Europa
(ciclo seminari 1995-96)


(
daP.Gallo, Europa, la tradizione dimenticata, Roma 1995)

Seminario introduttivo:
gnosi e gnosticismo nella cultura europea
(30.09.1995)

 

Un’Europa senza radici non è Europa,
e non si capisce che cosa identifichi questa posizione: non è cultura.
(…) Chi non è leale con la propria radice e con la propria storia genera mostri.1

 

Con l’incontro odierno incominciamo il nostro secondo anno di attività, nel corso del quale tratteremo una serie di argomenti del tutto diversi da quelli affrontati lo scorso anno, quando abbiamo dedicato un intero ciclo di seminari, dal titolo Musica dal profondo: il suono come esperienza animica, all’analisi dell’esperienza acustica e musicale nelle varie tradizioni della terra, partendo dai primitivi per giungere fino alla ricerca artistica contemporanea: allora il nostro obiettivo era quello di accostarci alla musica e alla spiritualità da un punto di vista interiore, cosicché, ascoltando gli strumenti primitivi, cercavamo di entrare in contatto con le relative mitologie e ritualità, e ascoltando gli strumenti dei dervisci o il canto gregoriano cercavamo di contattare l’essenza delle relative tradizioni religiose. Il centro di tutto era comunque sempre la musica, e davanti agli argomenti mistici ed esoterici veri e propri ci siamo sempre fermati, senza mai volervi entrare dentro in maniera analitica e programmatica.

Molti di voi mi hanno tuttavia fatto osservare che senza la trattazione di queste tematiche l’intero discorso sarebbe rimasto parziale, privo cioè di una sua componente essenziale, quella della comprensione degli aspetti filosofici e ideali più profondi di queste tradizioni: questa giusta osservazione mi ha fatto quindi pensare all’idea di dedicare un intero ciclo di seminari all’approfondimento delle tematiche più prettamente mistiche ed esoteriche presenti nella nostra tradizione, la tradizione occidentale, il che rappresenta secondo me un fattore di fondamentale importanza.

Infatti, come abbiamo visto anche l’anno scorso, attualmente in Occidente si dimostra un grosso interesse verso tutto ciò che è esotico, che viene da paesi orientali, da popoli primitivi o extraeuropei, ma nello stesso tempo si ignora totalmente la nostra tradizione, non si ha più con essa un collegamento vivo ed essa non risuona più in noi (e questo non tanto in termini culturali, quanto piuttosto in termini di esperienza e di contatto diretto): ciò fa sì che quelle suggestioni che vengono dall’Oriente - termine sotto il quale facciamo rientrare un po’ tutto ciò che è “altro”, tutto ciò che non è Occidente razionalista moderno e contemporaneo - rimangano inerti, come se non attecchissero o attecchissero solo per imitazione.

Quindi, accanto a tutti questi contatti con l’Oriente, inteso in senso lato, è necessario per noi prendere contatto anche e soprattutto con l’Occidente, anch’esso inteso in senso molto lato: quando infatti parliamo di Occidente o di Europa noi indichiamo in realtà un qualcosa che è molto meno “europeo” di quanto pensiamo, poiché l’apporto del vicino Oriente antico e medievale è stato per la civiltà europea molto incisivo, fondamentale e addirittura “fondante”. All’origine della cultura e della civiltà europea vi sono infatti molte situazioni che con l’Europa, così come noi l’intendiamo attualmente, hanno ben poco a che fare: ma purtroppo è come se queste tradizioni fossero morte, o per meglio dire ibernate, dimenticate, un po’ come nella favola della Bella Addormentata nel bosco.

Di conseguenza noi dobbiamo rientrare in contatto con esse, dobbiamo resuscitarle, risvegliarle, farle rivivere, perché se non vivono non ha nessuna importanza per noi sapere chi fossero gli gnostici, gli esicasti, i cabbalisti o i carmelitani; può avere importanza nel contesto di uno studio accademico, ma alla nostra crescita spirituale, alla nostra fame di verità (perché di questo si tratta, di una vera e propria “fame” di risposte) questo tipo di conoscenza esclusivamente culturale non dà poi molto.

Allo stato attuale delle cose questo tipo di ricerche a carattere mistico o esoterico, legate alla tradizione occidentale, è infatti sempre stato svolto in ambiti molto ristretti e spesso molto chiusi, e questo anche perché l’esoterismo non è una cosa di facile comprensione o di facile accesso: l’esoterismo, come la mistica, comporta infatti esperienze individuali dirette, un cammino interiore che è di per se stesso riservato a un’èlite. Se dunque non si vive l’esperienza, se non c’è un evento, se non accade qualcosa a livello interiore, non c’è misticismo e non c’è esoterismo.

Si tratta di cose delle quali si può parlare fino a un certo punto, poi bisogna sperimentarle: come dicevano infatti i taoisti, colui che sa non parla, colui che parla non sa. Si tratta di conoscenze e di dimensioni che in passato erano rigidamente iniziatiche, riservate a cerchie ristrette, a scuole chiuse in se stesse, che non uscivano fuori da queste perché tutta l’esperienza, essendo di tipo qualitativo e non quantitativo, puntava a mantenere e conservare la tradizione al suo interno; e il fatto che nell’attuale momento evolutivo sia viceversa necessario – secondo l'insegnamento acquariano - manifestare pubblicamente tutte le conoscenze esoteriche e aprire all’esterno tutti i centri iniziatici(concetto questo intorno al quale ruota tutto il nostro lavoro, come approfondiremo meglio nel corso dei nostri incontri) non toglie nulla all’idea che tali conoscenze debbano comunque essere accostate con estrema serietà e rispetto.

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Durante questo corso cercheremo quindi di contattare queste situazioni anche attraverso un taglio storico ed esoterico, cercando cioè di capire che cosa siamo noi europei, e chi eravamo; questo lavoro ci aiuterà quindi a fare molte cose, una delle quali è abbattere i vari tipi di muraglie che si sono andate stratificando nella civiltà europea, fra le quali ci sono, per esempio, le muraglie ideologiche e religiose, che non si abbattono semplicemente facendo congressi o meetings, ma andando all’origine delle tradizioni e delle idealità che si sono espresse, nel corso dell’Età dei Pesci, sotto queste forme: dietro tutto questo vi sono infatti, inaspettatamente, punti di riferimento comuni.

