Nichilismo

 

1. Gli uccisori delicati
di Albert Camus


SULLE TRACCE DEL NICHILISMO RUSSO


Se la società non cede, bisogna che il male e il vizio periscano,

anche dovessimo perire tutti con loro. (Congresso Anarchico di Valenza, 1887)


Il 1878 è l'anno di nascita del terrorismo russo. Una giovinetta, Vera Zasulic, il 24 gennaio, all'indomani del processo a centoventitrè populisti, uccide il generale Trepov, governatore di Pietroburgo. Assolta dai giurati, sfugge poi alla polizia della zar. Questo colpo di rivoltella dà il via a tutto un succedersi di repressioni e attentati.

Nello stesso anno, un membro di Volontà del Popolo, Kravcinski, stabilisce i principi del terrore nel suo libello Morte per morte. Le conseguenze seguono i princìpi. In Europa, l'imperatore di Germania, il re d'Italia e il re di Spagna sono vittime d'attentati. Sempre nel 1878 Alessandro II crea, con l'Okrana, l'arma più efficace del terrorismo di Stato. Da quel momento, l'Ottocento si corona d'assassinii, in Russia e in Occidente.

(…) Il nichilismo, strettamente connesso al decorso di una rivoluzione delusa, finisce così in terrorismo. Nell'universo della negazione totale, a colpi di bomba e di rivoltella, ma anche con il coraggio di andare alla forca, questi giovani cercavano di uscire dalla contraddizione e di creare i valori di cui mancavano. Fino a loro, gli uomini morivano in nome di ciò che sapevano, o di quanto credevano di sapere. A principiare da loro, si prese l'abitudine, più difficile, di sacrificarsi per qualcosa di cui nulla si sapeva, se non che si doveva morire perché fosse. Fino a quel momento, quelli che dovevano morire si rimettevano a Dio contro la giustizia degli uomini. Ma quando si leggono le dichiarazioni dei condannati di questo periodo, si è colpiti al vedere che tutti, senza eccezione, si rimettono, contro i giudici, alla giustizia di altri uomini, di là da venire. Questi uomini futuri, in assenza di valori supremi, restavano il loro ultimo appello. L'avvenire è la sola trascendenza degli uomini senza Dio. Senza dubbio i terroristi vogliono innanzi tutto distruggere, far vacillare l'assolutismo al cozzo delle bombe. Ma con la loro morte, almeno, mirano a ricreare una comunità di giustizia e d'amore, e a riprendere una missione che la Chiesa ha tradita. I terroristi vogliono in realtà creare una Chiesa da cui scaturisca un giorno il nuovo dio.

*

(…) Fermiamoci su questo valore, nel momento in cui lo spirito di rivolta incontra, per l'ultima volta nella nostra storia, lo spirito di compassione. "Si può parlare d'azione terroristica senza prendervi parte?", esclama lo studente Kaliayev. I suoi compagni, riuniti dal 1903 nell'Organizzazione di Combattimento del Partito Socialista Rivoluzionario, (…) si mantengono tutti all'altezza. (…) Sasonov, Schweitzer, Pokotilov, Voinaroski e la maggior parte degli altri sono sorti così nella storia della Russia e del mondo. Sono quasi tutti atei. (…) Kaliayev, invece, crede in Dio. Qualche minuto prima di un attentato che fallirà, Savinkov lo scopre in strada, piantato davanti a un'icona, con una bomba in mano e intento a segnarsi con l'altra. Ma ripudia la religione. Nella sua cella, prima dell'esecuzione, ne rifiuta il soccorso.

La clandestinità li obbliga a vivere in solitudine. (…) Ma il vincolo che li unisce sostituisce per loro ogni attaccamento. "Cavalleria!" scrive Sasonov, che così commenta: "La nostra cavalleria era improntata a un tale spirito che la parola 'fratello' non traduce ancora con sufficiente chiarezza l'essenza delle nostre relazioni reciproche". (…) "Quanto a me, la condizione indispensabile della felicità sta nel serbare perennemente coscienza della mia perfetta solidarietà con voi". Da parte sua, a una donna amata, Voinaroski confessa (…): "Ti maledirei se arrivassi in ritardo dai miei compagni!".

