1. Il filosofo proibito
PENSIERO MAGICO, ALCHIMIA, FILOSOFIE ORIENTALI, "LETTERATURA DELLA CRISI", DENUNCIA DEI POTERI FORTI:
NELLE OPERE DI EVOLA I TEMI CALDI DEI NOSTRI GIORNI *
di Gianfranco De Turris
(…)[Nel Sessantotto] la "contestazione" si limitava a opporre una dissacrazione larvata, ipocrita e borghese del conformismo;
Evola spiegava [invece] a una generazione in rivolta i veri e i falsi bersagli, i nemici reali e i nemici fittizi,
riusciva a disvelare la contiguità della chiassosa contestazione con l'ovattata conservazione,
la falsa antitesi fra due mondi che si rivelavano in fondo apparentati, adiacenti, omogenei.
(Marcello Veneziani,Evola e la generazione che non ha fatto in tempo a perdere il Sessantotto,
in AA.VV, Testimonianze su Evola,Mediterranee,Roma 1973, pp.330-331)
Questo è un Paese che si adatta a tutto e alla fine accetta tutto: classicisti che fanno l’apologia di Stalin come grande statista e modernizzatore dell’Urss non intaccato dall’esistenza deigulage dei loro morti; scrittori condannati in via definitiva per omicidio (uno all’estero e l’altro graziato da Scalfaro) che pubblicano i loro romanzi senza problemi - e guai a ricordarne i precedenti; negazionisti e negazioniste dell’olocausto istriano e delle foibe ospiti graditi in tv nel nome del pluralismo; ex terroristi delle Br che presentano le loro verità in luoghi pubblici e istituzionali senza ostacoli, se non le proteste dei parenti delle vittime.
Tutti in Italia possono fare e dire e pubblicare e parlare. Ma prova tu a chiedere che qualche assessore alla cultura appoggi il tuo progetto di ricordare i40 anni dalla morte di Julius Evola,che ricorrono oggi, e vediamo le reazioni... L’unico che ebbe il coraggio di farlo nel 1998 a Roma fu il compianto Gianni Borgna, comunista, che non ebbe paura e lo finanziò, così come fece a Milano Marzio Tremaglia. Nessuno ha preso esempio dalla sua apertura mentale, purtroppo. Merito di una parolina magica, «fascista», di fronte alla quale non c’è replica che tenga... Parlare di Evola, recensirlo, introdurre i suoi libri sembra essere ritenuto una colpa, qualcosa di sconveniente, che ti fa correre il rischio di finire nel mirino dei commentatori «moderati» ma politicamente più che corretti, o magari dei «centri sociali».
Eppure questo pensatore, un vero e propriooutsiderdella cultura italiana del Novecento, si dimostra quanto mai attuale proprio per le sue analisi fuori dal coro, per averle fatte in una prospettiva non limitata al contingente, ma avendo lo sguardo proiettato lontano. Un buon motivo, dunque, per leggerlo e rimeditarlo, tralasciando tutti i luoghi comuni che si sono affastellati sulla sua figura. Facciano qualche esempio, necessariamente stringato, di analisi anticipatrici, uno dei tanti modi per affrontare il suo pensiero dopo otto lustri.
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Il tentativo di Evola di andare oltre l’idealismo e di approdare, come ultima conclusione, al pensiero magico (Teoria dell’individuo assoluto, 1927;Fenomenologia dell’individuo assoluto,1930 - queste e tutte le altre opere citate sono ora riedite dalle Edizioni Mediterranee) non fu velleitario ma aprì una «terza via» filosofica e lo colloca come uno dei maggiori pensatori italiani del Novecento accanto a Croce e Gentile (Franco Volpi).
La magia e l’alchimia, allora e adesso ridicolizzate a causa dei ciarlatani e dei cartomanti, sono state studiate e presentate quali vie realizzative interiori, come ha poi spiegato la psicologia analitica (Introduzione alla magia,1927-9;La tradizione ermetica, 1931).
Ieri imperversavano le false religioni, le sette, le pseudo-dottrine salvifiche, l’occultismo, il satanismo. Oggi è lo stesso. Evola le criticò inMaschera e volto dello spiritualismo contemporaneo(1932) in nome di una e per una difesa dell’Io.
Nella sua opera maggiore,Rivolta contro il mondo moderno(1934), che rientra a pieno diritto nella «letteratura della crisi», descrisse la nascita del «mondo moderno» in contrapposizione al «mondo della Tradizione», svelando le radici della decadenza che ora abbiamo pienamente sotto gli occhi.
La moda del Graal, che ha imperversato per due decenni con libri improbabili e ridicoli, era stata ben più seriamente anticipata da Evola neIl mistero del Graal(1937) che presenta come allegoria e simbolo della via imperiale.
