In questa rubrica ho voluto raccogliere una serie di schede didattiche a carattere storico, filosofico e politico, da utilizzarsi come supporto antologico per l'approfondimento di un determinato tema o argomento di studio: si tratta, com'è ovvio, di tematiche diverse e in molti casi antitetiche, come si conviene alla conoscenza e all'analisi  delle varie concezioni del mondo dell'umanità.

Con buona pace quindi del pensiero unico e dell'ideologia dominante, che dopo aver cancellato il passato vuole negarci anche il futuro: del presente, invece, non ne parliamo neanche…

Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole: la distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato.

(…) Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall'interesse immediato al loro interesse reale: essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo.

È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di «distribuire dei beni» su scala sempre più ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell'uomo. (H. Marcuse, L'uomo a una dimensione)

Roma, 19 Marzo 2016

Damnatio Memoriae

1. Il filosofo proibito

PENSIERO MAGICO, ALCHIMIA, FILOSOFIE ORIENTALI, "LETTERATURA DELLA CRISI", DENUNCIA DEI POTERI FORTI:
NELLE OPERE DI EVOLA I TEMI CALDI DEI NOSTRI GIORNI *
di Gianfranco De Turris

 

(…)[Nel Sessantotto] la "contestazione" si limitava a opporre una dissacrazione larvata, ipocrita e borghese del conformismo;
Evola spiegava
 [invece] a una generazione in rivolta i veri e i falsi bersagli, i nemici reali e i nemici fittizi,
riusciva a disvelare la contiguità della chiassosa contestazione con l'ovattata conservazione,
la falsa antitesi fra due mondi che si rivelavano in fondo apparentati, adiacenti, omogenei.
 
(Marcello Veneziani,Evola e la generazione che non ha fatto in tempo a perdere il Sessantotto,
in AA.VV, Testimonianze su Evola,
Mediterranee,Roma 1973, pp.330-331)



Questo è un Paese che si adatta a tutto e alla fine accetta tutto: classicisti che fanno l’apolo­gia di Stalin come grande stati­sta e modernizzatore dell’Urss non intaccato dall’esistenza deigulage dei loro morti; scrit­tori condannati in via definiti­va per omicidio (uno all’estero e l’altro graziato da Scalfaro) che pubblicano i loro romanzi senza problemi - e guai a ricor­darne i precedenti; negazionisti e negazioniste dell’olocau­sto istriano e delle foibe ospiti graditi in tv nel nome del plura­lismo; ex terroristi delle Br che presentano le loro verità in luo­ghi pubblici e istituzionali sen­za ostacoli, se non le proteste dei parenti delle vittime.

Tutti in Italia possono fare e dire e pubblicare e parlare. Ma prova tu a chiedere che qual­che assessore alla cultura ap­poggi il tuo progetto di ricorda­re i40 anni dalla morte di Ju­lius Evola,che ricorrono oggi, e vediamo le reazioni... L’uni­co che ebbe il coraggio di farlo nel 1998 a Roma fu il compian­to Gianni Borgna, comunista, che non ebbe paura e lo finan­ziò, così come fece a Milano Marzio Tremaglia. Nessuno ha preso esempio dalla sua apertura mentale, purtroppo. Merito di una parolina magi­ca, «fascista», di fronte alla qua­le non c’è replica che tenga... Parlare di Evola, recensirlo, in­trodurre i suoi libri sembra es­sere ritenuto una colpa, qual­cosa di sconveniente, che ti fa correre il rischio di finire nel mirino dei commentatori «mo­derati» ma politicamente più che corretti, o magari dei «cen­tri sociali».

Eppure questo pensatore, un vero e propriooutsiderdel­la cultura italiana del Novecen­to, si dimostra quanto mai at­tuale proprio per le sue analisi fuori dal coro, per averle fatte in una prospettiva non limita­ta al contingente, ma avendo lo sguardo proiettato lontano. Un buon motivo, dunque, per leggerlo e rimeditarlo, trala­sciando tutti i luoghi comuni che si sono affastellati sulla sua figura. Facciano qualche esempio, necessariamente stringato, di analisi anticipatri­ci, uno dei tanti modi per af­frontare il suo pensiero dopo otto lustri.