Questo gruppetto d'uomini e di donne, sperduti nella folla russa, stretti l'un l'altro, scelgono il mestiere di carnefici al quale nulla li destinava. Vivono lo stesso paradosso, unendo in sé il rispetto per la vita umana in generale a un disprezzo per la propria vita che va fino alla nostalgia del sacrificio supremo. (…) Quanto a Kaliayev, è pronto a sacrificare la sua vita a ogni istante. "Più ancora, desiderava appassionatamente questo sacrificio". (…) Anche in Voinaroski, l'amore del sacrificio coincide con l'attrazione della morte. Dopo il suo arresto, scrive ai genitori: "Quante volte, durante l'adolescenza, m'era venuta l'idea di uccidermi…".

*

Nello stesso tempo, questi carnefici, che mettevano in gioco, e così totalmente, la propria vita, non toccavano quella degli altri se non con la coscienza più meticolosa. L'attentato contro il granduca Sergio fallisce una prima volta perché Kaliayev, approvato da tutti i compagni, rifiuta di uccidere i bambini che si trovavano nella carroza del granduca. (…) "Aveva fede nell'azione terrorista, considerava il prendervi parte un onore e un dovere, ma il sangue lo turbava (…)". Savinkov, "in nome della coscienza terrorista", si difenderà con indignazione dall'accusa di aver fatto partecipare a un attentato un ragazzo di sedici anni. Al momento di evadere da una prigione zarista, decide di tirare sugli ufficiali che avessero potuto opporsi alla sua fuga, ma di uccidersi piuttosto che volgere l'arma contro qualche soldato. Non diversamente Voinarovski, quest'uccisore di uomini che confessa di non essere mai andato a caccia, "trovando barbara questa occupazione", dichiara a sua volta: "Se Dubassov è accompagnato dalla moglie, non getto la bomba".

(…) Necessario e non scusabile, tale appariva loro l'omicidio. Cuori mediocri, posti a confronto con questo terribile problema, possono adagiarsi nell'oblìo di uno dei due termini. Si accontenteranno, in nome dei princìpi formali, di trovare ingiustificabile qualsiasi violenza immediata e permetteranno quindi quella violenza diffusa che è la scala del mondo e della storia. Oppure, in nome della storia, si consoleranno del fatto che la violenza sia necessaria e aggiungeranno allora omicidio a omicidio, fino a fare della storia una sola e lunga violazione di quanto, nell'uomo, protesta contro l'ingiustizia. Ciò definisce i due volti del nichilismo contemporaneo, borghese e rivoluzionario.

(…) Per loro, come fino a loro per tutti gli uomini in rivolta, l'omicidio si è identificato con il suicidio. Una vita si paga allora con un'altra vita e, da questi due olocausti, sorge la promessa di un valore. Kaliayev, Voinarovski e gli altri credono all'equivalenza delle vite. Non pongono dunque alcuna idea al disopra della vita umana, sebbene uccidano per l'idea. Esattamente, vivono all'altezza dell'idea. La giustificano, infine, incarnandola fino alla morte. Siamo ancora di fronte a una concezione se non religiosa, almeno metafisica della rivolta. Altri uomini [i bolscevichi, n.d.r.] verranno dopo questi che, animati dalla stessa fede divorante, giudicheranno tuttavia sentimentali questi metodi e rifiuteranno di ammettere che qualsiasi vita sia equivalente a qualsiasi altra. Metteranno allora al disopra della vita umana un'idea astratta, anche se la chiamano storia, alla quale, sottomessi a priori, decideranno, assolutamente ad arbitrio, di sottomettere anche gli altri. Il problema della rivolta non si risolverà più in aritmetica, ma in calcolo delle probabilità. Di fronte a una futura realizzazione dell'idea, la vita umana può essere tutto o niente.

*

(…) In mezzo ad un mondo che negano e che li respinge, [i nichilisti russi] tentano, come tutti i grandi cuori, di rifare, uomo per uomo, una fraternità. L'amore che reciprocamente si portano, che fa la loro felicità perfino nel deserto dell'ergastolo, che si estende all'immensa turba dei fratelli asserviti e silenziosi, dà la misura della loro ambascia e della loro speranza. Per servire quest'amore, devono prima uccidere; per affermare il regno dell'innocenza, accettare una certa consapevolezza. Questa contraddizione non si risolverà per loro che al momento estremo. Solitudine e cavalleria, disperazione e speranza saranno superate soltanto nella libera accettazione della morte.