Tantrismo e Zen, Buddha e Lao-Tze sono diventati popolarissimi con la New Age e la fuga in Oriente di tanti giovani occidentali in cerca della «illuminazione». Una visioneante litteramprofondamente consapevole degli aspetti dimenticati di simili dottrine e autori è nei suoiL’uomo come potenza(1926),La dottrina del risveglio( 1943),Lo yoga della potenza(1949).
Una critica all’economicismo, alla finanza anonima, alla politica succube dei «poteri forti» è neGli uomini e le rovine(1953), mentre un richiamo a quei valori etici e alla necessità di tenere «la schiena dritta» (per usare la frase del presidente Ciampi) di fronte alle tentazioni del potere, a un recupero di dignità e serietà nell’azione pubblica è inOrientamenti(1950) e anche inCavalcare la tigre(1961). Se la destra politica ne avesse tenuto conto non sarebbe sprofondata anch’essa in tanti scandali.
Se neIl fascismo(1964) anticipa un revisionismo storico visto da destra, inMetafisica del sesso(1958) rende dignità ad un aspetto della vita che oggi è pervasivo, contraddittorio, banalizzato e degradato in una patologia inquietante.
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Naturalmente Julius Evola è stato anche altro, e questi sono soltanto pochi esempi per un lettore interessato a certi aspetti più diretti e contingenti del suo pensiero. Si è occupato di svariati argomenti e su di essi ha scritto. Per questo Evola lo si deve intendere complessivamente e non estrarre alcuni suoi aspetti per osannarlo o condannarlo. Del resto, è quel che si fa nei confronti di tantissimi altri fondamentali autori del Novecento (d’Annunzio, Pound, Marinetti, Mishima, Céline ecc.). Non si capisce perché non lo si dovrebbe fare per Julius Evola.
Per capire il Novecento bisogna leggere Evola, è stato detto. E si potrebbe aggiungere che per capire il mondo del XXI secolo, con le sue contraddizioni, il suocupio dissolvi, il nichilismo, la secolarizzazione, il disincanto, l’abbandono di ogni certezza anche personale, addirittura sessuale, bisogna leggere Evola. Evola è, pur con le sue difficoltà e asprezze filosofiche, uno dei pochi, se non l’unico, a fornire indicazioni per non far sopraffare il tuo Io, conciliando, fra i pochissimi, metafisica e concretezza, meditazione e azione.
Ognuno, leggendolo, deve scegliere la sua via, anzi, per l’esattezza, il suo cammino personale.
Gianfranco De Turris,
Julius Evola oltre il muro del tempo. Ciò che è vivo a 40 anni dalla morte,
Convegno di Studi, Roma, Palazzo Ferrajoli, 11 Giugno 2014
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/1026198.html
*Personalmente non sono un estimatore di Evola (a parte le sue parole su Bachofen ne "Il cammino del cinabro" e poco altro): tuttavia, proprio perché ostracizzato dai benpensanti del "pensiero unico" dominante, quasi quasi mi risulta simpatico.
Dico "quasi" perché, pur riconoscendone l'indubbio spessore intellettuale e filosofico, lo ritengo uno dei maggiori responsabili, perlomeno a livello teorico, della tragica deriva postbellica del neofascismo italiano.
Se oggi infatti il pensiero della Tradizione – pur con tutte le sue contraddizioni – si ritrova a essere demonizzato dalla cultura italiana contemporanea, è anche grazie alle scelte eversive compiute dai "cattivi maestri" della destra italiana nel dopoguerra: pur riconoscendo dunque come giustificate le osservazioni di De Turris riportate nel seguente articolo (che per questo motivo ho voluto qui pubblicare, in antitesi al dogma dominante del "politicamente corretto"), non posso nel contempo non sottolineare la responsabilità del filosofo nell'aver contribuito, nei fatti, a emarginare il pensiero tradizionale dal sentire comune dell'Italia contemporanea.
Il che, francamente, non è poca cosa. (Pierluigi Gallo Ziffer)
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2. La memoria negata
PER NON DIMENTICARE CIO' CHE INVECE IN MOLTI VORREBBERO DIMENTICARE, NELL'OMERTA' GENERALE *
Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani:
allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle foibe.
(…) Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose,
da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare.
Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo é fatale, ecco.
Quindi non facciamo tanto i moralisti.
(Indro Montanelli, intervista al TG2, Febbraio 2005)
Il 10 febbraio è laGiornata del Ricordo, festa solenne nazionale italiana, istituita con la Legge 30 marzo 2004 per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e l’esodo giuliano – dalmata. Non tutti sanno però, oppure non tutti vogliono ricordare, quello che dal 1943 al 1947 accadde a Trieste, a Gorizia e in Istria a migliaia di cittadini italiani, per mano dei partigiani comunisti e delle truppe jugoslave comandate da Josip Broz, noto come il Maresciallo Tito.
