Il Miserere polivocale di Sessa Aurunca
Estratto dalla Tesi di Laurea in Etnomusicologia, Facoltà di Lettere, Università La Sapienza,
Roma 1986 (prof. Diego Carpitella),in Piero G. Arcangeli (a cura di),
Musica e liturgia nella cultura mediterranea.
Atti del Convegno Internazionale di Studi (Venezia, 2-5 Ottobre 1985),
Quaderni della Rivista Italiana di Musicologia. Società Italiana di Musicologia,
Leo S. Olschki Editore, Firenze 1988, p.69-94
(Audio)
L'espressione più intensa e significativa dello spirito e del sentimento che animano le celebrazioni della Settimana Santa, e in particolare la processione del Venerdì Santo, a Sessa Aurunca, è senz'altro il Miserere a tre voci eseguito dai cantori dell'Arciconfraternita del SS. Crocifisso, arcaico richiamo per tutta la popolazione alla preghiera e alla penitenza nel periodo quaresimale.
Questo canto struggente e drammatico, che nella breve durata delle sue strofe contiene una forte carica di compassata emotività, è solo una delle numerose espressioni della religiosità popolare quaresimale suessana, ma è di gran lunga la più amata, la più coinvolgente e la più misteriosa di tutte.
Il Miserere viene eseguito da tre cantori, membri della già nominata Arciconfraternita del SS. Crocifisso, che lo cantano esclusivamente durante la Quaresima, a notte fonda; e nell'ultimo venerdì, il Venerdì Santo, la loro presenza nella grande processione della Passione è fondamentale e acquista un aspetto catartico, nell'alternarsi con la banda che intona le marce funebri e nella suggestiva cornice dei Misteri plastici e dei roghi accesi nelle piazze al passaggio della processione. Detti cantori sono riconosciuti dai confratelli e dalla popolazione come gli unici depositari di questa tradizione orale, e sono a loro volta impegnati nel trasmettere fedelmente la tecnica di esecuzione e le melodie esatte del canto ad altri confratelli apprendisti cantori.
Il trio ufficiale attuale è formato da Vincenzo Ago (prima Voce, 44 anni, laureato, insegnante), Antonio Aurora (seconda voce, 46 anni, sarto) ed Emilio Galletta (terza voce, 53 anni, assessore comunale alla cultura); attualmente, accanto al trio ufficiale, garante della perfezione stilistica, si vanno formando altri trii di giovani e meno giovani, tutti animati da una forte passione e dal desiderio di penetrare il mistero di un avvenimento che ha accompagnato e cadenzato la loro vita fin dall'infanzia.
E non pochi sono i problemi che questo canto presenta sia per i confratelli che aspirano ad apprenderlo che per coloro che si accingono ad affrontarne uno studio dal punto di vista etnomusicologico; in tutti e due i casi, difatti, la complessità della tecnica di esecuzione e la particolare struttura melodico-armonica, che risulta dall'analisi musicale, rendono questo Miserere un originale esempio di polivocalità popolare contenente al suo interno un preciso canone estetico dal punto di vista esecutivo e, viceversa, una complessità di elementi diversi e di possibili influenze reciproche fra musica colta e musica popolare dal punto di vista strutturale, che danno adito a una serie di ipotesi sulla sua origine e sulla sua forma attuale.
1. Analisi testuale del Miserere
Dal punto di vista testuale il Miserere è preso dal Salmo 50 di Davide (Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam); ma i cantori suessani non eseguono tutte le ventuno strofe di questo salmo, bensì solo dieci, a strofe alterne, secondo un'antica consietudine della salmodia responsoriale gregoriana in cui una strofa era cantata in monodia e una in polifonia (Reese, 1980 ed. it.: 327), oppure secondo la prassi dei cori alternati maschili e femminili, oppure ancora secondo la tradizione liturgica in cui all'officiante risponde l'insieme dei fedeli (Reese, 1980 ed. it.: 130, 212-222).
Questa alternanza fra i cantori e il popolo (o chi per esso) si è persa da lungo tempo, come testimoniano gli stessi informatori, e restano soltanto queste dieci strofe che per di più non vengono mai eseguite tutte insieme, eccetto il primo venerdì di Quaresima quando, nella chiesa di S. Giovanni in Villa (sede dell'Arciconfraternita), viene esposto il primo Mistero plastico; nelle altre occasioni in cui il Miserere viene eseguito la scelta delle strofe da cantare non segue invece alcun ordine definito, ma viene dettata da altri criteri musicali o tecnici che vedremo in seguito.
Quindi la struttura testuale stessa del canto ci indica un possibile campo d'indagine, e cioè quello della melodia liturgica medievale; d'altronde il Salmo 50 è contenuto, nella forma delle ventuno strofe, nel Liber Usualis Missae et Officii, che riunisce le melodie gregoriane per il canto delle messe e degli uffici liturgici principali dell'anno (Liber, 1951: 646-647, 689-690, 734, 1763-1764, 1800-1801, 1872-1873).
Il testo latino, quindi, assume la forma di una particolare lamentazione funebre a carattere sacro e riveste una precisa funzione penitenziale, funzione che, oltretutto, è specificatamente contemplata nalle finalità che l'Arciconfraternita del SS. Crocifisso si propone, ovverosia la preghiera, la penitenza e l'assistenza, com'è rilevabile dai suoi regolamenti interni.
Ma chi volesse ricavare il senso testuale dall'ascolto del canto si troverebbe in serio imbarazzo; difatti le parole latine vengono stravolte, dilatate e letteralmente "masticate" dalle tre voci, le consonanti si fondono con le vocali e la successione delle diverse sillabe diventa incomprensibile, mentre questa inquietante colonna di suono si avvia verso la prima delle quattro cadenze che dividono il versetto.
E qui troviamo un'altra particolarità di questa recitazione che, se ricondotta agli schemi e alle forme del gregoriano, risulta senz'altro sui generis . Generalmente, infatti, la formula salmodica nel gregoriano divideva in due il versetto, essendo caratterizzata dalla successione di due semiversi o emistichi (Reese, 1980 ed. it.: 209) (Cattin, 1981: 79-84); nel Miserere suessano, invece, gli emistichi sono cinque (sebbene il primo e il terzo siano uguali dal punto di vista musicale) e ognuno di essi finisce in una cadenza seguita da una pausa; quindi la struttura ritmica del canto sfugge, almeno sotto questo profilo, ai canoni della salmodia gregoriana.
A questo punto potremmo porci dunque due primi interrogativi, entrambi desunti dall'analisi del testo, sulla probabile o presunta derivazione del Miserere dalla tradizione liturgica ufficiale:
- Che cosa sostituiva i versetti mancanti?
- Nell'ipotesi di una derivazione del Miserere dalla salmodia gregoriana, come mai troviamo le strofe divise in cinque emistichi e non in due?
Questi sono solo due esempi delle problematiche che sorgono nel corso dell'indagine etnomusicologica, ma è bene precisare che lo scopo di una tale ricerca non è solo quello di trovare delle ascendenze, ma può avere come esito anche la negazione di ascendenze non più ipotizzabili; in questo caso rimandiamo quindi ogni ulteriore commento su questi punti all'analisi musicale vera e propria.
2. Esecuzione e trasmissione del canto
Proseguendo nella descrizione del Miserere possiamo notare, dal punto di vista dell'esecuzione e della trasmissione del canto, tutta una serie di fattori che rivelano, come già è stato detto, la presenza di regole e di modelli esecutivi ben precisi e codificati, dei quali si fa garante, presso la popolazione e presso gli apprendisti cantori, il trio ufficiale.
Innanzitutto il canto si compone di tre voci (alta, media e bassa), che i cantori chiamano "prima voce", "seconda voce" e "terza voce" e che corrispondono, in note reali, al Re', al Si e al Sol in senso discendente (vedi trascrizione musicale allegata); le voci, quindi, partono secondo intervalli di terza, che i cantori chiamano "a note alterne".
Le tre voci, come i cantori sottolineano, sono intimamente collegate fra loro, non solo da un punto di vista melodico o armonico, ma anche e soprattutto da un punto di vista timbrico; nel Miserere infatti non si può cantare una parte distinta dall'altra, in quanto le parti sono inscindibili fra loro, e questo a causa della natura stessa del canto e dell'apprendimento di esso.
