tema iniziale e lentamente si congeda, riproponendo i motivi principali comparsi precedentemente.
Al n.10 (batt.94) ritorna il tema, raddoppiato dal secondo flauto all'unisono, secondo una forma che abbiamo già incontrato al n. 1 (batt.11), con gli archi sur la touche; ma poi, anziché riproporre la seconda parte del tema, Debussy riprende una figurazione di terzine discendenti già apparsa nella seconda parte del secondo tema (batt.61-62) nei fiati, e riproposta ancora nei fiati.
Questo è l'ultimo momento corale della composizione, ed è da notare il dolce e delicato accompagnamento dei "cembali antichi", che sottolineano l'atmosfera magica che viene a crearsi in queste battute conclusive. Alle batt.80 e 81 abbiamo ancora la prima parte del tema nel flauto e nella viola, ripetuta letteralmente per due volte; poi questa prima parte del tema offre lo spunto per una variazione cromatica del flauto e del corno inglese, dopo un cambio di tempo in ⁹/₈, che attraverso un ennesimo "ritenuto" introduce l'oboe, ultimo solo del brano, che finalmente riprende la seconda parte del tema iniziale col suo timbro squillante e luminoso. Il brano si conclude quasi arrestandosi, mentre le arpe accompagnano, col loro movimento discendente, il grande accordo finale in sordina (batt.96): ultimo tocco di gran classe è, infine, il contrappunto remoto in lontananza tra i corni e i violini.
Il tutto è concluso dal sommesso pizzicato dei bassi, caratteristica costante di molte composizioni debussyane (vedi il Doctor gradus ad parnassum da Children's Corner, ad esempio), con cui il compositore sembra quasi definire e firmare la sua indefinita e indefinibile opera.
La sensazione che ci lascia l'ascolto di questo brano è dunque, in conclusione, quella del passaggio di un raggio di luce attraverso le persiane di una camera in penombra: un breve momento di illuminazione che svanisce con lo spostarsi del sole.
Tutto accade in dieci minuti, dieci brevi minuti di musica che ci aprono lo sguardo sulle antiche origini del mito e della favola, e ci raccontano le storie eterne con il linguaggio del nostro tempo; può sembrare freddo e distaccato questo modo di narrare, ma qua e là il cantore si tradisce e lascia intravedere la commozione e l'entusiasmo che lo coinvolgono, senza però mai abbandonare quella compostezza e quella raffinata eleganza che lo contraddistinguono.
Nel Prélude à l'après-midi d'une faune Debussy ha in realtà superato se stesso e l'intero suo tempo, per raggiungere la cima del Parnaso e abitare fra gli dèi; ci sia concessa dunque questa breve celebrazione conclusiva, che può valere come modesto ringraziamento per un dono tanto grande e importante per la musica del Novecento come quello che il "Claudio di Francia" ci ha regalato, per il quale senz'altro molti musicisti di ogni nazionalità gli saranno grati in eterno.
*
Giunti al termine di questo nostro lavoro, proviamo quindi a trarre qualche conclusione riassuntiva su quanto fin qui trattato: è veramente difficile, del resto, poter trarre delle conclusioni da quanto è emerso in queste pagine, in cui ci sembra, dopo tante parole, di aver detto in fin dei conti poco o niente sul conto di quello che, ancora oggi, è l' "enigma Debussy". Abbiamo infatti cercato di fare una panoramica generale sui principali aspetti del personaggio Debussy e dell'ambiente culturale in cui visse e operò, rintracciando poi in una delle sue opere più famose segni ed esempi di un linguaggio pieno di molteplici riferimenti e agganci a tematiche anche non strettamente musicali, come fu quello che egli adoperò.