Per esempio, nel corso dei sec. XVII e XVIII i fratelli massoni e rosacroce erano presenti sia nel fronte rivoluzionario, che preparò e partecipò alle Rivoluzioni americana e francese, sia in quello reazionario e lealista, che lottò a fianco delle monarchie europee: quindi lo stesso tipo di tradizione era presente su tutti e due i fronti, ma era interpretata in maniera diversa e addirittura contrapposta a seconda dei casi. Questo esempio, quasi paradossale, ci indica dunque come vi siano dei precisi punti di riferimento ideali dietro alle varie realtà della storia europea; tuttavia, essendo stata essa sempre interpretata come una storia di tipo essenzialmente exoterico, quello che appare è solo la punta di un’iceberg, ed è molto importante per noi cercare di capire cosa c’è alla base di questo iceberg.

Abbiamo citato gli steccati ideologici, parliamo adesso degli steccati religiosi, che esistono non soltanto fra una religione e l’altra, ma anche all’interno di una stessa religione: partiamo dal Cristianesimo, ma altrettanto vale per l'Ebraismo e l’Islamismo.

Che cosa è successo infatti a livello storico in Occidente? E’ successo che nel mondo cristiano si è affermata la cosiddetta “grande Chiesa”, portatrice di quel tipo di ortodossia dottrinale che si è venuta creando più o meno nei primi quattro secoli dopo Cristo: una delle varie visioni del Cristianesimo si è quindi affermata sulle altre, che, andate in minoranza, sono state dichiarate eretiche. In realtà tutte le diverse visioni dottrinarie avrebbero potuto essere definite “eretiche”, perché questa parola significa "opzione, scelta", indica una visione, un’interpretazione, una scuola piuttosto che un’altra: tuttavia una sola di esse (quella paolina, grosso modo) prevalse sulle altre e andò a definire la struttura teologica della grande Chiesa.

Bisogna a questo punto precisare che quando parliamo di "grande Chiesa" non ci riferiamo soltanto al Cattolicesimo romano, ma anche all’Oriente ortodosso e al Protestantesimo; quando si parla di "grande Chiesa" si parla infatti della Chiesa “vincente” nelle sue varie manifestazioni, e cioè l’Ortodossia in Oriente, il Cattolicesimo e successivamente la Riforma in Occidente. Specifichiamo anche che quando parliamo in questo contesto di tradizione europea, di tradizione occidentale, noi indichiamo un’area vastissima, compresa fra la Persia e l’Atlantico: culturalmente parlando, quindi, tutto ciò che rientra nell’area mediterranea, che si affaccia sul Mediterraneo, in un modo o nell’altro sarà oggetto del nostro studio.

Quando di conseguenza in questo contesto parliamo di Europa parliamo di una realtà molto aperta, molto fluida ed elastica, costituita dal Mediterraneo e dalle regioni che su di esso si affacciano, e che in un periodo specifico della storia (ovvero il periodo ellenistico e quello ad esso successivo, fino più o meno alla caduta dell’Impero romano, il periodo in cui comparve il Cristianesimo) erano fra loro profondamente collegate.

Pensiamo ad esempio ad Alessandria d’Egitto, città sostanzialmente greca in terra egiziana, nella quale confluivano culture fra loro molto diverse, come quella etiopica (che attraverso il Mar Arabico e l’Oceano Indiano aveva contatti e scambi commerciali addirittura con l’India) o quella giudaico-ellenistica (dalla quale è derivata una visione del Giudaismo molto particolare, strettamente connessa con quella dei famosi, anche se in gran parte sconosciuti, esseni): come vedete si tratta di un mondo profondamente intercomunicante.

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Che cosa è accaduto dunque alla Cristianità in seguito alla vittoria di un’“eresia” rispetto a un’altra, di una scelta rispetto a un’altra? E’ successo che tutte le altre opzioni a carattere esoterico, mistico, filosofico, presenti nella tradizione cristiana, sono state dichiarate - per l’appunto - eretiche, cioè fuori da questa presunta ortodossia, ma hanno tuttavia continuato a esistere, parallelamente ad essa oppure in maniera sotterranea: è questo il caso, ad esempio, della gnosi, di origine addirittura pre-cristiana, che dopo essersi ripresentata a vari livelli nel mondo giudaico e cristiano primitivo ritorna nel Medioevo e nel Rinascimento con le varie eresie dualiste dei Bogomiliti, dei Catari e degli Albigesi, con l’Ordine dei Templari, con i Rosacroce, l’alchimia, ecc., come se un flusso sotterraneo (chiamato dall’esoterismo Alpheus, il fiume che scorre sotto la terra) ogni tanto riaffiorasse, irrigando a più riprese la storia europea.

Oppure consideriamo le concezioni teologiche di alcuni esponenti della grande Chiesa, spesso molto simili a quelle dichiarate eretiche: prendiamo ad esempio Origene, che scrisse molto contro lo gnosticismo ma la cui concezione spirituale esprimeva contemporaneamente idee di tipo profondamente gnostico; oppure pensiamo alla dottrina della reincarnazione, per molto secoli accettata dalla Chiesa primitiva, così come dal Giudaismo, e solo ad un certo punto (e cioè dal II Concilio di Costantinopoli, nel 553 d.C.) dichiarata non-ortodossa e quindi da bandire; pensiamo inoltre a molti personaggi fondamentali della Cristianità, a partire dallo pseudo Dionigi l’Aeropagita, uno strano personaggio neoplatonico vissuto nei primi secoli della nostra era, fino a Meister Eckhart e a San Giovanni della Croce - entrambi processati dall’Inquisizione - e a tanti altri ancora.

Pensiamo, nel nostro tempo, a un personaggio come Teilhard de Chardin, importante esponente del Cattolicesimo contemporaneo, poco conosciuto al grande pubblico, che essendo anche un paleontologo e dunque un ricercatore con una mentalità scientifica si è posto domande e interrogativi di tipo scientifico-metafisico, legati a una ricerca organica delle basi spirituali sulle quali si è sviluppata la creazione, la manifestazione, l’evoluzione umana, biologica, culturale e così via; e ciò non semplicemente per trovarne delle conferme nelle testimonianze bibliche (come fanno solitamente i teologi) ma per sviluppare anche delle ipotesi sperimentali.

Voi conoscete a questo riguardo l’importanza di una corretta ipotesi, che per essere tale deve essere plausibile, possedere una sua economicità e stabilire una dialettica fra punti diversi, che però devono essere fra loro in rapporto: ipotizzare qualcosa è dunque un vero e proprio atto creativo, gravido di conseguenze, è come aprire una porta oltre la quale non si sa come le cose possano evolvere.