E' necessario, secondo i cantori, un ottimo affiatamento fra gli esecutori e non basta la conoscenza delle melodie per mettere insieme le tre voci; il trio si struttura da solo, e ha bisogno di un'amalgama particolare che porta i cantori a cantare sempre e soltanto con lo stesso trio, di modo che le entrate, le uscite, le cadenze e i volumi del canto (nonché le durate, le chiuse e l'intensità di emissione della voce) siano sempre il frutto di un lavoro di gruppo e siano adattate a "quelle" specifiche voci ed eseguite sempre da esse.
L'importanza magica, apotropaica ed evocativa assunta, a questo proposito, dal timbro della voce e dai "manierismi vocali" (Sachs, 1979 ed. it.: 102-109) nel canto rituale delle culture popolari e primitive, è stata messa in rilievo in più occasioni nel campo degli studi etnomusicologici; particolarmente significative ci sembrano, a riguardo, le seguenti affermazioni di Sachs sull'uso dei manierismi vocali:
Il canto, quando si caratterizza come atto di estasi e di spersonalizzazione, si distacca dalla comune espressione umana. La voce è spesso assai lontana dall'essere "naturale" così come crediamo che sia la nostra esecuzione. Essa assume sfumature diverse, come accentuazioni e falsetti, che assomigliano al ventriloquio e al lamento. Essa può assomigliare a un grido, a un urlo, come a uno squittìo, a un borbottìo, o assumere un suono nasale. Alcuni suddividono queste sottili sfumature di maniera rigorosamente, a seconda dell'intento che ha il canto (…).
Gli atti intesi a eliminare le caratteristiche individuali della voce umana nei rituali magici non esauriscono l'insieme dei manierismi specifici che in tutto il mondo caratterizzano vari stili musicali. (…) Anzitutto, a esclusione del mondo occidentale moderno, nessun popolo canta con una voce che possa dirsi naturale (…). Infine, le differenze regionali nel modo di emettere la voce sono spesso più significative che le gamme e le strutture tonali. Il modo in cui si canta non è meno significativo di ciò che si canta. (Sachs, 1979 ed. it. : 102-103).
Nel caso del Miserere suessano il timbro particolare prodotto dalle tre voci insieme, simile al suono di un organo molto metallico, è determinato dall'uso che i cantori fanno, sulla base della nota fondamentale, degli armonici vocali del "primo formante" (Benade, 1963: 76), pratica spontanea in uso in moltissime altre regioni d'Italia e della terra, che contraddistingue questo stile di canto (proprio, in particolare, di quell' area mediterranea o meridionale (…) che va dal Golfo Persico a Gibilterra, toccando l'Africa settentrionale e buona parte dell'Europa mediterranea (Leydi, 1973: 15), in cui Leydi rintraccia la presenza di tecniche di emissione vocale a gola chiusa e voce forte, alta, lacerata (Leydi, 1973: 15); in altre parole, dilatando o restringendo il palato e la glottide, muovendo la lingua e nasalizzando i suoni, i cantori emettono tutta una serie di suoni superiori alla nota fondamentale (gli armonici, per l'appunto) che determinano, come anche nel caso degli strumenti musicali, il timbro della voce (Kàrolyi, 1969 ed. it.: 21-22).
Questo processo è particolarmente evidenziato dalle chiuse dei semiversi, in cui le diverse vocali vengono contratte fra loro determinando l'effetto citato; e come esempio di vocalità extraeuropea che usi un procedimento analogo (anche se portato alle sue estreme conseguenze) possiamo ricordare la contrazione della sillaba AUM del canto tibetano religioso, in cui per l'appunto si sviluppa su di un unico suono costante tutta la serie degli armonici superiori (Sachs, 1981 ed. it.: 141) e, in questo caso specifico, sembrerebbe anche quella di quelli inferiori (i cosiddetti "subarmonici").
Questi aspetti timbrici ed esecutivi determinano del resto anche la scelta delle strofe da cantare, in quanto ciascuna voce ha, secondo i cantori, una sua vocale preferita su cui effettuare le "girate" (ovvero le cadenze o le semicadenze); la prima voce, più nasale, ha come vocale caratteristica la I, la seconda voce la E e la terza voce, la voce bassa, la O. Logico quindi che vi siano delle strofe che per la presenza maggiore o minore di certe vocali e di certe consonanti siano più facili da cantare e di maggiore effetto sonoro, così da essere preferite ad altre.
E' bene precisare comunque, tornando un attimo all'ordine di esecuzione delle diverse strofe, che la strofa di apertura è sempre, in qualunque occasione, la prima, Miserere mei Deus, cui fanno seguito, intervallate da silenzi più o meno lunghi, le altre a scelta.
Vorrei riportare, a questo punto, un'intervista fatta a un giovan cantore della nuova guardia, Sergio Riccio (prima voce, 27 anni, insegnante di Educazione Fisica), incontrato durante la processione a Sessa il 5 aprile 1985, e facente parte di un trio di giovani formato insieme al fratello (Alessandro Riccio, seconda voce, diciannove anni, studente) e al cugino (Raffaele Modelfino, terza voce, 27 anni, disoccupato), che spiega, meglio di ogni altra asserzione, la posizione dell'apprendista nei confronti del canto e del trio che lo trasmette; bisogna precisare infatti che a Sessa sono presenti diversi gruppi di cantori non ufficiali, formati da elementi di fasce sociali ed età diverse (dai venti ai cinquant'anni), tra i quali un giorno verrà scelto il gruppo che erediterà il ruolo ufficiale dell'attuale trio Ago-Aurora-Galletta.
Domanda: Mi dica qualcosa sulla trasmissione di questi canti e sul passaggio dalla "vecchia guardia" alla nuova.
Risposta: In effetti ognuno di noi giovani facenti parte della Confraternita aspira a imparare questo canto. Solo che non è un traguardo facilmente raggiungibile, in questo senso: gicché la cosa si tramanda oralmente da maestro a discepolo e non c'è nulla di scritto, è proprio la passione dei cantori ufficiali che li porta a cercare di interessarsi a qualcuno che possa recepire il canto nel modo più autentico.
Per cui soltanto coloro che dimostrano moltissima volontà e passione riescono, dopo parecchi anni, a impararlo; noi siamo stati relazitvamente fortunati, ci abbiamo impiegato tre-quattro anni, ma altri possono metterci ancora più tempo.
Insomma, si arriva all perfezione vera e propria soltanto dopo parecchi anni; talvolta sono stati necessari addirittura 10 anni.
D. In base a cosa stabilite il criterio di perfezione?
R. Per perfezione s'intendono diverse cose: per esempio, che le tre voci inizino sempre in modo diciamo "velato", per poi entrare insieme e non fare mai accusare lo stacco fra l'una e l'altra voce, in modo che si formi proprio un timbro d'organo dato dalle tre voci.
I vari passaggi devono essere fatti a regola d'arte: mentre uno entra l'altro deve cercare di uscire piano piano senza farsi accorgere, per poi rientrare di nuovo senza stacchi particolari. E poi ancora nell'uscita, che si fa sempre con due vocali, A e U, e si cerca di finire sempre insieme, senza che rimangano una o più voci da sole.
Quando si prende fiato, inoltre, ognuno deve cercare di farlo in modo abbastanza silenzioso, senza farsi accorgere; a volte si sbaglia e si prende fiato in due, cosicché vengono a mancare simultaneamente due voci. E poi c'è anche il timbro metallico della voce (…).
D. Imparare questo timbro richiede molto sforzo?
R. Mah, questa è una dote genetica, naturale; si riesce a farlo in quanto la si possiede. Ma non è l'affinamento di queste voci che richiede molto tempo, perché lo scheletro, la base del canto è facilmente acquisibile anche in un anno, mentre è il sincronismo, l'affiatamento delle voci che richiede tempo.
Poi, per esempio, nelle frasi che cantiamo voi sentite solo le vocali, mentre le consonanti quasi non si sentono; questo fa sì che il canto prenda proprio la caratteristica del lamento.
Quindi la perfezione è raggiungibile soltanto con gli anni, con la costanza; e poi ogni trio deve cercare di cantare solo e soltanto con quegli elementi, perché fra un trio e un altro c'è sempre qualche differenza particolare, anche se piccola. Allora bisogna cercare sempre l'affiatamento che deriva dalle prove continue sempre degli stessi elementi, senza mai cambiare.
D. Che cosa rappresenta per voi il Miserere? Che significato ha, a parte quello religioso?
R. Be', il canto del Miserere, a parte il suo significato religioso, rappresentava per noi ragazzi, che cercavamo di imitarlo e di emularlo, un po' il mito, qualcosa di irragiungibile, perché non ci capivamo proprio niente. Inoltre noi non abbiamo studiato musica, per cui non ci riusciva proprio di capire cosa fosse il Miserere e come cantarlo.