Probabilmente la trattazione si è rivelata incompleta e lacunosa, specialmente sotto il profilo analitico, ma nostra intenzione era soprattutto mettere in luce una serie di componenti diverse, che unendosi tra loro e simboleggiando non solo la fisionomia di un personaggio, ma di un'intera epoca, hanno concorso alla produzione di opere d'arte di grande valore, universalmente riconosciute, quali sono le musiche di Claude Debussy.
Prima di terminare questo studio vorremmo dunque riassumere brevemente alcuni punti salienti che abbiamo toccato man mano, in modo da poter trarre delle seppur sommarie conclusioni sull'argomento trattato.
Innanzitutto abbiamo visto la profonda comunione di interessi e di linguaggio che il compositore ebbe con la cerchia letteraria simbolista e con i pittori nabis della Revue Blanche , comunione che appare da molti titoli di composizioni e, soprattutto, dai procedimenti compositivi analoghi a quelli adottati dai simbolisti in campo letterario e dagli impressionisti in campo figurativo, che costituirono la struttura formale dell' Après-midi d'une faune e di altri brani, orchestrali e non.
Parlando della formazione culturale di Debussy abbiamo poi accennato a quelle che su di lui furono forse le maggiori influenze stilistiche musicali, e cioè la musica di Wagner, la musica russa e quella antica, specialmente i clavicembalisti francesi: abbiamo visto, in queste influenze molto diverse fra loro, come Debussy abbia saputo sintetizzare linguaggi diversi e sfruttare appieno, per un suo personale discorso musicale, quelle particolarità tecniche e compositive proprie delle varie tradizioni citate.
Successivamente si è parlato a lungo della poetica, dello stile e della prassi compositiva di Debussy, introducendo e preparando un discorso che è stato sviluppato meglio nell'analisi vera e propria della partitura del Prélude : l'esigenza di Debussy di liberare completamente il momento musicale dalle sovrastrutture concettuali o formali che vorrebbero determinarlo a priori, e la ricerca di una scrittura e di una sintassi che gli permettessero di riprodurre scorrevolmente le " misteriose assonanze tra la natura e l'immaginazione" (riproponiamo spesso questa frase poiché ci pare estremamente illuminante circa il valore che il musicista dava all'opera d'arte).
Siamo poi passati a vedere alcuni aspetti più che altro estetici e psicologici dell'arte di Debussy: il problema dell' "assenza" e del "non detto", e il problema dell'angoscia, tutte tematiche che ci hanno mostrato una diversa immagine rispetto a quella idilliaca o ingenua con la quale è stato spesso descritto Debussy ("essenza di rose per fanciulle", per intenderci).
Sarebbe interessante, al riguardo, effettuare uno studio e una ricerca psicanalitica di tutta l'espressione artistica simbolista, attraverso le opere dei suoi rappresentanti, e rintracciare nelle musiche, nelle poesie e nei quadri di questa corrente artistica quelle componenti nascoste della libido e dell' ombra (definizioni psicanalitiche che indicano le forze più profonde dell'individuo, che vengono rimosse nel subcosciente), che poco più tardi saranno utilizzate e reintegrate dagli artisti contemporanei a Freud e alla nascita della psicanalisi (Strawinsky, Picasso, i surrealisti, ecc.); potremo così scoprire, probabilmente, che nell'ambiente poliedrico e sfaccettato della Parigi a cavallo fra Otto e Novecento si agitavano, nascosti, germi e fattori patogeni di enormi nevrosi individuali e collettive, che hanno raggiunto il loro punto di esplosione nelle due guerre mondiali. Ma tutto ciò riguarda più la medicina e la sociologia che la storia della musica, e noi ci limitiamo dunque a constatare la presenza di alcuni elementi "drammatici" nell'opera di Debussy che però, come abbiamo detto, non vengono quasi mai alla luce.