Teilhard de Chardin aveva, a questo riguardo, un pensiero simile per certi versi a quello di quel grande personaggio, che ha agito in senso molto innovatore nel contesto dell’Induismo moderno, che è stato Sri Aurobindo; quella che infatti egli ha posto sul piatto era proprio l’idea dell’esistenza della cosiddetta Sovramente, strettamente connessa con un principio di trasformazione delle cellule e della natura fisica, compiuta attraverso l’evoluzione spirituale umana. Lui non si è allontanato dal solco dell’Induismo, ma ha rivisto, riletto, rianalizzato, ristudiato e ricommentato tutti i testi della tradizione vedica e upanishadica secondo questo punto di vista sperimentale, profondamente legato a una visione spirituale derivata dalla via della conoscenza e della gnosi.

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Molti personaggi, in Occidente come in Oriente, si sono dunque presentati con l’intenzione di risvegliare un atteggiamento profondamente sperimentale rispetto a dimensioni che prima erano sempre state considerate riservate esclusivamente alla categoria della fede: se infatti la religione appartiene alla sfera della fede, e se l’alternativa è tra avere o non avere fede, la religione e la scienza sono scisse. In passato, in un passato antico (fino al Seicento, più o meno) queste due cose erano invece molto più correlate fra loro di quanto non lo siano adesso, e comunque in tutti i sistemi gnostici, in tutte le mistiche e in tutti gli esoterismi non esiste una scissione fra il mondo della materia e il mondo dello spirito, fra scienza empirica e scienza spirituale, perché entrambe sono sperimentali: questo è il punto, questo è il centro della questione.

La scissione che c’è stata fra fede e scienza è invece avvenuta perché ciascuna delle due si è posta come assoluta e come sufficiente: perché infatti qualcosa sia valido scientificamente deve infatti essere “necessario e sufficiente”, non basta che sia necessario, ma deve essere anche sufficiente, ovvero deve bastare a se stesso, deve essere quasi chiuso in se stesso. Le categorie della fede sono una cosa, quelle della scienza sono un’altra e sono divise fra loro, sono due chiese: il razionalismo positivista, ma ancor prima il razionalismo cartesiano, è di fatto una chiesa, poiché è basato su alcuni principi fondanti (come il famoso cogito ergo sum cartesiano, per esempio) che sono dogmatici, anche se perfettamente legittimi e più che giustificati in campo filosofico.

Sono tuttavia dogmatici, ed è soltanto nel superamento di questi principi che può avvenire un’evoluzione della coscienza in senso gnostico: ad esempio, nell’astrofisica teorica contemporanea si stanno facendo delle ipotesi che hanno dell’incredibile, che rasentano i più arditi livelli del paradosso, perché viaggiando nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande ci si muove al di fuori delle leggi fisiche del nostro pianeta, e dunque si sono ipotizzate cose che vanno al di là di queste. Ciò non significa, ovviamente, che una definizione scientifica ed empirica della realtà non sia vera: è vera, ma per un certo piano. Quale piano? Quello dell’osservatore: rispetto all’osservatore una data realtà è vera, se l’osservatore cambia, se la posizione dell’osservazione cambia, allora cambia anche il risultato dell'esperimento.

Questo concetto, trasportato in una dimensione interiore, assume una portata enorme, perché in questo modo tutta la spiritualità diventa una questione legata al grado di coscienza dell’osservatore, diventa una questione sperimentale ed esperienziale.

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E’ a questo punto evidente che per sperimentare determinate situazioni interiori occorre un lavoro, un’ascesi (nel senso etimologico del termine), un cammino dell’anima che piano piano entra in contatto con una serie di esperienze, una serie di dimensioni interiori che sono oggettive, non soggettive: e qui entra in gioco una questione importante.

Perché mistici appartenenti a tradizioni religiose diverse come Rumi, santa Teresa d’Avila, Ramakrishna, ecc., hanno le stesse esperienze? Perché nelle loro testimonianze si ritrovano le stesse categorie, gli stessi fenomeni, gli stessi eventi? Perché questi sono mappe d’esperienza, sono mappe interiori: l’anima, che sia cattolica, che sia ortodossa, che sia indù, ebrea o islamica, compie infatti la stessa esperienza, perché la mistica è oggettiva e non soggettiva.

Questo è molto importante, perché indica una cosa molto strana, a cui raramente si fa caso, a livello di massa, e cioè che in questo modo si va automaticamente al di là delle religioni stesse: ciò non avviene però sconfessandone la validità, ma sublimandone l’essenza. E’ come se si desse fuoco alle polveri, come se si facesse accendere, si facesse infuocare tutto ciò che altrimenti resterebbe spento, diviso, separato, come se si facessero sciogliere dei blocchi di ghiaccio di forme diverse, liberandone l’acqua originale, oppure ancora come se si attingesse l’acqua dal profondo, attraverso pozzi diversi ma collegati tutti ad un’identica fonte sotterranea.

Naturalmente voi vi rendete conto di come questo significhi una cosa ben diversa dal semplice “dialogo interreligioso” (che peraltro è un momento importante nella marcia di avvicinamento verso questa direzione, in quanto la coscienza dell’umanità matura gradualmente attraverso tappe, stadi e livelli progressivi, fino ad arrivare a una effettiva trasformazione delle coscienze): summits interreligiosi o incontri fra rabbini, muftì, sacerdoti o patriarchi sono dunque cosa utile per evitare guerre di religione e iniziare a pensare che si può arrivare a scoprire la Verità attraverso diverse strade, ma poi bisogna andare oltre.

Il passo successivo alla cosiddetta “tolleranza” interreligiosa conduce infatti all’effettiva unità delle religioni, alla consapevolezza che tutte le religioni, pur nella loro specificità, hanno a livello trascendentale lo stesso valore e si differenziano qualitativamente come si possono differenziare i fiori di un campo, ognuno dei quali ha un diverso colore e un diverso sapore dovuto a quella tradizione, a quella cultura, a quella zona geografica che si esprime: come un prisma presenta diverse facce e tutte quante riflettono il sole - ognuna con la sua sfaccettatura e con la sua qualità specifica - così anche noi possiamo vedere Dio attraverso tutte queste lenti, apparentemente diverse ma riflettenti tutte la medesima luce.

Successivamente, negli anni e nei secoli futuri, andremo molto probabilmente verso la realizzazione della cosiddetta religione dell’umanità,al di là della quale si giungerà al superamento stesso della religione: tutto ciò, beninteso, senza confondersi con la moderna tendenza consumistica all’omologazione planetaria, che si esprime anche in campo spirituale e religioso attraverso un approccio superficiale di tipo “usa e getta” nei confronti dei riti, delle conoscenze e delle culture tradizionali, tendenza questa che rappresenta semmai uno stadio infantile di sviluppo di questa ancora neonata aspirazione collettiva verso un nuovo piano di coscienza.