Poi venne l'approccio con questi fratelli, i quali intravidero in noi la forte passione; forse non si rendevano nemmeno conto se eravamo in grado di farlo o no, ma vedendoci motivati da questa forte passione loro stessi vennero spronati a darci i primi iniziali suggerimenti. Se non fosse stato per loro e per la volontà di dare alla città un altro trio che potesse continuare la tradizione del Miserere, forse non avrebbero pensato di istruirci, o non avrebbero fatto niente per invogliarci.
Invece noi abbiamo tenuto duro testardamente, e siamo voluti arrivare a questo proprio perché ci piaceva moltissimo e aspiravamo a ciò in maniera straordinaria.
In effetti a Sessa, fra le persone che non sono confratelle, ci sono molti che vorrebbero imparare a cantarlo; perché il popolo suessano quando sente il Miserere si commuove profondamente, non soltanto nella serata della procesione ma per tutta la Quaresima. Quindi ogni venerdì per le strade di Sessa, anche se l'ora è tarda (mezzanotte, l'una, le due), quando si ascolta il canto del Miserere la gente si compiace, si sveglia volentieri e si affaccia alla finestra cercando di sentirlo.
Come risulta da questa intervista, la "perfezione" stilistica del Miserere è tenuta in gran conto dai cantori, i quali hanno ben presente un preciso modello di esecuzione, che è a tutti gli effetti un modello estetico, al quale ogni apprendista e ogni trio si deve rifare, assicurando così la continuità della tradizione e l'esattezza della trasmissione del canto di generazione in generazione.
Inoltre il legame fra il trio ufficiale e il trio di nuova formazione è strettissimo, sebbene l'insegnamento effettuato dal primo si limiti, dopo il periodo di apprendimento delle melodie vere e proprie, a una correzione dell'esecuzione molto empirica e, soprattutto, diluita nel tempo, di modo che il Miserere maturi da solo nel canto degli apprendisti; quest'opera di insegnamento e di raffinamento dell'esecuzione viene, infine, svolta da ogni voce del trio ufficiale personalmente e singolarmente con la voce rispettiva del nuovo trio, pur non perdendo mai di vista la visione d'insieme e l'amalgama globale, preoccupazione primaria e aspetto fondamentale di tutta l'esecuzione del Miserere.
Da sottolineare, a conclusione di questo paragrafo, la scelta dei luoghi dove i cantori preferiscono eseguire il canto: androni di casa, angoli, rientranze e portoni, tutti luoghi dove, a parte le interpretazioni magico-apotropaiche (peraltro molto plausibili) e il necessario raccoglimento che questa lamentazione richiede, l'acustica particolare fornisce gli effetti di risonanza che sono propri di questo stile di canto, mettendo in rilievo per l'appunto l'aspetto timbrico e armonico dei suoni emessi, e fungendo quindi da vera e propria cassa di risonanza.
3.Analisi musicale del Miserere
Prendiamo in esame, a questo punto, l'aspetto musicale del Miserere, basando la nostra analisi sulla trascrizione da noi effettuata il 26 marzo 1986 e operando un confronto con quella effettuata da Sandro Biagiola nel 1976 (Biagiola, 1980: 10).
Prima di procedere, tuttavia, dobbiamo fare alcune precisazioni: lo stadio attuale degli studi sul Miserere di Sessa non ci consente di trarre alcuna conclusione sulla sua origine, sulla sua formazione o sui processi di trasformazione che questo canto può aver avuto nel corso dei secoli, né di affermare con certezza determinate influenze di varia provenienza o processi specifici di assimilazione da altre forme o stili musicali e vocali.
Possiamo solo, ora come ora, proporre delle ipotesi o scartarne altre, tenendo presenti molteplici fattori che emergono dall'analisi della trascrizione, dalla comparazione del canto con altri esempi simili, dalla tradizione musicale liturgica e colta, da elementi extramusicali di natura storica, coreutica, religiosa e folklorica; ma vogliamo nuovamente precisare che queste sono solo ipotesi e non già conclusioni definitive.
Dal punto di vista testuale il discorso è già stato sviscerato nelle pagine precedenti, essendo emersi due interrogativi importanti sulla scelta dei versetti da cantare e sulla divisione della strofa in cinque emistichi, elementi che non riscontriamo nella salmodizzazione gregoriana; a questo dobbiamo aggiungere però la presenza durante il Triduo Sacro della cerimonia dell' Ufficio delle Tenebre , tenuta nella serata di Mercoledì Santo e quindi appartenente già alle funzioni liturgiche del Giovedì, in cui vengono eseguite (sempre dai cantori dell'Arciconfraternita del SS. Crocifisso) la Lamentationes del profeta Geremia, ma questa volta non più in forma polifonica, bensì in forma di melodia accompagnata all'armonium. Queste Lamentationes si ritrovano ufficialmente nella liturgia cattolica, essendo cantate durante la recita del Mattutino dell' Ufficio delle Tenebre ; e lo stesso Gesualdo da Venosa (1560 ca. – 1613) scrisse un libro sui Responsori delle Tenebre, in cui il compositore napoletano esaltava, attraverso un cromatismo pre-barocco e un insistente uso di dissonanze, i temi della morte e del dolore, secondo uno stile che non si accontentava più del descrittivismo e del simbolismo propri del madrigale di Marenzio, ma trendeva a un'espressione diretta e immediata dei sentimenti (Dent, 1969 ed. it..: 52).
Sebbene le melodie delle Lamentationes suessanne ricalchino le forme della melodia accompagnata della musica liturgica colta, e non risentano minimamente di matrici e influssi popolari, è nella cerchia di Gesualdo, nonché nello stile delle villanelle napoletane (come De Simone sottolinea) (De Simone, 1979: 55), che può essere ricercata un'assonanza stilistica o una reciproca influenza fra le melodie del Miserere suessano e gli stili e i generi del canto cinquecentesco napoletano; l'analisi e i raffronti che De Simone compie, dal punto di vista armonico, fra i movimenti accordali in secondo rivolto del Miserere e l'uso di quinte parallele delle villanelle popolareggianti è molto interessante sotto questo profilo (De Simone, 1979: 55), e torneremo su questo argomento nel paragrafo dedicato alle ipotesi di trasmissione musicale fra musica d'arte e musica popolarenel Miserere di Sessa Aurunca. Resta da vedere se l'analisi armonica e le eventuali ipotesi che da essa possono sorgere, non si scontrino con l'analisi melodica delle singole voci del Miserere, creando così un interessante problema di lettura, come andiamo subito a vedere.
L'analisi delle singole voci del Miserere di Sessa ci pone, innanzitutto, di fronte a un problema di impostazione: nel ricondurci in questo studio della salmodia liturgica dobbiamo prescindere da una visione ritmica (ripetizione degli emistichi e divisione della strofa in diverse parti) e da una visione armonica (cioè verticale e comunque unitaria di tutto il brano), puntando l'attenzione solo sulle cellule strutturali e sulle formule melodiche che si sviluppano nelle singole voci, e che possono riferirci a un modello di tipo gregoriano. Dobbiamo, cioè, analizzare le melodie secondo questo punto di vista, ovvero quello della salmodia gregoriana.
La terza voce, la voce bassa, riveste essenzialmente il ruolo di "bordone" e di pedale, sebbene sia un pedale armonico e non modale in quanto non ha valore costantemente di tonica, ma diventa ora un rivolto di sottodominante, ora il basso per una modulazione o per un attacco sulla dominante; queste brevi considerazioni armoniche non vogliono smentire le premesse dianzi poste, ma solo rilevare il carattere non strutturale della voce bassa, posta com'è a semplice sostegno armonico delle due voci superiori.
Nell'analisi di queste ultime ci viene posto un altro problema, e cioè se dobbiamo considerare il Miserere come un'elaborazione a tre voci e fiorita di un canto monodico oppure una riduzione impoverita di una polifonia; nel primo caso dobbiamo quindi trovare quale fra le due voci superiori sia più riconducibile a una originaria formula salmodica gregoriana (Reese, 1980 ed. it.: 208).