*

Il tentativo di Evola di anda­re oltre l’idealismo e di appro­dare, come ultima conclusio­ne, al pensiero magico (Teoria dell’individuo assoluto, 1927;Fenomenologia dell’individuo assoluto,1930 - queste e tutte le altre opere citate sono ora riedite dalle Edizioni Medi­terranee) non fu velleita­rio ma aprì una «terza via» filosofica e lo col­loca come uno dei maggiori pensato­ri­ italiani del Nove­cento accanto a Croce e Gentile (Franco Volpi).

La magia e l’al­chimia, allora e adesso ridicoliz­zate a causa dei ciarlatani e dei cartomanti, sono state studiate e presentate quali vie realizzative inte­riori, come ha poi spiegato la psicologia analitica (Introduzione alla magia,1927-9;La tradizione ermetica, 1931).

Ieri imperversavano le fal­se religioni, le sette, le pseudo-dottrine salvifiche, l’occulti­smo, il satanismo. Oggi è lo stes­so. Evola le criticò inMaschera e volto dello spiritualismo con­temporaneo(1932) in nome di una e per una difesa dell’Io.

Nella sua opera maggiore,Ri­volta contro il mondo moderno(1934), che rientra a pieno dirit­to nella «letteratura della cri­si», descrisse la nascita del «mondo moderno» in contrap­posizione al «mondo della Tra­dizione», svelando le radici della decadenza che ora abbia­mo pienamente sotto gli occhi.

La moda del Graal, che ha imperversato per due decenni con libri im­probabili e ridicoli, era stata ben più seriamente anticipata da Evola neIl mistero del Graal(1937) che presenta come alle­goria e simbolo della via impe­riale.

Tantrismo e Zen, Buddha e Lao-Tze sono diventati popola­rissimi con la New Age e la fuga in Oriente di tanti giovani occi­dentali in cerca della «illumi­nazione». Una visioneante lit­teramprofondamente consa­pevole degli aspetti dimentica­ti di simili dottrine e autori è nei suoiL’uomo come potenza(1926),La dottrina del risve­glio( 1943),Lo yoga della poten­za(1949).

Una critica all’economici­smo, alla finanza anonima, al­la politica succube dei «poteri forti» è neGli uomini e le rovine(1953), mentre un richiamo a quei valori etici e alla necessità di tenere «la schiena dritta» (per usare la frase del presiden­te Ciampi) di fronte alle tenta­zioni del potere, a un recupero di dignità e serietà nell’azione pubblica è inOrientamenti(1950) e anche inCavalcare la tigre(1961). Se la destra politi­ca ne avesse tenuto conto non sarebbe sprofondata anch’es­sa in tanti scandali.

Se neIl fascismo(1964) anti­cipa un revisionismo storico vi­sto da destra, inMetafisica del sesso(1958) rende dignità ad un aspetto della vita che oggi è pervasivo, contraddittorio, ba­nalizzato e degradato in una patologia inquietante.

*

Naturalmente Julius Evola è stato anche altro, e questi sono soltanto pochi esempi per un lettore interessato a certi aspet­ti più diretti e contingenti del suo pensiero. Si è occupato di svariati argomenti e su di essi ha scritto. Per questo Evola lo si deve intendere complessiva­mente e non estrarre alcuni suoi aspetti per osannarlo o condannarlo. Del resto, è quel che si fa nei confronti di tantis­simi altri fondamentali autori del Novecento (d’Annunzio, Pound, Marinetti, Mishima, Céline ecc.). Non si capisce perché non lo si dovrebbe fare per Julius Evola.