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A questo proposito c’è una considerazione molto importante da fare: un certo tipo di ricerca esoterica o spirituale del nostro tempo sostiene, giustamente, che bisogna superare le religioni, che bisogna andare oltre, però salta molto spesso un passaggio. E’ possibile infatti superare un qualcosa se non lo si esaurisce, se non lo si consuma, ovvero se non lo si mangia, lo si mastica, lo si digerisce e poi lo si elimina? Solo dopo aver fatto tutto questo si può finalmente assimilare: le cellule assimilano il cibo, ma per farlo devono svolgere un intero processo. Cosa succede infatti quando si assimila il cibo? Avviene una trasformazione, un metabolismo, il cibo si trasforma e non è più quello di prima.

Facciamo un esempio: spesso pensiamo alla Cabbalà come a qualcosa di misterioso, compriamo un libro e non comprendiamo niente. Perché? Ovviamente, non è possibile entrare in contatto con determinate situazioni semplicemente leggendo libri; dobbiamo viceversa, attraverso una marcia di avvicinamento, riuscire a farne rivivere il contenuto, a trovare ciò che di vitale e di vivente c’è in esse.

C’è ad esempio uno studioso ebreo, Gerald Schroeder, che ha interpretato la Genesidal punto di vista dell’astrofisica teorica2: si tratta di uno studio affascinante, uno studio cabbalistico preciso, fondato non sulla tradizione in se stessa ma sulla ricerca scientifica, utilizzando cioè la tradizione come base per interpretare la realtà, non in maniera arbitraria ma in maniera sperimentale. E’ un esempio di qualcosa di molto importante che si sta mettendo in moto, è l’indizio che inizia a svilupparsi un nuovo atteggiamento mentale, il germe di una nuova civiltà, in cui “fede e ragione” (o per meglio dire “cuore e intelletto”, come affermavano con cognizione di causa i Padri greci) andranno fondendosi nella gnosi: una nuova civiltà, beninteso, che va preparata, che va costruita e che non si definirà in tempi brevi.

Per capire meglio la complessità di questo compito voglio farvi, a questo proposito, un esempio di tipo biblico: al tempo del diluvio il Signore invitò Noè a costruire un’arca, poiché aveva deciso di distruggere la terra, di passare da un livello evolutivo a un altro, di chiudere un ciclo per poi aprirne un altro. Il Signore dunque disse a Noè: “Prendi dei semi, piantali, fai crescere gli alberi(si trattava dei secolari cedri del Libano... ma a quei tempi vivevano molto più di noi, quindi non avevano problemi di questo tipo!), poi tagliali e costruisci un’arca”. Come vedete indicò un lungo processo, in cui dovevano essere piantati dei semi, dei quali lo stesso Noè avrebbe dovuto attendere la crescita: una nuova epoca non nasce infatti dal nulla, bisogna fare un lavoro e bisogna farlo bene. Bisogna, per così dire, imparare a “cucinare” dei cibi che, se fossero crudi, non potrebbero essere mangiati: allora sì che scatta qualcosa, allora sì che succede quello che, per esempio, è successo in India negli ultimi duecento anni.

La cultura indiana che ci porta i suoi messaggi, i suoi insegnamenti, i suoi stimoli, la sua spinta per il risveglio di una ricerca in Occidente non è infatti arrivata a noi portata da un vento primaverile: è viceversa avvenuto un lungo lavoro di costruzione anche in India, dove intorno alla metà circa dell’Ottocento la cultura religiosa tradizionale era decaduta, a livello di massa, al rango di pressoché mera superstizione, così diffusa che gli intellettuali indiani (fra cui lo stesso padre di Tagore) avevano ad esempio creato un movimento, chiamato Bramho Samhaji, che rinnegava la fede politeistica nelle migliaia di divinità tradizionali sostituendola con la visione del Dio Unico, Senza Forma, definito in termini filosofici derivati dalla cultura occidentale, assorbita attraverso la presenza della dominazione inglese, tentando così una sorta di utopia filosofica legata alla tradizione indiana. Tentativo in verità autorevole e giustificato, anche se per alcuni aspetti discutibile: in una situazione in cui Shiva, Parvati, Krishna, apparivano tra le masse come l’analogo di ciò che da noi può essere san Gennaro, le menti non potevano infatti essere soddisfatte.

Che cosa successe dunque ad un certo punto? Comparve un personaggio molto particolare, di nome Ramakrishna, il quale, pur non sapendo leggere né scrivere, seppe esprimere una forza catalizzatrice determinante, divenendo un punto di irradiazione e di attrazione molto forte intorno al quale iniziarono a raccogliersi le menti del Bengala, costituite da un gruppo di discepoli di cultura superiore, laureati e intellettuali, che decisero di diventare monaci.

Dopo la morte di Ramakrisna uno di loro, Vivekananda, prese le redini dell’Ordine e iniziò uno studio sistematico e preciso su tutte le Upanishad, i Veda, i Purana, ecc., compiuto in maniera molto profonda; questo lavoro era svolto allo scopo di risvegliare l’autentica spiritualità induista in vista della realizzazione dell’ideale dell’unità delle religioni espresso da Ramakrishna, che aveva seguito un cammino mistico sia induista che islamico e cristiano, e aveva trasmesso ai suoi discepoli quest’idea dell’unità dei cammini spirituali.

Successivamente Vivekananda andò in America e lavorò in un ambiente culturalmente preparato dal punto di vista teosofico: ricordiamo che i teosofi, pur con tutti i loro limiti, furono coloro che per primi lanciarono un ponte fra Occidente ed Oriente, ponte sul quale salì ad esempio anche Gandhi, che conobbe la Bhagavad Gita e la tradizione induista attraverso il contatto con la Società Teosofica, che aveva e ha tuttora sede a Madras.

Dalla Teosofia provenne anche Krishnamurti, che poi se ne distaccò drammaticamente, e lo stesso Steiner, che maturatosi svolgendo un percorso parallelo si confrontò successivamente con essa: l’idea dell’Antroposofia steineriana nasce infatti da un ampliamento in senso cristiano dei contenuti della Teosofia, che aveva secondo Steiner privilegiato l’esperienza orientale, indiana e tibetana a scapito del Cristianesimo e della tradizione occidentale. Steiner, viceversa, sentì la necessità di riprendere la tradizione cristiana in senso gnostico ed esoterico, come via di conoscenza iniziatica, approfondendone notevolmente la relativa tradizione e lasciandoci in tal modo una testimonianza fondamentale per ogni possibile sviluppo successivo.