E a questo punto si apre il campo alle diverse ipotesi relative all'andamento della seconda e della prima voce. Partiamo da quest'ultima; nel movimento della prima voce non c'è traccia delle tre parti di cui si compone la formula salmodica gregoriana, e cioè l'intonazione, la corda di recita e la cadenza (Cattin, 1981: 104); (Reese, 1980 ed. it.: 132) (es. n. l p. 162). Si potrebbe obiettare che non tutte le forme salmodiche avevano, nel gregoriano, questo tipo di struttura; nel caso del "salmo diretto", ad esempio (Reese, 1980 ed. it.: 212), la recitazione cominciava senza antifona, ed inoltre nei processi di assimilazione di melodie straniere o estranee alla tradizione locale le formule d'intonazione venivano adattate allo· stile e al temperamento del popolo che le eseguiva; questa, d'altronde, è una caratteristica comune a tutti gli aspetti delle trasmissioni culturali. Ma nonostante queste possibili obiezioni, se confrontata alla melodia della seconda voce la prima appare senz'altro più povera di movimento melodico e sembra essere, insieme alla terza, una giustapposizione successiva, risultato di una vera e propria armonizzazione della seconda voce, che presenta invece, perlomeno in certi punti, una vera e propria struttura salmodica.
Abbiamo difatti nella seconda voce, nelle sezioni A e A' che sono uguali melodicamente anche se variano metricamente secondo il testo, la presenza di una formula d'intonazione che dal Si sale per gradi congiunti al Re, nota che si presenta, anche grazie al raddoppiamento che avviene nella prima voce, come la corda di recita di questo emistichio; poi la melodia ridiscende e ritorna al Si, mentre la voce superiore si porta sul Mi dando così alla melodia della seconda voce un effetto armonico di "ritardo" - a cui si riferiva De Simone (De Simone, 1979: 55) - sull'accordo di Do in secondo rivolto. La nota strutturale di questa sezione, per quanto riguarda la seconda voce, non è quindi il Do (come potrebbe apparire da un'analisi verticale in cui abbiamo un passaggio sul quarto grado) bensì il Re, che si presenta per l'appunto come la corda di recita.
Proseguendo nell'analisi delle sezioni successive, sempre riferita alla seconda voce, notiamo la continuazione di un movimento per gradi congiunti nella sez. B che però esula dai canoni della salmodia, portandosi sul Sol diesis in una modulazione preparata dal movimento del basso sulla sensibile, che conduce all'accordo di Mi maggiore in cui manca la quinta.
Queste alterazioni, questa presenza di semitoni che si riscontra anche nella cadenza finale della strofa (in cui si finisce su un accordo che potrebbe sembrare, armonicamente, di Si maggiore) è estranea allo stile della salmodia gregoriana, e sembra a tutti gli effetti essere il frutto di un'esigenza esclusivamente armonica; per quanto nella seconda voce l'ultima nota della strofa, se interpretata come Si invece che come Do bemolle (come invece fa Biagiola forse volendo evitare di fornire un'interpretazione armonica troppo marcata e di matrice "culta") (Biagiola, 1980: 10), non sarebbe altro che il ritorno della melodia sulla nota di partenza, e cioè sul Si della formula d'intonazione iniziale.
In conclusione, da un'analisi delle tre voci dal punto di vista melodico sono emersi elementi contrastanti:
La terza voce (bassa) si configura semplicemente come un supporto armonico per le due voci superiori, senza fornirci indicazioni di rilievo.
La seconda voce (media) presenta in alcuni punti le caratteristiche di una vera e propria formula salmodica, ma le alterazioni che presenta la rendono diffìcilmente riconducibile a un preciso modo ecclesiastico, sebbene la nota iniziale e quella finale di tutto il brano possano essere interpretate come uguali.
La prima voce (alta) sembra essere il risultato di un'armonizzazione successiva, quantunque presenti note di passaggio e alterazioni che potrebbero indicare un movimento melodico autonomo; abbiamo citato inoltre, a questo proposito, il "salmo diretto" come esempio di salmodia che non contiene antifona, ma parte direttamente sulla corda di recita.
Infine certe perplessità sull'andamento melodico delle voci sono invece chiarite dai passaggi armonici, che rendono evidente e necessario in questo senso il ricorso alle numerose alterazioni.
Qual'è il ruolo dell'armonia in tutto questo? Leggendo il Miserere in senso verticale notiamo una serie di passaggi armonici piuttosto precisi, anche se, ricondotti alle regole dell'armonia colta, non del tutto ortodossi:
Sezione A: partenza sulla tonica con una triade perfetta, passaggio sulla sottodominante in quarta e sesta con ritardo della fondamentale nella seconda voce, ritorno alla tonica con ritardo della terza e "abbellimento" nella voce superiore.
Sezione B: triade di sensibile che ritorna alla tonica con raddoppio della terza, movimento verso il Mi (relativa minore di Sol) attraverso un'instabile triade di sensibile del Mi in primo rivolto e modulazione con cadenza che risolve sul Mi maggiore invece che minore, con ritardi vari nelle voci inferiori.
Sezione A': stessa struttura armonica della sez. A.
Sezione C: accordo di sottodominante in secondo rivolto, abbellimento nella voce superiore e ritorno alla tonica cori ritardo della terza.
Sezione D: triade perfetta di Sol, passaggio sul quarto grado in secondo rivolto e cadenza finale che abbassa tutte le voci di un semitono; l'effetto di questa cadenza è estremamente drammatico, e potrebbe essere interpretato come una ripresa della seconda parte della sez. B, ma questa volta fermandosi sul SI maggiore in secondo rivolto senza modulare al Mi.
In verità queste serie di modulazioni e di movimenti cromatici nelle sez. B e D sono piuttosto originali se paragonate alla semplice alternanza di primo e quarto grado nella sez. A, A' e C, ma potrebbero avere una possibile spiegazione se accettiamo l'ipotesi di un'armonizzazione del canto secondo gli stili e le tendenze del madrigale cromatico e della villanella napoletana cinquecenteschi.
Una cosa, comunque, risulta senz'altro evidente, almeno al momento attuale degli studi: l'incompatibilità stilistica fra una lettura melodica e una lettura armonica del Miserere, che potrebbe far supporre una serie di passaggi successivi del canto da uno stile a un altro, e una sua evoluzione in tappe diverse.
L'ipotesi di una tessitura polifonica successiva, tardo-cinquecentesca, costruita su di una originaria formula salmodica liturgica gregoriana, polifonia che risentiva quindi dei generi e degli stili in voga all'epoca, è secondo noi a questo punto la più plausibile, ma ripetiamo ancora che si tratta solo di ipotesi e non di tesi definitive; approfondiremo dunque maggiormente tale ipotesi nelle pagine seguenti.
5 . Elementi storico-geografici.
Vogliamo fare, in conclusione, una breve panoramica su alcuni elementi di natura storico-geografica, che possono dare al Miserere suessano anche una collocazione geografica e temporale, oltre che semplicemente stilistico-musicale.
Esistono infatti interessanti esempi di Miserere popolari polivocali, eseguiti con uno stile di canto simile a quello usato dai cantori suessani, anche in Sardegna ( MiserereProcessionale e Quaresimale di Castelsardo), una regione che, come anche la Campania, è stata a lungo sotto la dominazione spagnola (aragonese in Sardegna e successivamente, in Campania, borbonica).
Inoltre la processione del Venerdì Santo di Sessa ricalca moltissimo, in tutti i suoi aspetti coreutici e scenografici, la grande processione di Siviglia in Spagna, dove ritroviamo con un ruolo di prim'ordine una Confraternita aggregata all'Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Marcello in Roma, denominata Real, ilustre y fervorosa hermandad de la Sagrada Expiracion de N.S. Jesuchristo y Maria Santissima de las Aguas (Leòn, 1981: 86); moltissime sono state quindi le influenze della religiosità e delle usanze spagnole nei territori soggetti alla loro dominazione, e lo stesso culto particolare della figura del Cristo morto e della Deposizione è uno degli aspetti più caratteristici della religiosità iberica (Leòn, 1981: 11-13); (Corbin, 1960: 22-25). Inoltre la data di aggregazione della Confraternita di Sessa a quella di S. Marcello risale al 1609, periodo in cui la dominazione spagnola in Campania era quanto mai presente (Varone, 1986: 88); da questi elementi e dalla diffusione di uno stile di canto che potremmo definire a voce piena e lacerata (Leydi, 1973: 15) in tutte le regioni del Mediterraneo occidentale, è emersa dunque l'ipotesi di una comune matrice arabo-andalusa che si sia diffusa in seguito nei territori occupati dal Regno di Spagna; esempi di questo genere di canto possono essere il canto flamenco , le saetas (canto proprio della processione sivigliana eseguito in due diverse tonalità) e il jipio, lamento di dolore tipico del canto andaluso.