Cerchiamo di ampliare questo argomento: prendiamo, ad esempio, il Sacre du printemps di Strawinsky nell'introduzione de L'adoration de la terre (batt.1): il solo del fagotto, la cui simmetria interna e le cui particolarità ritmiche adesso non ci riguardano,16 ricorda vagamente l'entrata del flauto nel tema del Prélude , e Strawinsky stesso ha ammesso di dover molto a Debussy, specialmente nella scrittura dell'introduzione al Sacre. Ma se confrontiamo lo sviluppo dei due temi nelle due composizioni e il modo di portare avanti il discorso (tenuto anche conto della diversità dell'argomento del Sacre rispetto a quello del Prélude), vediamo che, mentre in Debussy lo sviluppo del discorso e il suo decorso è dato dalla ripetizione veriata di figurazioni simili che si trasformano attraverso leggere varianti timbriche e melodiche, in cui la dinamica è graduale e sapientemente dosata, in Strawinsky appare subito un gioco contrappuntistico e ritmico in cui l'unità della composizione è data da una pulsazione quasi meccanica e "automatica" di fondo, sulla quale si innestano rapidissime variazioni timbriche e dinamiche, che hanno l'effetto di provocare un "avvenimento sonoro" fortemente espressivo quasi a ogni battuta.
Mentre in Debussy sembra dunque che non accada mai nulla, in Strawinsky sembra che tutto accada troppo presto; ma questi sono solo due linguaggi diversi e non delle limitazioni o delle carenze dell'uno rispetto all'altro. Strawinsky è infatti per sua natura incalzante, mentre Debussy invece cerca le allusioni e le affinità "simpatiche" con gli elementi, senza mai provocare forzature.
Ma non è detto che in lui non vi sia un'esigenza di esplosione musicale e di intensità espressiva, che appare per esempio in opere come La mer o Jeux in maniera piuttosto chiara: il dramma della tempesta sul mare o delle presenze nascoste dietro le quinte di una semplice partita di tennis è infatti sottinteso ed evocato da Debussy attraverso l'uso di brevi pedali, o dagli arpeggi caldi e pastosi dei violoncelli, o ancora dalle percussioni, dai pizzicati, dai fiati improvvisi.
Il tutto è però quasi sussurrato, accennato, mai esposto palesemente: in fondo la natura di Debussy è profondamente e originalmente intimista.
Ultimo argomento trattato in questo lavoro, prima dell'analisi vera e propria del Prélude, è stato quello del "classicismo" di Debussy: classicismo di un'epoca, classicismo da salotto, di cui l'esempio estremo e quasi kitsch fu il Vittoriale di D'Annunzio, dove il poeta si ubriacava di parole e di ideali di gloria, cercando nell'arte un'armonia che mancava nella società.
L'aspetto salottiero di Debussy non deve però essere frainteso, poiché anche un'espressione "di maniera", se realizzata da un grande, è una grande espressione; ed egli si accostò in questo modo ad aspetti più intimi della realtà, quali le musiche per bambini o i quadretti dei Préludes per pianoforte, che altrimenti, se fosse rimasto attaccato ai grandi affreschi orchestrali, forse avrebbe trascurato.
Successivamente abbiamo citato Nietzsche e le sue opinioni sulla tragedia greca e sul suo decadimento nella commedia alessandrina, descrittiva e didascalica; ma abbiamo subito precisato che nessuna superficialità o autocompiacimento sono presenti nel Prélude, opera che, per il suo argomento e per la olimpica imperturbabilità che mantiene rispetto al testo poetico, può addirittura essere considerata come "pre-tragica", anteriore al dramma, ancestrale e mitica.
Abbiamo infine cercato, nelle simmetrie e nella struttura del Prélude, di alzare un velo sull'incantesimo che questo brano porta con sé, ritrovando sulla partitura alcune delle particolarità estetiche e compositive che avevamo precedentemente esposto sommariamente; ma nonostante ciò il mistero del Prélude à l'après-midi d'une faune non appare risolto se non in minima parte, e solo per grandi linee.