Nella seconda metà del secolo scorso si avviò dunque in India un radicale processo di trasformazione del rapporto delle masse e degli intellettuali con le forme di religiosità e di spiritualità tradizionali, attraverso dei gruppi e dei circoli riformatori che fondevano le rivendicazioni indipendentiste di tipo politico con le aspirazioni filosofiche e spirituali dell’intellighenzia indiana del tempo.

Contemporaneamente Madamme Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica, soggiornò seppur brevemente in India e da lì importò un seme, che fu successivamente rielaborato in Occidente, dove, in America, nacquero alcuni centri esoterici che costituirono il terreno sul quale successivamente gli indiani (Vivekananda prima, Yogananda e tutti gli altri poi) poterono seminare il loro messaggio per l’Occidente.

Come abbiamo detto, in India comparve anche Aurobindo, che svolse un’azione importante di intellettualizzazione del rapporto fra l’indiano e la sua tradizione, aprendo la strada a una ricerca filosofica e spirituale di enorme portata per entrambi gli emisferi orientale e occidentale; anche se il suo insegnamento è tuttora molto lontano dalle varie realtà dell’India contemporanea, è iniziato tuttavia un cammino di avvicinamento e pian piano avverrà certamente l’incontro.

Infine, con Steiner prima e con Daskalos poi, è cominciato anche in Occidente un lavoro serio di recupero, di rielaborazione e di diffusione della tradizione esoterica in chiave specificatamente (ma non esclusivamente) cristiana, che aspetta solo di essere sviluppato e portato avanti adeguatamente.

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L’India “del cuore”, l’India dello spirito, è stata dunque preparata e costruita, è cresciuta grazie a un lavoro preciso, e se noi vogliamo recuperare la tradizione occidentale dobbiamo fare la stessa cosa, dobbiamo accostarci ad essa e risvegliarla, riviverla in senso reale, in senso mistico ed esoterico.

Questo punto è fondamentale: perché infatti Ramakrishna, come gli altri che sono venuti dopo di lui, è stato importante per l’India? Perché era un mistico! Se non avesse avuto questa forza, chi sarebbe andato da lui, da un piccolo brahmino illetterato di periferia ? Lui però era una forza della natura, era una realtà effettiva, era un testimone vivente: poi sono stati scritti i libri, dopo ci si è messi a scrivere, non prima. Noi invece abbiamo migliaia di libri, ma non abbiamo il collegamento con l’esperienza diretta, non abbiamo la testimonianza vivente.

Anche un personaggio come Steiner, ad esempio, un personaggio molto profondo, molto complesso e difficile, nella maggior parte dei casi non viene “cucinato” adeguatamente dai suoi divulgatori, e il suo insegnamento raramente viene presentato con intenti didattici, non potendo così essere elaborato e di conseguenza assimilato: questa è un’osservazione da rivolgere alla Società Antroposofica, agli steineriani, che fanno un lavoro molto profondo, molto serio rispetto alla conoscenza di Steiner ma che talvolta non dimostrano la volontà, non sentono la necessità di cucinare questo cibo per consentire alle persone di mangiarlo.

Vero è che non bisogna svilire delle tematiche complesse per adattarle al grande pubblico, ma un buon insegnante può certamente riuscire a fare capire a tutti le basi elementari di una disciplina, qualunque essa sia: uno dei principi della nuova pedagogia nella scuola elementare, ad esempio, consiste proprio nel permettere ai bambini di accostarsi organicamente alle materie d’insegnamento, iniziando ad acquisire i processi di apprendimento fondamentali per poi applicarli successivamente alle diverse discipline.

Tutto ciò va fatto, a parer mio, anche in campo filosofico e spirituale: personalmente penso che questo sia un compito che ci riguarda tutti molto da vicino, se vogliamo uscire dallo stato di empasse in cui si trova l’Occidente.

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L’esempio della situazione indiana che ho fatto prima descrive dunque una situazione di assoluta dispersione, che ha di conseguenza comportato la necessità di recuperare ciò che è stato disperso, per ricostituire delle basi sulle quali andare avanti; viceversa, la situazione che c’è allo stato attuale in Occidente è di assoluta compressione (se non addirittura di vera e propria repressione), nella quale abbiamo la necessità di andare a riprendere temi che sono stati compressi o repressi per duemila anni e più, e che hanno continuato a sopravvivere, come oggetto di studio, solo in determinati settori accademici o religiosi specifici, venendo nel contempo esclusi dallo sviluppo complessivo della cultura europea dominante.

Come infatti vedremo, gli argomenti che tratteremo quest’anno sono generalmente proprietà esclusiva di ambienti culturali ben precisi, apparengono a categorie filosofiche, teologiche o religiose oppure a discipline universitarie che sono praticamente chiuse in se stesse: qualcosa si può apprendere tramite corsi specifici di carattere accademico, ma in questi casi rimane una conoscenza di tipo intellettuale o culturale, a cui manca spesso l’aggancio esperienziale. Oppure si tratta di conoscenze proprie di singole confessioni religiose o di settori di esse, che raramente sentono l’esigenza di esporre tali tematiche all’attenzione del grande pubblico, e tantomeno di renderle ad esso accessibili (anche perché l’interesse generale del pubblico del nostro tempo è, salvo eccezioni, decisamente rivolto altrove).

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Noi abbiamo inoltre in Occidente una tradizione esoterica che, essendo stata sempre minoritaria e abbastanza perseguitata, è entrata in rotta di collisione molto forte con l’istituzione ufficiale, che in questa caso è la Chiesa cattolica romana: di conseguenza si è creato un clima di anticlericalismo molto forte da parte della correnti esoteriche e di antiesoterismo altrettanto forte da parte della Chiesa ufficiale, e tutto questo ha fatto sì che non si sviluppasse non dico un dialogo (perché non è detto che necessariamente debbano esserci dialoghi) ma neanche uno scambio, con il risultato che in questo modo le energie non girano e queste tematiche restano per così dire “criptate”.

Lo stesso vale per tutta la tradizione cristiana non eterodossa ed in particolare per le tradizioni contemplative interne alla grande Chiesa, come ad esempio quella dei Padri del deserto, della spiritualità medievale, carmelitana e di tante altre realtà che fanno parte a tutti gli effetti della Chiesa ufficiale e che tuttavia raramente escono al di fuori dei canali ecclesiastici, raramente vengono presentate al di fuori di essi in maniera viva, vivente: per cui succede che queste conoscenze rimangono dentro i forzieri di istituzioni, gruppi, centri, circuiti specializzati, che conservano tutto questo ma che non lo divulgano all’esterno. Per non parlare poi della situazione accademica universitaria, nella quale viene svolto in modo molto serio un lavoro di ricerca sulle fonti, che però spesso non va oltre, mancando, perlomeno in Italia, un reale interesse verso una comparazione ed un approfondimento di tipo spirituale.