(…) Jeliabov morì sorridendo, mentre Ryssakov, che aveva ceduto durante gli interrogatori, fu trascinato al patibolo mezzo pazzo di terrore. (…) Ai piedi della forca, Sofia Perovskaia abbracciò l'uomo che amava e gli altri due amici, ma si scostò da Ryssakov che morì solitario, dannato dalla nuova religione. Per Jeliabov, la morte in mezzo ai fratelli coincideva con la giustificazione. Chi uccide è colpevole soltanto se acconsente a vivere o se, per vivere, tradisce i suoi fratelli. Morire invece annulla la colpevolezza e lo stesso delitto. Charlotte Corday grida allora a Foucquier-Tinville: "Oh, mostro, mi prende per un'assassina!". E' la lacerante e fuggevole scoperta di un valore umano che sta a metà tra l'innocenza e la colpevolezza, la ragione e l'irragionevole, la storia e l'eternità. All'istante di questa scoperta, ma solo allora, sopravviene per questi disperati una strana quiete, quella delle vittorie definitive.

(…) "Senza che un solo muscolo del mio viso trasalga, senza fiatare, salirò al patibolo… E non sarà più una violenza esercitata su me stesso, sarà il risultato affatto naturale di quanto ho vissuto". (…) "La mia morte porterà tutto a compimento e, coronata dal supplizio, la mia causa sarà irreprensibile e perfetta". (…) "Dal momento in cui mi sono trovato dietro alle sbarre, non ho avuto nemmeno per un momento il desiderio di restare, in qualsiasi modo, in vita". (…) Al padre Florinski, che gli porge il crocifisso, il condannato, distogliendosi da Cristo, risponde soltanto: "Le ho già detto che l'ho finita con la vita e che mi sono preparato alla morte".

(…) Attraverso tale valore, questi terroristi, mentre affermano il mondo degli uomini, si pongono allo stesso tempo al di sopra di questo mondo, dimostrando per l'ultima volta nella nostra storia che la vera rivolta è creatrice di valori.

Grazie a loro, il 1905 segna il vertice dello slancio rivoluzionario. A questa data, è cominciato un decadimento. I martiri non fanno le Chiese: ne sono il cemento, o l'alibi. Poi vengono i preti o i bigotti. I rivoluzionari che verranno non esigeranno la permuta delle vite. Acconsentiranno a rischiare la morte, ma accetteranno anche di conservarsi il più a lungo possibile per la rivoluzione. Acconsentiranno all'umiliazione, è questa la vera caratteristica dei rivoluzionari del XX secolo, che pongono al di sopra di sé la rivoluzione e la Chiesa degli uomini. Kaliayev prova, al contrario, che la rivoluzione, mezzo necessario, non è un fine sufficiente. Con questo, eleva l'uomo invece di abbassarlo.

(…) Kaliayev ha dubitato sino alla fine, e questo dubbio non gli ha impedito d'agire: in questo egli è l'immagine più pura della rivolta. Chi accetta di morire, di pagare vita contro vita, quali che siano le sue negazioni, afferma con ciò un valore che lo trascende in quanto individuo storico. Kaliayev si consacra alla storia fino alla morte e, al momento di morire, si pone al disopra della storia. In certo modo, è vero che si preferisce ad essa. Ma che cosa preferisce, se stesso che uccide senza esitazioni, o il valore che incarna e fa vivere?

La risposta non è dubbia. Kaliayev e i suoi fratelli trionfano del nichilismo.

Albert Camus,
L'uomo in rivolta, Parigi 1951

 

 

 

2. Ma l'amor mio non muore
di Pierluigi Gallo Ziffer


Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? (Cicerone, Catilinaria, 1)

Circondati da un mondo in rovina, che cerca soltanto di rimanere a galla, ciechi al passato e sordi al futuro, camminano erranti nei deserti d'asfalto, in cerca di uno spiraglio di verità: sono i giovani del nostro tempo, senza più arte né parte, che s'illudono di costruirsi un domani sulle rovine di un incerto passato - di un passato che non passa mai – cui ogni tanto qualcuno vorrebbe far credere di essere sorto come nuovo messia (oggi abbiamo il rottamatore di turno, ad esempio), resuscitando così l'antico adagio, reso famoso da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, bisogna che tutto cambi affinché nulla cambi (Il Gattopardo, 1958).

Questo perlomeno in Italia: ma in tutto il resto del mondo, mi sembra, la situazione non è migliore. Ovunque s'innalza ogni giorno, incalzante, un grido di rabbia e di odio contro un mondo malato, avariato e fallito, in cui menzogna, corruzione e morte danzano ipocritamente su tutta la terra, recitando imbelli la commedia infinita di un'occulta - e perciò ancor più astuta - dominazione globale (possibile solo, però, col consenso delle coscienze, anch'esse dunque colpevoli e complici).

