Le religioni della forza
RIFLESSIONI SULLE RITUALITA' AMERICANE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI
Tutti i grandi miti del passato celano forze pure.
Sono stati inventati per far durare e per manifestare queste forze.
(Antonin Artaud)
Negli antichi Imperi del Sole dell'America precolombiana esisteva un particolare culto della forza - o meglio "delle" forze - che circolano nel corpo dell'individuo e nell'intero universo: forze fisiche, psichiche e spirituali, forze celesti e forze telluriche, forze creative e forze distruttive, forze benigne e forze maligne, con le quali entrare in contatto per servirle o padroneggiarle, a seconda dei casi, ma sempre e in ogni caso per interagire d'istinto con il grande Mistero che ci circonda, trasformarndo noi stessi e le nostre passioni in animali, piante o minerali (uomini, bestie e dèi, avrebbe detto Ossendovski), fino a perdere completamente la nostra individualità e a dissolverci nel cosmo.
Ma di queste antiche tradizioni non è rimasto più nulla, interi popoli scomparsi per sempre, civiltà antichissime perdute nell'oblìo dei secoli: perché ciò è accaduto, e quali sono le cause di tale immane tragedia?
Accanto ai tanti prodigi di queste antiche culture, che sono a tutti ben noti e son passati alla storia, vi è infatti, purtroppo, un lato oscuro e nascosto, che si è consumato nell'ombra delle loro antiche piramidi, dove ciò che da un lato veniva innalzato nel cielo e risplendeva nel sole dall'altro si immergeva nell'ade e sprofondava nel buio, cupo e crudele come i loro rituali, passati anch'essi alla storia come rituali di sangue: toccare del resto determinate energie, accostarsi all'ignoto senza freni né limiti, adorare gli dèi con sacrifici e deliri, culti tribali e ossessioni di morte, mentre il cielo ci guarda in silenzio e gli dèi della forza ringraziano, muti… tutto ciò, certamente, avrà un giorno un effetto: che sia su un uomo, su un gruppo o su un'intera nazione non ci è dato saperlo, ma quel che ad essi è accaduto si spiega forse così.
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E qual è questo karma, oltre a quello immediato che ha colpito e distrutto questi popoli antichi, che han creduto di poter impunemente violentare gli dèi, offrendo loro sacrifici cruenti, creando così essi stessi le basi e le cause per la loro autodistruzione?
Oltre al karma diretto, come la storia ci insegna, ve n'è un altro indiretto, che ha colpito – molti secoli dopo – un'intera generazione, questa volta prevalentemente nordamericana, la cosiddetta beat generation, la generazione di Woodstock e delle droghe di massa, la generazione degli hippy e dei figli dei fiori, la generazione del black power e della violenza politica, che ha risvegliato le forze di un antico passato, accostandosi ancora - seppure in forme diverse - a un medesimo culto della forza vitale, alle stesse energie, agli stessi contatti, alle stesse ricerche, alle stesse tensioni, alle stesse estasi e agli stessi deliri dei loro precursori precolombiani, tuffandosi così, ancora una volta, in pasto agli dèi senza alcuna coscienza, capacità e preparazione per affrontare e sopravvivere a questo "bacio di fuoco", per uscir fuori indenni da questo abbraccio mortale.
Non a caso il brano emblematico di questo esplosivo periodo, che segna l'inizio di tutta questa avventura, s'intitola proprio Soul Sacrifice, a simboleggiare il rischio di un "sacrificio dell'anima", di una perdita di contatto con la nostra umanità più profonda per inseguire gli istinti e gli impulsi vitali: bella o brutta che sia questa musica (ma non è questo il punto), ciò che vogliamo capire è che cosa succede se si risveglia il "serpente" a livello di massa, se ci si accosta e ci si tuffa nella psichedelia senza freni, e in che misura ciò non riproponga, in sostanza, una sorta di sacrificio umano collettivo (a livello psichico, animico e spirituale, prima ancora che fisico) in qualche modo analogo a quello praticato negli antichi Imperi precolombiani.