Quello che quindi noi cercheremo di fare, nel nostro piccolo, è proprio un tentativo di accostarci alla conoscenza della tradizione occidentale, cercando di presentare queste tematiche in maniera il più possibile semplice e divulgativa, e iniziando in qualche modo ad entrare in contatto con esse.

Come vedete si tratta di un viaggio attraverso una visione del mondo, attraverso una vera e propria Weltanschauung: “visione del mondo” significa infatti come l’uomo vede e considera l’esistenza. Noi, ad esempio, siamo abituati a pensare attualmente che l’Occidente sia totalmente materialista, consumista, immerso nella tecnica, e che l’Oriente sia invece perso nella contemplazione di chissà quali verità trascendentali: viceversa, quando andiamo a contattare le filosofie orientali e le varie tradizioni mistiche ed esoteriche extraeuropee, noi vi ritroviamo moltissimi elementi presenti anche nella tradizione occidentale, non soltanto nella tradizione cristiana ma anche in quella precristiana.

In questa tradizione precristiana, la tradizione dell’antichità (con tutti i suoi vari periodi che raggiungono il loro culmine nella tarda antichità, nel periodo a cavallo con la comparsa del Cristo), noi ritroviamo ad esempio moltissime tematiche che sembrano la trasposizione letterale della mitologia e della filosofia induista, vedica, vedantica, upanishadica o di altre tematiche ancora più orientali, come il taoismo cinese, e così via.

Questa tradizione si ritrova espressa soprattutto in due dimensioni, quella filosofica e quella iniziatica, misteriosofica: nelle religioni e nelle scuole filosofiche dell’antichità, infatti, vi erano due cerchi precisi di insegnamento, uno esterno, exoterico, riservato a tutti, e uno interno, esoterico, riservato solo a coloro che dovevano accedere a determinate conoscenze attraverso l’iniziazione, ovvero attraverso una graduale presa di contatto con delle verità, compiuta non attraverso il ragionamento, ma attraverso delle esperienze dirette e individuali: la dimensione esoterica può infatti essere contattata unicamente attraverso l’esperienza. Questa è una cosa molto importante: si possono infatti dare una serie di significati cosmologici all’esistenza, si può ad esempio affermare che l’Assoluto è il Dio “senza forma” e che si esprime successivamente attraverso il Demiurgo creatore (tanto per adottare una terminologia platonica), però un conto è aderirvi razionalmente, un conto è aderirvi attraverso l’esperienza.

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Ciò comportava anticamente che le verità iniziatiche ed esoteriche non potevano essere trasmesse all’esterno, e questo semplicemente perché era impossibile per i non iniziati comprenderne la terminologia, poiché questa era legata non a teorie astratte, ma ad eventi dell’anima.

Un esempio chiaro di questo tipo di situazione si ritrova nello gnosticismo: nei primi secoli dell’era cristiana i vari apologeti ed i vari Padri della Chiesa che confutavano gli eretici (fra cui è emblematico il caso di Tertulliano, passato alla storia per la sua irruenza ed acrimonia nei confronti degli gnostici) irridevano queste mitologie e queste cosmologie, poiché sembravano ai loro occhi totalmente assurde, con tutta la loro complessa serie di eoni, divinità e personaggi che questi esegeti, non avendo la chiave di interpretazione, non riuscivano a decifrare.

Questa chiave è rimasta, salvo cerchie ristrette, a lungo assente dal pensiero occidentale, finché a un certo punto non sono cominciati ad apparire personaggi in grado di fornire in qualche modo delle possibilità di interpretazione; uno di questi è stato, ad esempio, Carl Gustav Jung, il quale, attraverso un’intera vita di ricerca, entrò in contatto con questa tradizione attraverso il canale dei sogni, attraverso una serie di segni e di sogni che sono riportati nella sua autobiografia, Memorie, sogni, riflessioni3 (che vi consiglio di leggere, perché dà un’idea molto chiara di cosa vuol dire “fare esperienza” - non è infatti tanto importante sapere intellettualmente cosa sia ad esempio lo gnosticismo, quanto entrare in contatto con questa tradizione a livello interiore). Questo è ciò che ha fatto Jung, il quale, iniziando a fare sogni particolari, a vivere situazioni particolari, ha capito che doveva approfondire la simbologia di questi miti, e così facendo si è reso conto che essi descrivevano delle esperienze animiche, di cui egli doveva trovare la chiave (o meglio alcune delle chiavi possibili, perché, come voi sapete, i simboli si possono interpretare a vari livelli, non necessariamente giusti o sbagliati, semplicemente livelli diversi): senza avere queste chiavi è infatti praticamente impossibile riuscire a decifrare questi miti, questi insegnamenti.

Di conseguenza, in una tradizione religiosa exoterica che ha tagliato fuori da sé, che ha amputato una parte di sé, qual’è quella che si è venuta creando non soltanto nella Cristianità occidentale ma anche in quella orientale, e non soltanto nel Cristianesimo ma anche nell’Islam e nell’Ebraismo, si è prodotta una scissione attraverso i secoli, per cui tutto ciò che vi era di esoterico o di mistico (vedremo in seguito la differenza fra questi termini) è rimasto emarginato, è andato in minoranza ed è stato spesso dichiarato eretico: e questo perché sostanzialmente le chiavi d’interpretazione sono andate perdute.

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E adesso, che cosa sta accadendo? Stanno iniziando a presentarsi delle possibilità di accesso a queste tradizioni attraverso diversi percorsi, che vanno, tanto per restare in campo accademico, dalla psicologia analitica alla storia delle religioni, dalla filologia e mitologia comparate alla storia dell’arte, e così via: in pratica ci stiamo accorgendo che esiste in ciascuna tradizione una vera e propria mappa dell’anima, disegnata e delineata in passato da quella persone e da quei gruppi che portavano avanti in maniera sperimentale questa ricerca interiore.

E’ molto importante a questo proposito riaffermare il principio di sperimentalità di questa ricerca interiore, principio che ha trovato in passato la sua applicazione più eclatante nell’alchimia, che fu una pratica sperimentale a tutti gli effetti, una pratica fisica, materiale; gli alchimisti infatti “proiettavano” (per usare una terminologia junghiana) nella materia e nei loro esperimenti dei contenuti psichici interiori, compiendo un vero e proprio “processo di individuazione”, che essi esprimevano sotto forma di simboli corrispondenti a determinate esperienze, a determinate fasi, a determinati stadi, a determinati livelli, a determinati momenti del cammino evolutivo dell’anima.