Per capire il Novecento biso­gna leggere Evola, è stato det­to. E si potrebbe aggiungere che per capire il mondo del XXI secolo, con le sue contrad­dizioni, il suocupio dissolvi, il nichilismo, la secolarizzazio­ne, il disincanto, l’abbandono di ogni certezza anche perso­nale, addirittura sessuale, biso­gna leggere Evola. Evola è, pur con le sue difficoltà e asprezze filosofiche, uno dei pochi, se non l’unico, a fornire indica­zioni per non far sopraffare il tuo Io, conciliando, fra i pochis­simi, metafisica e concretezza, meditazione e azione.

Ognu­no, leggendolo, deve scegliere la sua via, anzi, per l’esattezza, il suo cammino personale. 


Gianfranco De Turris,
Julius Evola oltre il muro del tempo. Ciò che è vivo a 40 anni dalla morte,
Convegno di Studi, Roma, Palazzo Ferrajoli, 11 Giugno 2014
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/1026198.html

 

*Personalmente non sono un estimatore di Evola (a parte le sue parole su Bachofen ne "Il cammino del cinabro" e poco altro): tuttavia, proprio perché ostracizzato dai benpensanti del "pensiero unico" dominante, quasi quasi mi risulta simpatico.

Dico "quasi" perché, pur riconoscendone l'indubbio spessore intellettuale e filosofico, lo ritengo uno dei maggiori responsabili, perlomeno a livello teorico, della tragica deriva postbellica del neofascismo italiano.

Se oggi infatti il pensiero della Tradizione – pur con tutte le sue contraddizioni – si ritrova a essere demonizzato dalla cultura italiana contemporanea, è anche grazie alle scelte eversive compiute dai "cattivi maestri" della destra italiana nel dopoguerra: pur riconoscendo dunque come giustificate le osservazioni di De Turris riportate nel seguente articolo (che per questo motivo ho voluto qui pubblicare, in antitesi al dogma dominante del "politicamente corretto"), non posso nel contempo non sottolineare la responsabilità del filosofo nell'aver contribuito, nei fatti, a emarginare il pensiero tradizionale dal sentire comune dell'Italia contemporanea.

Il che, francamente, non è poca cosa. (Pierluigi Gallo Ziffer)

 

*

 

2. La memoria negata

PER NON DIMENTICARE CIO' CHE INVECE IN MOLTI VORREBBERO DIMENTICARE, NELL'OMERTA' GENERALE *

Fu una pulizia etnica, bisognava far fuori gli italiani:
allora si chiamarono fascisti e si ammazzarono, e si buttarono nelle foibe.
(…) Però io ti posso dire questo: che come testimone oculare io ho visto anche in Croazia delle cose,
da parte degli italiani, su cui è meglio sorvolare.
Perché anche noi le abbiamo commesse, perché la guerra le comporta, questo é fatale, ecco.
Quindi non facciamo tanto i moralisti.
(Indro Montanelli, intervista al TG2, Febbraio 2005)


Il 10 febbraio è laGiornata del Ricordo, festa solenne nazionale italiana, istituita con la Legge 30 marzo 2004 per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e l’esodo giuliano – dalmata. Non tutti sanno però, oppure non tutti vogliono ricordare, quello che dal 1943 al 1947 accadde a Trieste, a Gorizia e in Istria a migliaia di cittadini italiani, per mano dei partigiani comunisti e delle truppe jugoslave comandate da Josip Broz, noto come il Maresciallo Tito.

Fu una pulizia etnica da fare invidia, per metodi e crudeltà, ai nazisti. Torture e violenze di ogni tipo, su donne, bambini, vecchi e adulti, militari del Regio Esercito Italiano, Carabinieri, Finanzieri, colpevoli solo di essere Italiani.

