UNA CRITICA DELLA VULGATA LAICISTA DA UNA DELLE MENTI PIU' ACUTE DELL'ITALIA CONTEMPORANEA (per saperne di più https://www.youtube.com/user/debolpensiero)
di Diego Fusaro, 3 giugno 2013
http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/miseria-del-laicismo-10881.html
Il primo gesto filosofico consiste sempre nell’esercizio del dubbio, vuoi anche nella cartesiana forma “iperbolica”, rispetto ai luoghi comuni e alle verità inerzialmente ammesse dai più. Il cosiddetto "laicismo" può, a giusto titolo, costituire un fecondo luogo di esercizio del dubbio filosofico. Il laicismo – vera e propria religione del nostro tempo – si presenta infatti urbi et orbi come ideologia neutra e avalutativa, che assume come scopo primario la liberazione dell’uomo dalle visioni assolutistiche, quando non fondamentalistiche, e dunque anzitutto da quelle religiose.
È questa, salvo errore, la cifra del laicismo da Paolo Flores D’Arcais a Eugenio Scalfari, da Michel Onfray a Piergiorgio Odifreddi, giusto per citare i principali esponenti di questo "neoilluminismo" che si autocelebra come il fronte più avanzato dell’emancipazione. Per essere dunque il più sintetico e il più chiaro possibile, il laicismo è assai peggio del male che aspirerebbe a curare. E perché? Per il fatto che, contestando tutti gli Assoluti che non siano quello immanente della produzione capitalistica, il laicismo integralista si pone come il completamento ideologico ideale del dilagante fanatismo economico, in cui l’Economist diventa l’Osservatore Romano della globalizzazione capitalistica, e le leggi imperscrutabili del Dio monoteistico divengono le inflessibili leggi del mercato mondiale. In questo, il laicismo rivela la sua natura di "fondamentalismo illuministico", svuotato della sua nobile funzione emancipativa (à la Voltaire, per intenderci) e ridotto a semplice funzione espressiva del capitale e delle sue lotte contro ogni divinità non coincidente con il mercato.
Per gli odierni corifei del laicismo, instancabili lavoratori presso la corte del re di Prussia, la sottomissione alla superstizione religiosa dev’essere destrutturata, in modo che domini incontrastata la sola superstizione economica. L’obbedienza servile dev'essere riservata unicamente all’economia, alle “sfide della globalizzazione”, all’insindacabile giudizio del mercato, al vincolo del debito e alla dittatura delle agenzie di rating. L’essenza intimamente teologica del nuovo ordine della produzione – il nomos dell’economia – affiora eminentemente dalla sua pretesa assolutistica di esaurire il senso delle cose, ponendosi come fondamento incondizionato del reale e del simbolico, coartando gli uomini a praticare un culto ignaro e alienato al cospetto della propria forza associata e, al tempo stesso, disgiuntasi da loro e tale da non venir più riconosciuta nella sua reale configurazione di prodotto storico della prassi oggettivata. Forse che l’Assoluto del nostro tempo non è il monoteismo del mercato? Forse che la teologia del nostro tempo non è l’economia, ossia la teologia della disuguaglianza sociale? Per i laicisti no, il problema è sempre e solo il Dio trascendente, è sempre e solo il fanatismo della religione tradizionale. È il capitale stesso che deve delegittimare, del resto, ogni religione che non sia il monoteismo del mercato: qui emerge chiaramente il ruolo di instancabili lavoratori presso la corte del re di Prussia dei fanatici del laicismo.
Il vero dilemma del nostro tempo non sta, infatti, nell’ennesima riproposizione di un illuminismo che contesti le divinità trascendenti: è questo, per inciso, l’ostinato orizzonte illuministico di una sterminata galassia di testi recenti – come il Traité d’athéologie, del 2005, di Michel Onfray –, che già ai tempi di Feuerbach sarebbero stati considerati “superati”. Al contrario, ciò di cui più si avverte il bisogno, oggi, è un nuovo illuminismo che contesti incondizionatamente l’Assoluto capitalistico e l’esistenza di presunte leggi economiche oggettive della produzione, sottoponendo a critica l’onnipervasivo monoteismo del mercato senza per questo cadere nell’elogio nostalgico dei comunismi novecenteschi. Mi si permetta di concludere sostenendo senza remore che, supporto ideale per l’universalizzazione della forma merce, il laicismo si configura oggi come l’involucro ideologico per la globalizzazione, per il liberalismo e per la santificazione del monoteismo del mercato.
Per questo, se mi si definisce laico, respingo garbatamente la definizione.
Diego Fusaro, 3 giugno 2013