Quando parliamo di anima parliamo infatti di qualcosa che non è la mente, ma che non è neanche il cuore inteso in senso sentimentalista: uno degli scopi di questi nostri incontri sarà dunque quello di vedere un po’ più da vicino che cosa sia l’anima, attraverso gli insegnamenti, le testimonianze e le esperienze presenti nella nostra tradizione.

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Accanto a questo principio di sperimentalità è inoltre importante stabilire, a livello animico, anche la necessità di un principio di coscienza: se infatti l’anima per evolversi deve effettuare una presa di coscienza, vuol dire che essa è l’arbitro della propria esistenza, tramite la coscienza profonda, la capacità di entrare in contatto con quella che gli indiani chiamano Atman, il Sé, la parte di noi che non muore, la parte che preesiste alla varie vite, alle varie reincarnazioni, alle varie esistenze. Questo però comporta che gli insegnamenti dogmatici che derivano dalla idea di “rivelazione”, di verità rivelata (cioè dall’idea che Dio un giorno preciso nella storia abbia detto a Mosè, a Maometto, ai profeti, agli apostoli o a chicchessia quello che essi avrebbero dovuto fare per salvarsi) non sono più validi in senso assoluto, ma solo - si fa per dire - in senso simbolico.

Di conseguenza noi abbiamo, di fronte alla tradizione, due atteggiamenti possibili: o c’è una sola via per raggiungere la salvezza, ed è la via che l’istituzione, con i suoi precisi gradini e la sua gerarchia, pone di fronte all’individuo (ma l’istituzione non è un fatto esterno, l’istituzione è un fatto interiore, è un fatto di coscienza, è espressione di un livello di coscienza, è una proiezione della coscienza), oppure esistono diverse vie, alcune più indicate, altre meno, a seconda del livello di coscienza dell’individuo o della collettività, ma tutte ugualmente valide e soprattutto legittime e necessarie.

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Qual’è infatti, a questo proposito, la grossa differenza che c’è fra l’India e l’Occidente? La fondamentale differenza che c’è fra queste due dimensioni della spiritualità è che in Oriente vi sono molte scuole diverse, molte interpretazioni, molte vie che convivono tra loro liberamente, anche se ciascun maestro, appartenente a una relativa scuola, compie delle puntualizzazioni molto precise e confuta spesso e volentieri le altrui opinioni, quando le considera errate (ad esempio Sri Aurobindo sottolinea molto spesso e molto chiaramente quali sono secondo lui gli errori presenti nell’induismo ed in certe sue interpretazioni dogmatiche e radicali). Nonostante questa fermezza sulle proprie posizioni dottrinali, presente in ciascuna scuola dell’Induismo, in India però non si è mai costituita nei secoli un’istituzione gerarchica, garante di una pretesa o presunta ortodossia (salvo naturalmente l’esistenza di una struttura sociale che ha garantito il mantenimento, più o meno immutato attraverso i secoli, di forme sociali e religiose tradizionali, quali, ad esempio il sistema delle caste, il complesso dei rituali vedici, ecc.).

E questo perché? Perchè in India esiste l’idea profonda del primato dell’esperienza: il cammino spirituale, la disciplina spirituale, che viene chiamata sadhana, deve compierlo infatti l’individuo, l’anima individuale, il jivi; il maestro, la scuola o l’istituzione, possono naturalmente trasmettere all’individuo le loro verità di fede, allo scopo di mostrargli la strada, ma se l’anima non si evolve, se non compie il suo cammino, se non giunge a realizzare direttamente la coscienza dell’Atman, allora sono solo parole, sono insegnamenti, senz’altro validi, che però restano lì.

Il valore vero è infatti quello del cammino dell’anima: per questo esistono i vari sentieri, i vari yoga, le varie strade, le varie marga, tutti modi per permettere all’anima di evolversi, di compiere una serie di esperienze, di percorrere un cammino e di giungere infine ad avere la coscienza dell’identità con il Divino.

I maestri dicono spesso che la differenza fra loro e i discepoli consiste nella coscienza dell’essere divini: questo è un fatto molto importante, perché vuol dire che la differenza fra Dio e l’uomo sostanzialmente è una differenza di coscienza.

La diversità con ciò che accade invece in Occidente è evidente, e ciò perché la natura dell’Occidente è quella di realizzare fisicamente, di concretizzare nella materia, e di conseguenza si è venuta a creare nel corso della storia occidentale la necessità, l’esigenza di istituzioni religiose (e non solo) che modellassero fisicamente la realtà: ciò perlomeno fino a quando le sconvolgenti energie cosmiche dell’Età di Urano non rendano inevitabile una vera e propria trasformazione della coscienza planetaria collettiva.

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La cosa interessante di questo passaggio epocale fra quella che è detta l’Età dei Pesci e quella che è detta l’Età dell’Acquario consisterebbe infatti, secondo l’insegnamento acquariano ma anche secondo quello antroposofico, nel fatto che in questi duemila anni dell’Età dei Pesci sarebbe stato necessario compiere, a livello fisico e materiale, alcune tappe indispensabili per l’umanità, connesse con lo sviluppo scientifico e tecnologico, esaurite le quali sarebbe ora divenuto indispensabile voltare pagina.

Finora, ad esempio, il rapporto con il Divino è stato mediato dalle chiese, dalle istituzioni religiose in generale: il prossimo passaggio dovrebbe invece consistere proprio nella scomparsa della necessità di un mediatore fra l’individuo e il Divino, il che non significa che ognuno è lasciato a se stesso, ma che ognuno diventerà in futuro “maestro di se stesso”.4

Questo significa che l’obiettivo evolutivo da raggiungere nei prossimi duemila anni dovrà essere quello della “massificazione”, o se preferite della “democratizzazione”, di quelle che prima erano esperienze molto elitarie, riservate a cerchi di potere ristretti: e lo stesso fatto che i cerchi sacri, i cerchi iniziatici, si siano in grandissima parte, nella quasi totalità, rotti ed infranti, avrebbe a questo proposito un suo significato, un suo valore molto preciso.

Ad esempio, i pensatori tradizionalisti (cioè gli esoteristi filosoficamente conservatori o reazionari) dicono, non senza una certa ragione, che le tradizioni sono andate tutte perdute perché stiamo andando verso la fine più assoluta, verso una caduta rovinosa della civiltà, simboleggiata dal concetto indiano di kali yuga; l’idea evoluzionista acquariana invece va oltre e, pur condividendo tale concezione induista, considera la scomparsa delle tradizioni non semplicemente come una perdita, ma come una grande prova evolutiva, che coinvolge a livello animico tutta l’umanità: poiché quello che prima era conservato, chiuso, segreto, adesso dovrà passare a tutti, dovrà essere divulgato e vissuto da tutta l’umanità.