Fu una pulizia etnica da fare invidia, per metodi e crudeltà, ai nazisti. Torture e violenze di ogni tipo, su donne, bambini, vecchi e adulti, militari del Regio Esercito Italiano, Carabinieri, Finanzieri, colpevoli solo di essere Italiani.
Il vertice degli infoibamenti si ebbe nel 1945, con il disfacimento del regime repubblicano e con il tracollo delle formazioni armate repubblichine, che tutelavano le popolazioni civili dagli attacchi dei titini del famigeratoIX Corpus,che esibivano un feroce odio di carattere etnico – ideologico.
Le persecuzioni continuarono, violentissime e sanguinarie, sino al 1947, per eliminare fisicamente ogni italiano dalla futura Federazione Jugoslava, che era organica al blocco sovietico.
Il metodo usato era quello delle foibe, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell'Istria, che fra il 1943 e il 1947 furono gettati, sia morti che vivi, quasi diecimila italiani.
La prassi era questa: i partigiani titini rastrellavano nella notte, nei centri abitati gli italiani, dopo averli picchiati, torturati e depredati, li conducevano in fila indiana verso le foibe che erano sulle alture circostanti, dopo avergli legato i polsi dietro la schiena con del filo di ferro in una catena umana.
Giunti all’imbocco della foiba, sparavano ai primi della fila che precipitavano in basso nel precipizio, trascinando con sé tutti gli altri. Le foibe erano profonde minimo venti metri . Non c’era alcun scampo per gli infoibati. Fatto questo, uno dei boia gettava una bomba a mano nell’orrido per finire eventuali superstiti e come gesto scaramantico gettavano una carogna di un cane nero, per impedire alle anime dei morti di risalire a perseguitare gli assassini.
Pochissimi furono quelli che riuscirono a salvarsi, ma qualcuno ci riuscì e raccontò quello che era accaduto. Anche numerosi partigiani italiani, e soprattutto non comunisti, furono eliminati nello stesso modo.
Negli anni seguenti, le foibe in territorio italiano furono esplorate per dare una cristiana sepoltura a questi poveri resti, sul fondo di esse furono trovati cumuli su cumuli di corpi di persone, morte fra atroci sofferenze nel buio di questi precipizi.
Ma non è finita. Nel febbraio del 47, fu ratificato tra Italia e Jugoslavia il trattato di pace: Istria e Dalmazia vengono cedute ufficialmente alla Jugoslavia.
Quasi mezzo milione di italiani fuggono in Italia, da questi territori e soprattutto dal terrore di essere infoibati o internati neigulagdi Tito. Questi esuli abbandonano in mano jugoslava tutto: case, soldi, terreni, lavoro, aziende.
Tutti i loro beni vengono requisiti dalla Jugoslavia, come i nazisti fecero con gli ebrei.
La cosa vergognosa fu il silenzio che il PCI adottò verso questa immane tragedia, ma non solo i comunisti italiani furono omertosi, anche la classe dirigente della DC non diede la necessaria rilevanza a questo esodo e non approfondì le atrocità delle foibe. Molti pensarono ad una leggenda metropolitana, mentre era una terribile realtà.
Per quasi cinquant'anni, un colpevole silenzio coprì in Italia questa spaventosa vicenda, che grida vendetta a distanza di tanti anni e che è bel presente nella mente e nell’anima di chi subì questa pulizia etnica.
Finalmente il 10 febbraio del 2005 il Parlamento Italiano, dopo tante esitazioni, ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe e ai profughi istriani e dalmati.
Inizia, tardissimo, un percorso di rielaborazione teso alla ricerca della verità di una delle pagine più dolorose della nostra storia.
Roberto Nicolick,
Savona News, 9 febbraio 2014
* Quanto riportato in questo articolo non deve farci scordare, tuttavia, che le ragioni profonde dell'odio anti-italiano manifestatosi nelle foibe vanno ricercate a monte nelle violenze operate dai fascisti nel corso dell'occupazione della Jugoslavia. Se dunque l'analisi storica non può prescindere da un'analisi complessiva dei fatti, tantopiù l'analisi politica non dovrà rifuggire da un'onesta ammissione delle proprie colpe, specie se si vuole sostenere, nel contempo, una superiorità morale, culturale e storica sull'avversario. Questo nel caso italiano non è accaduto, e l'intera vicenda è stata avvolta, negli anni, da una vergognosa e scandalosa omertà. (Pierluigi Gallo Ziffer)