I ribellisti di ieri sono i padroni di oggi, e gli eredi eleganti del '68 à la page siedono ormai allineati ai tavoli di comando del potere mediatico, mentre gli emarginati veri e gli antagonisti puri di ogni tempo e latitudine restano per sempre ai bordi della società, con l'unica alternativa di integrarsi o disintegrarsi: tanto, alla fine, il risultato non cambia.

E tutto sembra progredire così verso il meglio, glorificando nei fatti, oltre che nelle menti e nei cuori di un'umanità compiacente, quelle magnifiche sorti e progressive che già nel passato qualcuno aveva messo radicalmente in discussione, tramite scritti e opinioni che sopravvivono ormai solo in qualche testo ammuffito, e proprio perciò ormai del tutto impotenti e relegati in un angolo.

E noi che insegnamo, nell'ombra, possiamo solo contemplare in noi stessi questo sfacelo diffuso, senza peraltro volerne fare una colpa né a noi né ai nostri studenti, e senza nemmeno riuscire più a farcene una ragione: i più limitandosi a sposare le idee riformiste del progressismo rampante, i meno isolandosi in un passato nostalgico dell'uomo forte al comando, qualcuno aprendo invece un po' gli occhi e guardandosi intorno, e distaccandosi quindi, seppur nel suo piccolo, da questa immensa vulgata buonista che ci circonda e ci asfissia.

E allora, come diceva Cicerone, fino a quando, Catilina, continuerai ad abusare della nostra pazienza? - Fino a quando, pare rispondere lui, me lo permetterete voi, perché siete proprio voi, mio buon Cicerone, che mi tenete in vita con la vostra acquiescenza.

Senza dunque voler scomodare Sorel, Von Clausewitz o i grandi nomi del pensiero anarchico, né gli squadristi neri o i trozskysti rossi del Novecento che fu, quel che ci appare all'orizzonte sembra più un tramonto infuocato di sangue che un'alba serena da Terza Repubblica: perché, per quanto si cerchi di rassicurare l'Italia, e con essa i popoli dell'intero pianeta, sembra ormai chiaro che la tempesta s'avanza.

Chi, come, dove e quando è difficile dirlo, ma quel che è certo è senz'altro il perché.

 Roma, 13 Aprile 2014
www.pierluigigallo.org


Addendum

Come talvolta mi accade di fare (specialmente quando mi occupo di politica), in questo articolo ho probabilmente sbagliato il tiro, identificando nei giovani europei del nostro tempo i protagonisti di queste mie riflessioni: essi invece sembrano essere stati completamente narcotizzati e anestetizzati dalla vincente "pax renziana" (nonché "tziprasiana", "bergogliana" e chi più ne ha più ne metta) - dunque la mia analisi, in questo caso, è sbagliata.

Ma se proviamo a spostarci anche solo di un poco a Oriente, quanto scritto qui sopra sembra calzare a pennello per l'Isis, le cui brancaleoniche fila - a metà fra il grottesco e il tragico - vanno ingrossandosi quotidianamente di giovani jihadisti in arrivo da mezzo mondo, islamico e non. 

Laddove, infatti, la rassicurante propaganda buonista degli attuali leaders politici e religiosi europei trova terreno fertile per pilotare e pacificare le coscienze individuali e collettive del "primo mondo", la pace sociale non viene scalfita e la tempesta è sedata: ma là dove invece il malcontento è diffuso, le prospettive di vita drasticamente ridotte e la rabbia avvolge generazioni intere di disperati e di diseredati, il buonismo ipocrita dell'Occidente si trasforma nel suo opposto, e nasce così il "cattivismo" crudele e sanguinario dei nuovi barbari dello Stato islamico.

Invece di mettere la testa nella sabbia come gli struzzi, meglio dunque sarebbe cercare di aprire gli occhi su quell'immensa marea degli esclusi, pronti a scagliarsi come un sol uomo contro i miti di carta dell'Occidente, che invece di scegliere l'opzione "migrantes" -  sottomettendosi così al sogno illusorio del "mondo libero" - ha deciso di opporsi col fuoco a questa planetaria menzogna. 

Nella speranza, poi, che si giunga ben presto a una nuova fase dialettica, e che l'antitesi stessa, barbarica e truce, sia finalmente spazzata via insieme a quella tesi che essa vuole combattere: da ciò forse un giorno nascerà un "terzo polo", e ci lasceremo alle spalle sia i cattivi che i buoni di questa epoca inutile e senza scopo.

Roma, 13 Novembre 2015   
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