Certo, è evidente che musicisti o sballati, artisti o ribelli, antagonisti o emarginati, fino ai rappresentanti eversivi della violenza politica, non sono di per sé necessariamente espressioni diaboliche o demoniache, né probabilmente distruggono più di quanto al contempo riescano in qualche modo a costruire – e dunque un parallelismo diretto con la follia messicana forse è un po' fuori luogo: ma che dire dell'impressionante scìa di morti sul campo, dell'imbarbarimento e della degenerazione dei costumi che il '68 ha portato con sé, prontamente utilizzati, del resto, dal "sistema di potere dominante" per asservire, controllare e strumentalizzare le coscienze individuali e collettive, sdoganando il "principio del piacere" a livello di massa e il suo conseguimento edonistico come unico scopo della vita umana?
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Come i precolombiani si sono autodistrutti, adorando istintivamente le forze e lasciandosi dunque impossessare da esse, così il nostro tempo ha permesso il ritorno degli antichi déi e dei loro culti tribali, offrendo loro in pasto generazioni intere e determinando e orientando in tal modo l'intero corso della storia successiva: ma lungi dal condannare tout-court ogni ricerca del contatto con il profondo, con l'abissale e con l'energia primitiva (come invece fanno, pur con le loro ragioni, i pensatori e i filosofi tradizionalisti, conservatori o reazionari che siano), vorremmo chiederci solo – nel nostro piccolo – se ogni contatto con la forza (o pittosto con "le forze", come sarebbe meglio dire) ci sia per questo precluso, se questo timore di bruciarci – peraltro pienamente giustificato, come s'è visto – ci debba necessariamente impedire di scaldarci, se sia impossibile cioè in qualche modo gestire queste forze e non lasciarci invece, com'è successo finora, divorare da esse.
Dobbiamo infatti necessariamente mantenere un atteggiamento repressivo nei confronti di queste dimensioni della coscienza, per non lasciarci travolgere da esse, oppure è possibile anche un qualche tipo di atteggiamento liberatorio nei confronti di queste tematiche, che pur tuttavia non si faccia sedurre dall'ideologia ribellista o da una hybris intellettuale arbitraria? E' possibile, cioè, entrare in contatto con queste forze senza essere travolti e distrutti? E' possibile una "via spirituale" alla forza vitale, un "culto del serpente" che non sia distruttivo né repressivo, un'espressione degli istinti che ci porti a purificarci da ogni scoria negativa e a trasformarci in energie di luce e di amore? E perché gli insegnamenti religiosi, spirituali e filosofici tradizionali vietano e condannano, invece, ogni ricorso all'istintività, all'aggressività, all'impulsività, alla sessualità, definendole moralmente in termini esclusivamente negativi?
Si tratta evidentemente di interrogativi e domande profonde, centrali e importanti per la nascita di una futura coscienza planetaria, cui tuttavia non è possibile dare una risposta certa, univoca e assoluta sul piano teorico: forse è solo l'esperienza diretta a poterci mostrare la via, coscienti che in fondo, in una maniera o nell'altra, che lo si chiami o no Dio ci sarà (C.G.Jung).
Ma quel che è certo è che gli antichi déi dovranno essere adorati in futuro in maniera diversa, senza ripercorrere più queste strade ormai note, che hanno portato sciagura, distruzione e morte, ieri come oggi, oggi come allora: che sia la morte del corpo, come nei rituali dell'antico Messico, oppure la morte dell'anima, come nei rituali della nuova America, non è più la morte che dobbiamo cercare, ma la vita – vita del corpo, dell'anima e dello spirito, che cancelli per sempre ogni traccia passata di queste tremende, affascinanti e decisamente insidiose religioni della forza.
Che il ruggito delle belve feroci possa tramutarsi
nel suono sacro delle sei sillabe.
(Bardo Thödol)
Roma, 11 Aprile 2014
https://www.pierluigigallo.org/web/2016-03-18-17-49-41/risonanze/102-le-religioni-della-forza