Ma non dobbiamo dimenticare che le processioni quaresimali, le rappresentazioni sacre di natura popolare (come il dramma liturgico) e la diffusione delle confraternite e delle congregazioni laiche nella penisola sono fenomeni che risalgono al Medioevo (Moroni, 1842: 118-123), prima ancora quindi della dominazione spagnola; inoltre Sessa Aurunca è stata per tutto il Medioevo l'ultima stazione postale per il Sud, centro di tutte le peregrinazioni dei santi e dei devoti dell'epoca (Volante, 1986: 96); l'impronta medievale nello spirito di questa forma di religiosità, nonché nel genere del Miserere liturgico e nelle sue caratteristiche melodiche, è quindi profonda, e va tenuta in considerazione.
Ultimo appunto sulla situazione storico-geografica del Miserere di Sessa è la sua totale originalità e autonomia rispetto ai canti del circondario o delle altre occasioni festive o religiose della città, come i canti del Carnevale (Stanziale, 1977: 50-57) o le ninne-nanne ancora rinvenibili; questa diversità dal repertorio locale pone il Miserere suessano in una posizione a sé stante, chiuso in una propria specifica tradizione e semmai collegato stilisticamente e idealmente con regioni lontane come la Sardegna e la Spagna.
7. Modelli compositivi ed elementi stilistici della musica colta medievale e cinque-seicentesca
rinvenibili nelle strutture melodico-armoniche del Miserere di Sessa Aurunca.
L'ipotesi della derivazione del Miserere suessano da un'originaria formula salmodica gregoriana, successivamente armonizzata a tre voci secondo gli stili e le influenze derivanti dalla musica popolare e colta di un periodo successivo cinque-seicentesco, trova altri precedenti nelle considerazioni effettuate sul Miserere da De Simone (De Simone, 1979: 55) e Biagiola (Biagiola, 1980: 10), i quali hanno entrambi messo l'accento sulle possibili corrispondenze e trasmissioni musicali tra musica popolare e musica colta del tempo, in senso ascendente o discendente.
Vediamo dunque più da vicino questo aspetto, cercando di capire in che modo tali generi musicali o stili compositivi colti possano aver influenzato l'armonizzazione del Miserere o, viceversa, se degli elementi propri della pratica musicale di tradizione orale possano riscontrarsi nella pratica compositiva della musica vocale coeva.
La pratica dell'elaborazione polifonica del cantus firmus gregoriano, generalmente posto al tenor con valori temporali molto dilatati, fu uno dei primi procedimenti compositivi usati nella polifonia medievale, e si sviluppò notevolmente lungo tutto un arco di tempo che comprese anche i secoli XV, XVI e XVII, evolvendosi man mano secondo stili e forme sempre più elaborate e corrispondenti ai gusti del tempo (Reese, 1980 ed. it .: 327; 332); (Anglés, 1969 ed. it.: 433-435).
Nel caso della polifonia liturgica seicentesca spagnola, ad esempio, Anglés sottolinea la consuetudine di ornare polifonicamente il cantus firmus in stile nota-contro-nota (Anglès, 1969 ed. it.: 433), elaborando contrappuntisticamente la melodia gregoriana in tutti gli otto modi ecclesiatici [ ... ] secondo la tradizione del falso bordone spagnolo (Anglès, 1969 ed. it.: 435) .
Da notare che la tecnica del "falso bordone" (di origine probabilmente inglese ma successivamente adottata anche sul continente) era caratterizzata da progressioni di accordi di terza e sesta, derivanti originariamente nel Medioevo da un genere di improvvisazione, da adattarsi a qualsiasi cantus fìrmus a prima vista (Reese, 1980 ed. it.: 500), ed era idealmente adatta per la scrittura a tre voci (Reese, 1980 ed. it.: 504).
Inoltre, sempre nel periodo medievale, la tecnica delle terze e seste fu applicata spesso in composizioni a tre voci in cui la voce mediana aveva la melodia principale [ ... ] (Reese, 1980 ed. it.: 504), cioè quella stessa melodia, molto spesso gregoriana, che posta al tenor diveniva, appunto, il cantus fìrmus.
Questi esempi, tratti dalla polifonia medievale e in seguito adottati anche dalla polifonia dei secoli successivi, ci mettono in evidenza alcuni aspetti molto interessanti di una pratica compositiva polifonica originaria, in cui sono rinvenibili alcune caratteristiche proprie anche della pratica polifonica di tradizione orale, in special modo rapportabili al caso del Miserere di Sessa Aurunca: l'elaborazione contrappuntistica del cantus fìrmus , la tradizione del "falso bordone", le progressioni accordali in primo rivolto e l'origine improvvisatoria di tale tecnica, derivante dall'elaborazione a tre voci del solo cantus fìrmus , nonché la consuetudine di porre la linea melodica principale nella voce mediana, sono tutti elementi che rinveniamo, seppure con sfumature e caratteristiche diverse, anche nell'analisi del Miserere suessano; ma soprattutto ci indicano la presenza nella musica polifonica vocale medievale di pratiche improvvisatorie (il cantare ad librum ) (Ziino, 1975: 170-171), che hanno generato le tecniche di progressioni con accordi perfetti o in rivolto, tecniche che ritroviamo, con quinte ed ottave parallele, anche nelle villanelle cinquecentesche (De Simone, 1979: 55) o, con accordi di quarta e sesta, nel Miserere di Sessa, e più in generale rinvenibili frequentemente nella polivocalità popolare della nostra penisola.
Come dice Ziino, si pensa che questo genere di polifonia liturgica non scritta e di tipo improvvisatorio sia stato impiegato normalmente in tutte le chiese e conventi dell'Occidente, contemporaneamente alla polifonia artistica e più raffinata, praticata nelle cattedrali e nelle cappelle di corte.
L'esistenza di un tale repertorio di tradizione orale apparirà fuori discussione quando si pensi alla pratica di cantare "ad librum", pratica che consisteva nell'improvvisare un contrappunto su un canto liturgico già sufficientemente noto (Ziino, 1975: 170-171).
La consuetudine di elaborare polifonicamente "a vista" una melodia gregoriana scritta, nonché l'usanza di porre tale melodia, nelle composizioni a tre voci, nella voce mediana (usanza questa non frequente ma tuttavia rinvenibile nel repertorio del tempo) (Reese, 1980 ed. it.: 504-505), erano quindi delle pratiche usualmente adottate nella polivocalità liturgica e paraliturgica medievale; ma queste considerazioni, peraltro molto importanti per la comprensione dell'origine di certi procedimenti quali le progressioni accordali perfette o in rivolto oppure l'usanza di cantare ad librum o con un organum improvvisato (Ziino, 1975: 170-171), non possono da sole esaurire il discorso sul Miserere suessano, soprattutto per due motivi principali: innanzitutto, posta l'ipotesi che nella seconda voce sia rintracciabile la presenza di un'originaria formula salmodica gregoriana, la struttura armonica del Miserere risente notevolmente di una certa attrazione tonale, in particolar modo nelle due cadenze delle sez. B e D, attrazione tonale che era propria dello sviluppo successivo del madrigale cinquecentesco, e specialmente del madrigale cromatico (Dent, 1969 ed. it.: 51-52), e non rinvenibile nel carattere diatonico della armonia medievale (Dent, 1969 ed. it.: 59).
Inoltre l'uso delle triadi consecutive, l'omoritmia e lo spostamento della parte superiore o della linea melodica principale nella voce mediana (che assumeva ormai il nome di tenor , in origine riservato alla voce bassa contenente il cantusfìrmus ) sono caratteristiche proprie e peculiari delle forme polivocali a tre voci popolari o popolareggianti del periodo cinquecentesco, come le villotte o le villanelle, sviluppatesi quest'ultime notevolmente nel Napoletano e in Campania, e che, pur risentendo di quella tendenza medievale ad accostare le scale una all'altra alla distanza di un tono [ ... ] , tendenza che si combina [ ... ] con una individuazione inequivocabilmente chiara dell'armonia diatonica (Dent, 1969 ed. it.: 59), non erano tuttavia prive di caratteristiche armoniche e soprattutto melodiche inseribili, come vedremo, in quella progressiva ricerca tonale della polifonia cinquecentesca, che mirava ad una pratica, se non teorica, individuazione del circolo delle quinte (Dent, 1969 ed. it.: 51); (Thomas, 1983: 12).