Forse è bene, a questo punto, restituire quest'opera al mistero che l'ha creata, concludendo questo lavoro con le parole di Mallarmé che hanno offerto spunto per questa magica creazione, con le quali terminiamo quindi il presente studio.
Cerca dunque, o strumento delle fughe,
o perfida siringa,
di rifiorire ai laghi ove mi attendi!
Fiero delle mie musiche,
vò lungamente a celebrar le Dee;
e, a mezzo d'idolatriche pitture,
ancora io scioglierò dall'ombre loro
qualche tenero velo…
Così, quand'ho succhiato la chiarezza
dell'uve – per escludere il rimorso
con la finzione eluso – il vuoto graspo
levo, ridendo, al cielo estivo. E soffio
per entro le sue bucce luminose:
ed avido d'ebbrezza,
guardo, attraverso ad essa, infino a sera.
Roma, Giugno 1984
Note
1 B.PRATELLA, cit. in AA.VV. Omaggio a Claude Debussy, ‘Prix de Rome’1884, Edizioni Carte Segrete, Roma 1984
2 Cfr. Debussy e il simbolismo, Catalogo della mostra presso l'Accademia di Francia, Villa Medici, Roma, Aprile-Giugno 1984, F.lli Palombi Editori
3 T.W.ADORNO, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959, p.184-185
4 Ibidem
5 C.DEBUSSY, Monsieur Croches et autres écrits , in Cahiers Comoedia-Cherpentier, 18 Ottobre 1941
6 N.RUWET, Linguaggio, musica, poesia, Einaudi, Torino 1983
7 M.DENIS, in Art et critique, 23 Agosto 1890
8 I. STRAWINSKY, La poetica della musica, Curci, Milano 1978, p.58
9 V.JANKELEVITCH in Debussy et le mystère de l'instant, Plon, Paris 1976
10 P.BOULEZ, Note di apprendistato, Einaudi, Torino 1968
11 C.DEBUSSY, Lettres inédites à André Caplet (1908-1914),Éditions du Rocher, Monaco 1957
12 F.NIETZSCHE, La Nascita della tragedia, Laterza, Bari 1967, p.102; 123; 125; 139
13 J.RISSET, Introduzione a S.MALLARMĖ, Poesia e prosa, a cura diC.Onesta, Guanda, Milano 1982
14 I.STRAWINSKY, op.cit., p-32-35
15 S.MALLARMÉ, da Il pomeriggio di un fauno (ecloga), in Parnassiani e simbolisti francesi , liriche scelte e tradotte da V. Errante, Sansoni, Firenze 1953
16 Per un'analisi della partitura del Sacre vedi P.BOULEZ, op.cit., p.79-83
Bibliografia di riferimento
Theodor W. Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959
André Boucourechliev, Igor Strawinsky, Fayard, Paris 1982
Pierre Boulez, Note di apprendistato, Einaudi, Torino 1968
Debussy e il Simbolismo, Catalogo della mostra presso l'Accademia di Francia, Villa Medici, Roma, Aprile-Giugno 1984, F.lli Palombi Editori, Roma 1984
Claude Debussy, Lettres inédites à André Caplet (1908-1914),Éditions du Rocher, Monaco 1957
Claude Debussy, Monsieur Croches et autres écrits , in Cahiers Comoedia-Cherpentier, Parigi, 18 Ottobre 1941
Vladimir Jankelevitch, Debussy et le mystere de l'instant, PLON, Paris 1976
Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Laterza, Bari 1967
Omaggio a Debussy, Prix de Rome 1884, Ed. Carte Segrete, Roma 1984
Parnassiani e simbolisti francesi, liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante, Sansoni, Firenze 1953
Jaqueline Risset, Introduzione a Stéphane Mallarmé, Poesia e prosa, a cura di C.Onesta, Guanda, Milano 1982
Nicolas Ruwet, Linguaggio, musica, poesia, Einaudi, Torino 1983
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C.Debussy,