Questo non vuol dire che vi sarà un livellamento, ma che l’opportunità evolutiva dovrà essere data a tutti: ecco quindi il vero significato dell’Età dell’Acquario, cominciata secondo alcuni verso la fine degli anni Sessanta, quando apparve il fenomeno dei cosiddetti “figli dei fiori”, pur con tutti i limiti che esso ha avuto, pur con il riflusso e il fallimento che c’è stato.

In questo movimento, in questa esplosione spesso confusa ed autodistruttiva, circolava tuttavia l’idea della necessità di un contatto diretto, creativo, liberatorio con il Divino e con la Natura, vissuto però ancora in maniera infantile, con il rischio di entrare in contatto con forze più grandi di noi, che non sappiamo controllare e che di conseguenza possono travolgerci: ed è lì che la partita è stata senz’altro persa, perlomeno fino a questo punto, perché queste forze più grandi di noi sono arrivate, con tutta la loro potenza, ed hanno sferrato il loro colpo.

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Per cui adesso ci troviamo in una situazione di grande sbandamento, a tutti i livelli: ma il fatto stesso che in questo momento, per la coscienza collettiva dell’umanità, sia necessario fare questo passo e rivolgersi al Divino non più in termini di istituzione, bensì in termini di coscienza e di esperienza diretta, rappresenta una cosa fondamentale.

Questo è il vero significato di tutte le ideologie e delle filosofie del nostro secolo, dell’esistenzialismo, del razionalismo, del positivismo, del nichilismo, dell’ateismo di questo secolo: il significato è che le vecchie forme devono andare in frantumi. Però sono solo le forme che devono andare in frantumi, non il loro significato, il loro valore, l’essenza profonda delle esperienze e degli insegnamenti che in esse sono contenute: ed è stato questo l’errore fondamentale delle filosofie materialiste di questo secolo, quello di aver perso, buttando via il contenitore, anche il contenuto.

Ed ecco allora che adesso inizia ad esserci in Occidente un grande interesse per le tradizioni dimenticate. Perché accade questo? Perché ci si è accorti che in queste tradizioni è contenuto qualcosa che noi abbiamo perso: quello che dunque cercheremo di fare, nel nostro piccolo, è capire che cosa. E’ importante ad esempio capire perché questi cerchi non ci sono più e perché è finito il tempo di questi cerchi; lo stesso Dalai Lama, personaggio profondo e intelligente, ha parlato molte volte della sua esperienza personale, sostenendo nella sua autobiografia che i tibetani sarebbero stati cacciati dal Tibet perché sarebbe finita l’epoca di una ritualità chiusa in se stessa; è per questo motivo che essi sarebbero stati costretti karmicamente ad andare in giro per il mondo a diffondere il Dharma.

Vista in questi termini, la questione tibetana ci appare dunque come un qualcosa di molto sottile e profondo, perché questo popolo che è stato distrutto, questo cerchio sacro che è stato spezzato, dimostrerebbe di aver capito, almeno attraverso alcuni dei suoi esponenti, un insegnamento evolutivo ben preciso, e questo ha sicuramente un valore molto importante per la nostra ricerca.

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In conclusione, vorrei che fosse chiaro a tutti che questo nostro viaggio nel passato non ha alcun carattere nostalgico, né tende verso alcun recupero fine a se stesso di tradizioni antiche o primordiali, da riproporre e contrapporre allo sfascio della modernità come esempi di una mitica condizione di innocenza originaria.

Le tradizioni che andremo ad incontrare nel corso di questo viaggio non ci interessano infatti, in questa sede, in quanto tali, e dunque in senso assoluto, ma solo in senso relativo, cioè come tracce e come testimonianze di un percorso animico e spirituale sviluppatosi nel corso dei secoli nell’area mediterranea ed europea, attraverso il quale vedremo lentamente affiorare dalle pieghe della storia una concezione gnostica ed immanente del Divino, che dalla cultura dominante è stata espulsa, rimossa ed emarginata, ma che ciclicamente riaffiora alla coscienza individuale e collettiva, nell’attesa che vi sia la maturazione necessaria per poter finalmente manifestare e realizzare in tutta la loro portata i principi dei quali essa è portatrice: in realtà, non siamo infatti che all’alba dell’Età dell’Acquario.

 

Nel procedere alla contemplazione dei Misteri della Sapienza
ci atterremo dunque alla celebrata e venerabile regola della Tradizione,
cominciando dall'origine dell'universo,
allegando quei punti di contemplazione fisica che è necessario premettere
e rimuovendo qualsiasi cosa che sulla via potesse essere d'inciampo,
così che l'orecchio sia preparato a ricevere la Tradizione della Gnosi,
essendo il terreno ripulito dalle male erbe e reso adatto alla piantagione della vigna:
perché vi è un conflitto prima del Conflitto e vi sono misteri prima dei Misteri.

Che questo esempio basti dunque a quelli che hanno orecchie:
perché non si richiede svelare il Mistero, ma solo indicare quanto è sufficiente
alla mente di coloro che sono partecipi alla conoscenza.

(Clemente Alessandrino, Stromata)


Roma, 06.05.1995

 

1. R.BUTTIGLIONE, La cultura europea al confronto del mondo, Prolusione all’anno accademico 2002/03, in RSC, Rivista per la scuola della Diocesi di Roma, n.3/2007

2. G.SCHROEDER,Genesi e Big Bang, Interno Giallo Edit., Milano 1991

3. C.G.JUNG, Memorie, sogni, riflessioni, Rizzoli, Milano 1998

4. Quanto qui affermato sembrerebbe in contrasto rispetto a quanto da noi sostenuto nel successivo articolo del 2007 su La New Age contemporanea e l'India dove si mette in guardia il lettore proprio da una concezione individualistica e autoreferenziale del considerarsi "maestri di se stessi", qual è quella che si è venuta affermando nel nostro tempo attraverso la diffusione del pensiero new age: tuttavia, al di là di un'eventuale e legittima trasformazioni delle proprie idee, cui solo un cervello screlotizzato può opporsi, la valutazione positiva di tale definizione, espressa in queste pagine, si riferisce al suo carattere "immanentista" ed emancipato rispetto alla possibile rigidità dogmatica di una determinata confessione religiosa specifica, fermo restando il giudizio negativo sulla diffusa presunzione di potersi illuminare da sé, di stampo infantile e semplicistico, tipica dell'attuale banalizzazione new age presente in larga parte del cosiddetto "neospiritualismo" contemporaneo (n.d.a.).