Inoltre le strutture formali ed armoniche delle villanelle, specialmente nei due casi di Giovan Domenico da Nola e di Vincenzo Fontana, sono molto simili alle analoghe strutture emerse dalla trascrizione e dall'analisi del Miserere suessano; svilupperemo quindi il discorso in questo senso, spostando l'attenzione dal Medioevo al Cinquecento, ma non per questo perdendo di vista quegli elementi di origine medievale affrontati in precedenza, elementi che peraltro si ritrovano anche nello sviluppo delle forme polifoniche vocali dei periodi successivi.
Leggiamo, sull'avvento del cromatismo nel madrigale cinquecentesco, le seguenti definizioni di Dent, precisando che il termine "cromatico" viene qui preso in esame in senso melodico ed armonico, tralasciando l'aspetto ritmico-temporale dei valori di durata, al quale era anche riferito, in un'altra accezione, tale termine: [ ... ] l'espressione può significare anche l'uso di intervalli cromatici, e qui bisogna distinguere tre casi diversi. In primo luogo si ha la comune alterazione della sensibile mediante un diesis nella cadenza e quindi l'analoga alterazione di qualsiasi nota che si trovi promossa temporaneamente al grado di sensibile in qualunque "tono", in una cadenza o meno; lo stesso principio vale per l'uso del bemolle, analogamente al b molle medievale, in qualsiasi "tono". In secondo luogo, si nota l'impiego di intervalli melodici di semitono in senso ascendente o discendente, sia che la melodia si limiti ad un solo grado cromatico, sia che ne contenga addirittura dodici, producendo cosi una scala cromatica completa. In terzo luogo si ha l'uso di suoni cromatici raggiunti di salto oppure per gradi congiunti, allo scopo di ciò che oggi si direbbe una modulazione e in vista eventualmente di una pratica, se non teorica, individuazione del completo "circolo delle quinte.
Queste tre forme di cromatismo debbono essere considerate separatamente. [ ... ] L'uso melodico della scala cromatica, dapprima per alcune note soltanto, nasce certamente da un'intenzione espressiva, sollecitata dal significato delle parole. La musica di chiesa la evitava sistematicamente [ ... ] . Le autorità ecclesiastiche, sempre ostili alle innovazioni, consideravano effemmminato e immorale il cromatismo. (Dent, 1969, ed. it.: 51-52).
Il cromatismo si contrapponeva dunque, nel madrigale, al diatonismo dei modi ecclesiastici, e, sebbene nato da un'esigenza espressiva, portava con sè una inevitabile tendenza alla modulazione, derivante, come dice Dent, soprattutto dalla pratica, prima ancora che da una impostazione teorica; nel caso, ad esempio, dei madrigali di Gesualdo di Venosa, questa pratica compositiva raggiunse una dimensione estrema, dovuta soprattutto alla compressione del contesto musicale (Dent, 1969 ed. it.: 73) e alle audaci soluzioni armoniche. Come dice ancora Dent, in Gesualdo le dissonanze sono dovute talvolta a una certa rozzezza nella condotta delle parti, più spesso ai ritardi doppi e al valore espressivo di intervalli cromatici che nel movimento contrappuntistico producono una triade aumentata, ad esempio Sol-Si-Re diesis [ ... ] (Dent, 1969 ed. it.: 73) .
Se noi dunque rapportiamo quanto detto all'analisi della trascrizione del Miserere suessano (vedi partitura), notiamo subito alcuni aspetti particolari, che ci chiariscono meglio quelle caratteristiche armoniche tonali non riconducibili al carattere diatonico dell'armonia medievale a cui avevamo fatto riferimento in precedenza; i semitoni ascendenti e discendenti in tutte le tre voci del Miserere non sono, infatti, identificabili melodicamente e armonicamente come alterazioni di carattere modale, riconducibili quindi alle strutture medievali dei modi ecclesiastici, ma si presentano come vere e proprie alterazioni a carattere modulante, ottenute attraverso ritardi e salti di terza, con una forte componente dissonante.
Nella sez. B, che inizia con una triade sul VII grado, abbiamo successivamente un salto di terza maggiore nella prima voce, che sale dal Si al Re diesis per poi risolvere sul Mi; i doppi ritardi nella se·conda e nella terza voce danno luogo quindi ad una triade aumentata Sol-Si-Re diesis, prodotta dall'intervallo cromatico dalla prima voce, molto simile all'analoga triade aumentata di cui parla Dent nel riferirsi alle composizioni di Gesualdo di Venosa (Dent, 1969 ed. it.: 73); inoltre l'àrmonizzazione seguente della sezione B sulle note Fa diesis-La-Re diesis prepara la cadenza sul Mi maggiore, attraverso un ulteriore ritardo della seconda voce che, invece di risolvere sulla relativa minore di Sol (tonalità del brano), scende sul Sol diesis, secondo una consuetudine molto in voga nella musica colta cinque-seicentesca di concludere la cadenza su una triade maggiore invece che minore.
Il processo armonico risulta quindi piuttosto evidente: attraverso un intervallo cromatico nella prima voce si introduce una modulazione ad un tono vicino, modulazione ottenuta attraverso una dissonanza di quinta aumentata ed un doppio ritardo nelle voci inferiori, e con una cadenza, ritardata anch'essa nella seconda voce, sul Mi maggiore.
Nella sez. D, che conclude il brano, notiamo nella cadenza finale l'abbassamento di tutte le voci di un semitono (Biagiola, 1980: 10); ma se noi riconduciamo questa cadenza a quella precedente della sez. B, notiamo come essa si presenti nuovamente come una possibile modulazione al Mi, soprattutto se interpretiamo le note Sol bemolle, Do bemolle e Mi bemolle della trascrizione di Biagiola come invece un secondo rivolto dell'accordo di Si maggiore, con le note Fa diesis, Si e Re diesis. In questo caso il brano si arresterebbe su tale accordo, esprimendo quindi chiaramente il drammatico senso di incompiutezza e di tragicità che da questa cadenza viene evocato; d'altra parte nelle stesse composizioni madrigalistiche cinquecentesche il senso della tonalità era così vago che l'estensione dell'ultima nota serviva a far capire che la composizione finiva a quel punto [ ... ]. Potrà sembrar strano, ma nemmeno il più abile dei madrigalisti si accingeva a scrivere un madrigale con un'idea precisa di come e quando concludere (Dent, 1969 ed. it.: 44).
Tali considerazioni armoniche, derivate dalla presenza di intervalli cromatici nelle diverse voci del Miserere, ci confermano quell'attrazione tonale presente nel brano, diretta verso una ricerca della modulazione di toni vicini, a cui ci riferivamo in precedenza; da ciò potrebbe già emergere una conclusione che confermerebbe l'ipotesi di un'armonizzazione successiva nella voce bassa e nella voce alta di un'originaria melodia gregoriana, armonizzazione effettuata, per l'appunto, secondo gli stili delle composizioni polivocali cinque-seicentesche.
Ma prima di trarre delle prime osservazioni conclusive e riepilogative su questo tema, passiamo a trattare il terzo aspetto musicale di una certa importanza della polivocalità del tempo, che potrebbe fornirci ulteriori elementi di indagine e di comparazione: lo stile e la forma delle villotte· e delle villanelle napoletane.
La villanella, generalmente a tre parti e omoritmica, ha come tratto distintivo l'uso frequente di triadi consecutive, che genera quindi una serie di quinte parallele tutt'altro che ortodosse; gli studiosi hanno avanzato varie ipotesi sull'origine di queste quinte parallele armonicamente [ ... ], come hanno indagato le ragioni della loro proibizione nella musica seria. La spiegazione più attendibile è che quanti non hanno una educazione musicale sono portati spontaneamente a cantare per quinte parallele, con o senza una terza intermedia [ ... ]; il procedimento fu probabilmente proibito perché ritenuto volgare (Dent, 1969 ed. i t.: 57).
L'origine delle villanelle fu dunque di natura popolare, e nell'elaborazione di questa forma da parte della musica d'arte notiamo una serie di caratteristiche che a questa origine sono strettamente connesse, e rivelano sorprendenti affinità con le strutture del Miserere suessano; oltre alle progressioni di triadi consecutive, che abbiamo trovato in precedenza in forma di terza e sesta nella tecnica del "falso bordone" medievale e che nel Miserere ritroviamo in accordi di quarta e sesta, nelle villanelle napoletane sono presenti altri aspetti importanti di una reciproca interazione tra musica colta e musica popolare; ci riferiamo, a questo proposito, principalmente alle villanelle di Gian Domenico da Nola (1515 ca-1592) e di Vincenzo Fontana, suo contemporaneo.