Il vertice  degli infoibamenti si ebbe nel 1945, con il disfacimento del regime repubblicano e con il tracollo delle formazioni armate repubblichine, che tutelavano le popolazioni civili dagli attacchi dei titini del famigeratoIX Corpus,che esibivano un feroce odio di carattere etnico – ideologico.
Le persecuzioni  continuarono, violentissime e sanguinarie, sino al 1947, per eliminare fisicamente ogni italiano dalla futura Federazione Jugoslava, che era organica al blocco sovietico.
Il metodo usato era quello delle foibe, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell'Istria, che fra il 1943 e il 1947 furono gettati, sia morti che vivi, quasi diecimila italiani.
La prassi era questa: i partigiani titini rastrellavano nella notte, nei centri abitati gli italiani, dopo averli picchiati, torturati e depredati, li conducevano in fila indiana verso le foibe che erano sulle alture circostanti, dopo avergli legato i polsi dietro la schiena con del filo di ferro in una catena umana.
Giunti all’imbocco della foiba, sparavano ai primi della fila che precipitavano in basso nel precipizio, trascinando con sé tutti gli altri. Le foibe erano profonde minimo venti metri . Non c’era alcun scampo per gli infoibati. Fatto questo, uno dei boia gettava una bomba a mano nell’orrido per finire eventuali superstiti e come gesto scaramantico gettavano una carogna di un cane nero, per impedire alle anime dei morti di risalire a perseguitare gli assassini.

Pochissimi furono quelli che riuscirono a salvarsi, ma qualcuno ci riuscì e raccontò quello che era accaduto. Anche numerosi partigiani italiani, e soprattutto non comunisti, furono eliminati nello stesso modo.

Negli anni seguenti, le foibe in territorio italiano furono esplorate per dare una cristiana sepoltura a questi poveri resti, sul fondo di esse furono trovati cumuli su cumuli di corpi di persone, morte fra atroci sofferenze nel buio di questi precipizi.

Ma non è finita. Nel febbraio del 47, fu ratificato tra Italia e Jugoslavia il trattato di pace: Istria e Dalmazia vengono cedute ufficialmente alla Jugoslavia.

Quasi mezzo milione di italiani fuggono in Italia, da questi territori e soprattutto dal terrore di essere infoibati o internati neigulagdi Tito. Questi esuli abbandonano in mano jugoslava tutto: case, soldi, terreni, lavoro, aziende.

Tutti i loro beni vengono requisiti dalla Jugoslavia, come i nazisti fecero con gli ebrei.
La cosa vergognosa fu il silenzio che il PCI  adottò verso questa immane tragedia, ma non solo i comunisti italiani furono omertosi, anche la classe dirigente della DC non diede la necessaria rilevanza a questo esodo e non approfondì le atrocità delle foibe. Molti pensarono ad una leggenda metropolitana, mentre era una terribile realtà.

Per quasi cinquant'anni, un colpevole silenzio coprì in Italia questa spaventosa vicenda, che grida vendetta a distanza di tanti anni e che è bel presente nella mente e nell’anima di chi subì questa pulizia etnica.
Finalmente il 10 febbraio del 2005 il Parlamento Italiano, dopo tante esitazioni, ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe e ai profughi istriani e dalmati.

Inizia, tardissimo, un percorso di rielaborazione teso alla ricerca della verità di una delle pagine più dolorose della nostra storia.


Roberto Nicolick,
Savona News, 9 febbraio 2014

* Quanto riportato in questo articolo non deve farci scordare, tuttavia, che le ragioni profonde dell'odio anti-italiano manifestatosi nelle foibe vanno ricercate a monte nelle violenze operate dai fascisti nel corso dell'occupazione della Jugoslavia. Se dunque l'analisi storica non può prescindere da un'analisi complessiva dei fatti, tantopiù l'analisi politica non dovrà rifuggire da un'onesta ammissione delle proprie colpe, specie se si vuole sostenere, nel contempo, una superiorità morale, culturale e storica sull'avversario. Questo nel caso italiano non è accaduto, e l'intera vicenda è stata avvolta, negli anni, da una vergognosa e scandalosa omertà. (Pierluigi Gallo Ziffer)

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