Dall'analisi condotta da Thomas su nove villanelle di Gian Domenico da Nola, riprendiamo le seguenti considerazioni: Le villanelle di Nola [ ... ] hanno un certo numero di tratti distintivi. La parte superiore appare piuttosto differente da quella di molta musica italiana contemporanea, poiché essa tipicamente discende sulla tonica alla fine della frase, lasciando la nota dominante alla seconda voce; ciò è anche tipico della canzone spagnola di quel periodo, e questa somiglianza può essere più che una mera coincidenza, visto che a quel tempo Napoli si trovava sotto l'influenza spagnola [...]. Un altro punto rilevante è l'uso deliberato di triadi parallele in imitazione della semplice musica improvvisata popolare (Thomas, 1983: 12).
Stessa caratteristica di predominanza melodica della voce mediana rispetto alla voce superiore si ritrova anche nelle composizioni di Fontana, del quale nulla si sa eccetto che era un contemporaneo di Domenico da Nola e anch'esso napoletano; come dice ancora Thomas, la parte superiore di Fontana è trasportata nel tenor (cioè la voce mediana). Questo attira l'attenzione su di un altro aspetto caratteristico della villanella al tempo di Fontana: la parte superiore raramente presenta la nota dominante, e nelle cadenze scende sulla tonica in un modo che ci potremmo aspettare dal movimento della parte del tenor. La ragione di questa caratteristica deve avere qualcosa a che fare con le origini della villanella nella canzone popolare, e si può collegare al fatto che le "villotte" intorno al 1500 comunemente ponevano delle melodie popolari nella parte del tenor (Thomas, 19 8 3 : 12).
Inoltre le composizioni di Nola e Fontana erano scritte con le parti molto strette l'una all'altra [ ... ] : l'effetto di questa "armonia ravvicinata" si perde notevolmente se viene cantata un'unica voce, o suonata su di uno strumento (Thomas, 1983: 12).
Vediamo dunque, nei tratti caratteristici delle villanelle in generale, e in special modo nelle composizioni di Nola e Fontana, degli esempi ulteriori di un collegamento stretto tra polivocalità popolare e colta, che si rivelano in una serie di aspetti specifici che già avevamo rintracciato, seppure con caratteristiche diverse, anche nelle pratiche improvvisatorie e nella tecnica del falso bordone medievale, e che sono presenti a livello strutturale anche nel Miserere suessano: tali aspetti sono stati messi in luce anche da De Simone (De Simone, 1979: 55) e Biagiola (Biagiola, 1980: 7), sebbene non siano stati approfonditi suffìcentemente, e soprattutto non siano stati inseriti in un'ipotesi globale di lettura e di analisi del Miserere.
I tratti distintivi in questione, emersi da un esame delle villanelle cinquecentesche, sono i seguenti:
l) Scrittura a tre parti e fondamentale omoritmia.
2) Uso frequente di triadi consecutive e, quindi, presenza di quinte parallele; tale procedimento, come s'è detto, deriva da una pratica empirica di origine popolare, ed è rintracciabile anche nell'origine della tecnica del falso bordone, risultata da un'improvvisazione a tre voci su di un cantus firmus scritto.
3) Importanza melodica predominante della voce mediana (tenor), caratteristica questa della canzone spagnola contemporanea e della "villotta" friulana, che poneva nella seconda voce una melodia popolare conosciuta; tale predominanza della seconda voce rispetto alla prima è stata rilevata in precedenza anche a proposito del falso bordone medievale, in cui la polifonia delle altre due voci si sviluppava intorno ad una melodia centrale.
4) Scrittura molto stretta delle tre parti, con la creazione di un'"armonia ravvicinata" il cui effetto andava perso in una elaborazione strumentale di una o più voci; tale effetto armonico è, d'altra parte, una delle caratteristiche principali del Miserere suessano, in cui in un solo caso (e cioè nella cadenza intermedia della sez. B) l'intervallo tra la terza voce e la prima raggiunge la distanza di un'ottava.
È bene a questo punto riportare più ampiamente le considerazioni effettuate sul Miserere da De Simone e Biagiola, prima di trarre delle conclusioni e riepilogare le diverse caratteristiche finora emerse dal confronto di questo brano con la polivocalità colta.
Dal punto di vista storico-musicale ed etnomusicologico, questo Miserere pone una serie di interrogativi sui rapporti tra musica d'arte e musica popolare. Infatti è qui particolarmente interessante l'uso continuo dei ritardi armonici, il che mette in luce una pratica. popolare che sembrerebbe senz'altro partita in tal modo dal basso ed aver influenzato l'arte musicale. D'altra parte le brevi cadenze modulati sembrerebbero essere di origine colta ed entrate poi nell'uso popolare di tale musica religiosa. Eppure poi il tutto, nei movimenti melodici delle voci, viene condotto con uno stile che comprende passaggi con quarti di tono, effetti di suono strisciato, attacchi e conclusioni particolari; e ciò non è sicuramente di derivazione belcantistica né risente della storica scuola musicale. L'armonia, infine, sembrerebbe far capo a semplici strutture di "villanelle" cinquecentesche, sebbene l'uso parallelo di accordi in secondo rivolto (quarta e sesta) non sia riscontrabile in nessun documento scritto pervenutoci. A meno che tale pratica non si riferisca al movimento parallelo di accordi in quinte consecutive (sebbene in rivolto), che allo stile della "villanella" popolareggiante si riferiscono, ma che in tal modo non ci sono mai pervenute dalla cultura musicale scritta (De Simone, 1979: 55).
Da questo esame si notano alcune analogie con la polifonia colta rinascimentale (accordi, ritardi, ecc.); sono evidenti tuttavia molti elementi ad essa estranei e propri invece di una polifonia di tradizione orale. Ad esempio la presenza notevole di glissandi, di acciaccature doppie, del ritmo non mensurabile, e dell'insolita cadenza fìnale che scende di un semitono (dall'accordo di Sol-Do-Mi all'accordo di Sol bem - Do bem - Mi bem.) [ ... ]. Il Miserere di Sessa [ ... ] pone alcuni interrogativi sul rapporto tra questa tradizione orale e la musica colta scritta. La struttura musicale ed il testo del Miserere possono far pensare a una "popolarizzazione" di un repertorio polifonico sacro colto, con la commistione di stilemi polifonici popolari e stilemi colti. Tuttavia nulla vieta di pensare che la struttura musicale sia del tutto popolare e che solo il testo verbale sia una sovrapposizione "colta", testo verbale che d'altra parte viene radicalmente modificato nel corso dell'esecuzione. In tal caso le analogie, pur esistenti, tra questa polifonia e quella colta rinascimentale potrebbero essere dovute all'esistenza, nel Medioevo e nel Rinascimento, di una langue musicale comune ad ambedue le tradizioni, colta e popolare, le quali non avrebbero ancora quella differenziazione riscontrabile successivamente (Biagiola, 1980: 9-10).
Tali affermazioni dei due studiosi sono indicative soprattutto del fatto che l'attenzione maggiore, nello studio del Miserere suessano, viene rivolta verso possibili trasmissioni musicali tra il repertorio tradizionale e quello colto, e in special modo verso la ricerca della direzione ascendente o discendente che i vari stilemi musicali in questione possono aver seguito nel corso di tale trasmissione; in particolar modo De Simone ipotizza una direzione ascendente per quanto riguarda i "ritardi" armonici e una direzione discendente nel caso delle cadenze e semicadenze a carattere modulante, ferma restando la constatazione della presenza di uno stile di canto prettamente di carattere popolare, che comprende quarti di tono, glissandi e altre caratteristiche proprie della polifonia di tradizione orale.
Il contatto maggiore di quest'ultima con lo stile polifonico colto viene inoltre individuato da De Simone nella pratica armonica delle "villanelle" cinquecentesche, che, come abbiamo visto, presentano numerosi tratti distintivi ricollegabili al caso del Miserere suessano; analogie e differenze con tale polifonia colta rinascimentale sono messe in evidenza anche dalle considerazioni di Biagiola, le quali però, a parer nostro, sono eccessivamente viziate da una interpretazione forse troppo marcatamente "folklorica" degli elementi musicali in questione, che lo porta a non considerare in tutta la sua importanza strutturale il carattere modulante dell'andamento armonico del brano, col risultato di un'interpretazione probabilmente inesatta della cadenza finale, vista come un semplice abbassamento semitonale delle tre voci e non come una sospensione, senz'altro molto sui generis, della formula cadenzale precedentemente presentata nel finale della sez. B.
Biagiola propone inoltre due ipotesi di lettura del Miserere , sempre sotto il profilo del rapporto con la tradizione colta; la prima, avanzata anche da Pietro Sassu per la Sardegna (Sassu, 197 3: 46), si riferisce a una possibile popolarizzazione di un repertorio polifonico sacro colto, con la commistione di stilemi polifonici popolari e stilemi colti (Biagiola, 1980: 10), mentre la seconda ipotizza un'origine totalmente popolare della struttura musicale, riservando un'origine "colta" al solo testo verbale, che sarebbe stato successivamente sovrapposto alla struttura musicale, e di conseguenza adattato agli stili di esecuzione e di canto tipici della polifonia popolare locale.
Pur accettando parzialmente la prima ipotesi di una popolarizzazione di un repertorio colto, dobbiamo tuttavia dissentire totalmente dalla seconda ipotesi, e questo principalmente per un motivo fondamentale: la genesi del Miserere suessano ci è apparsa infatti, nel corso di questo studio, una genesi progressiva, o per lo meno una genesi in cui sono confluiti elementi stilistici diversi e appartenenti a epoche diverse.
La forma attuale del Miserere non ci consente dunque di individuare un'origine esclusivamente popolare di tale canto, anche se possiamo ipotizzare (come giustamente fa Biagiola nella sua più felice intuizione del saggio citato): [ ... ]l'esistenza, nel Medioevo e nel Rinascimento, di una" langue " musicale comune ad ambedue le tradizioni, colta e popolare, le quali non avrebbero ancora quella decisa differenziazione riscontrabile successivamente (Biagiola, 1980: l O).
L'esistenza di questa langue comune è infatti uno degli elementi principali emersi nel corso della nostra indagine, ed è stata già ipotizzata in precedenza da altri studiosi (cfr. Ziino, 1975: 169-187); ma ciò non deve significare necessariamente una creazione parallela e a sé stante, frutto esclusivo di un'origine popolare, in cui l'unico elemento "colto" sia stato il testo verbale del Salmo 50; la trasmissione musicale fra le due tradizioni, popolare e colta, a parer nostro c'è stata, a vari livelli e in entrambi i sensi ascendente e discendente, come abbiamo ipotizzato nel corso di questo studio. Pur essendo infatti le nostre solo delle ipotesi, esse sono tuttavia emerse da un insieme di elementi che, se inquadrati in una visione globale dell'intera struttura melodico-armonico-testuale del Miserere, possono fornirci una chiave di lettura di questo canto piuttosto articolata e plausibile.
Nella ricerca di eventuali trasmissioni, in senso ascendente o discendente, tra musica popolare e musica colta, nel caso specifico del Miserere di Sessa Aurunca dobbiamo quindi tener presenti i fattori diversi emersi dall'indagine fin qui condotta, che ci ricollegano a una serie di elementi presenti in epoche, forme e stili diversi, quali sono quelli che abbiamo trattato nelle pagine precedenti, ma probabilmente legati l'un l'altro da un filo comune e senz'altro presenti, a vari livelli, nella struttura melodico-armonica del Miserere suessano. Nel caso del quale è possibile formulare l'ipotesi che la genesi del canto, appartenente al repertorio paraliturgico, sia avvenuta tramite l'improvvisazione nella voce superiore e inferiore di un elementare contrappunto su di una formula salmodica applicata al Salmo 50 di Davide, già conosciuta o, probabilmente, originariamente scritta.
D'altra parte nella tecnica del falso bordone, come abbiamo visto, era usuale porre la melodia gregoriana nella seconda voce, risultando quindi tale procedimento ideale per la composizione a tre voci; in tal modo, inoltre, l'armonia che ne risultava era caratterizzata da progressioni accordali in primo rivolto, ed aveva quindi un ambitus con le parti molto ravvicinate tra loro.
Anche nel Miserere di Sessa ritroviamo infatti dei rivolti, in questo caso di quarta e sesta, che sono determinati dall'armonizzazione della seconda voce (sez. A ed N), oppure da una variazione di grado sul basso costante (sez. C e inizio D), oppure ancora da un movimento parallelo delle parti a carattere modulante (sez. B e cadenza finale D); le parti sono sempre molto strette, se si eccettua la cadenza della sez. B, in cui l'intervallo tra la terza e la prima voce raggiunge l'ottava.
La genesi del Miserere potrebbe essere stata dunque influenzata da un insieme di fattori stilistici e di pratiche improvvisatorie usuali nella polifonia paraliturgica medievale, che si sarebbero ulteriormente sviluppate secondo caratteristiche armoniche proprie della polifonia colta o popolareggiante dei secoli successivi.
A questo riguardo abbiamo evidenziato il carattere modulante delle alterazioni cromatiche nelle tre voci del Miserere, le quali, unitamente all'uso frequente dei ritardi armonici, alle dissonanze presenti nel brano (come la triade aumentata che prepara la cadenza della sez. B) e all'incertezza tonale della cadenza finale, sono elementi tipici di quella ricerca tonale tesa alla modulazione ai toni vicini, ottenuta attraverso un cromatismo melodico di carattere empirico, propria del madrigale cromatico cinquecentesco, il quale si staccava progressivamente dal carattere diatonico dell'armonia medievale.
In quest'ottica potremmo quindi interpretare l'andamento armonico complessivo del Miserere, e soprattutto delle sez. B e D, nonché la struttura melodica della prima e della terza voce, che ci appaiono come delle giustapposizioni successive della seconda voce, contenente, nella sez. A ed A', tracce evidenti di una formula d'intonazione salmodica gregoriana.
Tali elementi di natura madrigalistica sono presenti nel Miserere suessano sotto forma di ritardi doppi nelle voci inferiori, di intervalli cromatici raggiunti di salto, di intervalli dissonanti di triade aumentata, di modulazioni ai toni vicini e relativa cadenza sull'accordo maggiore invece che minore, nonché di una complessiva incertezza tonale del brano, determinata dall'arresto della cadenza finale su quella che potremmo definire la dominante della relativa minore della tonalità di partenza. Il carattere empirico di tale pratica armonica è messo inoltre in evidenza anche dal particolare accompagnamento del canto effettuato all'armonium nella chiesa di S. Giovanni in Villa durante i Venerdì di Quaresima, che sottolinea armonicamente solo i gradi I, IV e VII, tralasciando le modulazioni e le cadenze della sez. B e D, con un effetto musicale disastroso in concomitanza con l'esecuzione vocale; ciò è rappresentativo della attuale mancanza di comprensione armonica complessiva del brano da parte dei cantori suessani, ma è probabile che in un remoto passato tale struttura armonica fosse maggiormente chiara agli antichi cantori, anche a causa della somiglianza dei vari repertori colti o tradizionali dell'epoca, probabili espressioni queste dell'esistenza di quella langue musicale comune di cui parla Biagiola (Biagiola, 1980: 10).
Infine abbiamo rintracciato ulteriori parallelismi da un confronto del Miserere suessano con le forme popolareggianti della villotte e della villanella napoletana, che, se da un lato ci ripropongono degli elementi già emersi dall'indagine sulla polivocalità paraliturgica medievale (come le progressioni accordali di triadi consecutive con relative quinte parallele e la predominanza melodica della seconda voce rispetto alle altre), dall'altro ci dimostrano che tali procedimenti sono senz'altro da ricondursi a un'origine di natura popolare, che nel periodo medievale poteva differire ben poco dalla parallela tradizione compositiva colta, mentre nei secoli successivi era riservata a generi di tipo popolaresco o popolareggiante come, appunto, nel caso delle villotte e delle villanelle oppure, come afferma Thomas, della canzone spagnola (Thomas, 1983: 12).
Ulteriori caratteristiche di tali generi erano, inoltre, la fondamentale omoritmia e la scrittura a tre voci con le parti molto strette, caratteristica questa che determina di conseguenza una particolare ricerca timbrica ed espressiva, che nel Miserere è infatti particolarmente curata e assume un'importanza primaria rispetto ad altri fattori stilistici ed esecutivi.
Il Miserere polivocale di Sessa Aurunca si presenterebbe dunque, sotto il profilo di un rapporto con la tradizione compositiva della musica d'arte, come il risultato di una progressiva elaborazione in epoche successive di un materiale e di una forma originaria piuttosto precisa, quale è la pratica della elaborazione polifonica di un cantus firmus, presente, come s'è detto, in maniera particolarmente evidente nella seconda voce.
Roma, 1985
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