Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere culturale, artistico e spirituale, volti a definire dei possibili spunti di ricerca e di riflessione nei diversi campi del pensiero umano, come una sorta di pars costruens intorno ad argomenti di particolare interesse, in essa variamente rappresentati: i miei sono firmati tramite data e indirizzo web a fondo pagina, gli altri hanno l'indicazione dell'autore o del sito relativo subito dopo il titolo.

L'importanza della cultura e dell'arte nella ricerca spirituale del nostro tempo appare del resto centrale per la formazione di una coscienza individuale e collettiva, poiché ci fornisce un'immagine chiara di ciò che pensano, dicono o fanno gli esseri umani intorno a noi: dopodiché, fermarsi a tal punto e accontentarsi di ciò può essere inutile e fuorviante, poiché ci dà l'illusione che una comprensione mentale della realtà sia di per sé sufficiente a cambiarla - il che non è vero, come ben tutti sappiamo.

Ma senza un'analisi a monte e uno studio condotto anche sul piano intellettuale non è comunque possibile andare molto lontano, perché si rischia di rimanere inchiodati a banalità di ogni tipo, di cui il nostro tempo è un esempio: quindi è auspicabile unire fra loro la mente e il cuore, la fede e la scienza, l'intuizione e il pensiero per dedicarci umilmente alla ricerca interiore, senza pregiudizi né veti posti a sbarrarci la strada.

E' questo infatti lo scopo di questa rubrica: per essere pronti ad agire, quando il momento verrà.

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni. (Ezra Pound)

Roma, 13 Settembre 2013

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Gli Ebrei del Sole (prima parte)

Categoria: Risonanze Mercoledì, 29 Ottobre 2014 Scritto da Adriano Forgione Stampa Email

L’ESODO EBRAICO SECONDO ROGER SABBAH
(una lettura controcorrente di un evento centrale della storia umana)

Gli ebrei discenderebbero direttamente dagli egiziani. Una affermazione che stravolge completamente la visione ufficiale dell’Esodo biblico. Ora, una saggio di un noto cabalista francese dimostra che fu questa la verità e che i Giudei, la tribù di Levi, erano in realtà i nobili sacerdoti di Aton fuoriusciti dall’Egitto.

di Adriano Forgione http://mikeplato.myblog.it/2009/09/13/l-esodo-ebraico-secondo-roger-sabbah/


PRIMA PARTE


In seguito agli scavi condotti a Tell-El Amarna, l’antica Akhetaton, la città fatta costruire dal farone eretico Akhenaton, una parte sino ad allora sconosciuta della storia egiziana venna alla luce. Una storia che i sacerdoti di Amon cancellarono perché considerata un abominio, in quanto contrassegnata da un farone considerato folle.

Akhenaton trasformò il Paese d’Egitto in un regno monoteista. Le sue analogie con la figura di Mosè hanno portato Sigmund Freud, e altri ricercatori dopo di lui, ad identificarli come la medesima persona. Se Mosè fu egizio e se egli trasmise agli ebrei la propria religione, questa fu la religione di Akhenaton, scrisse in L’uomo Mosé e la religione Monoteista.  In effetti Freud identificò in questo periodo della storia egizia il problema scottante delle origini del monoteismo. Ciò vuol dire che tra Bibbia ed egittologia esiste un nesso stretto in grado di apportare nuove risposte.

Oggi si considerano gli ebrei come i discendenti degli hapiru o degli shasu, comunque popolazioni seminomadi che vivevano ai margini della società egizia. Ma si tratta di una ipotesi senza conferma. In realtà il popolo ebraico, così come viene descritto, non è mai esistito o meglio, la sua origine si è perduta nei meandri della storia. Roger e Messod Sabbah, linguisti e cabalisti francesi di origine ebraica, hanno fornito però una risposta: gli ebrei sono i discendenti degli egizi, gli abitanti di Akhetaton che intorno al 1344 a.C. furono costretti ad abbandonare la loro capitale. Costituiti da sacerdoti e manovalanza tennero comunque ben distinte le due caste, che nella nuova terra andarono a costituire due  nuclei differenti: i giudei a Canaan mentre gli ebrei, la grande massa, nei territori di frontiera. Una volta a Canaan, i sacerdoti di Aton generarono un nuovo alfabeto, derivato da quello egizio-geroglifico, dando vita così alla scrittura ebraica.

Queste ed altre incredibili tesi sono esposte ne I segreti dell’esodo, il loro saggio in uscita questo mese in Italia (per i tipi della Marco Tropea editore).  Abbiamo raggiunto Roger Sabbah per affrontare direttamente alcune tra le più scottanti rivelazioni dei suoi studi.


Adriano Forgione:  Qual è l’importanza della Bibbia per l’egittologia?


Roger Sabbah:
La Bibbia è autentica egittologia. Non sono il primo a fare un’affermazione del genere. Il profondo conoscitore e linguista Fabre d’Olivet e Jean François Champollion hanno seguito perfettamente questa via. Il padre dell’egittologia moderna aveva già dato l’allarme: La conoscenza reale dell’antico Egitto ha rilievo anche sugli studi biblici e la critica sacra deve considerarne le numerose delucidazioni.

L’intuizione nacque osservando il popolo ebraico delle tradizioni millenarie, che si proclama erede di un popolo di ebrei “in fuga dall’Egitto” e strettamente legato al suo libro sacro, la Torah (l’Antico Testamento). Ma anche alla sua scrittura, alla sua filosofia, ai suoi rituali come la circoncisione o il divieto di mangiare alcuni alimenti, i giorni di lavoro e il giorno di riposo del shabbat, etc.

Questo popolo di supposti schiavi giunti “incidentalmente” dall’Egitto, esercitò un’influenza considerevole sull’Assiria, su Babilonia, sulla Persia (ai quali gli ebrei hanno fornito leggi sulla regalità), sulla Grecia e sull’antica Roma, che non poteva davvero corrispondere a un popolo giunto dal deserto, incolto come forse erano gli shasu o gli hapiru, ma doveva essere invece una grande civiltà.

E’ vero che la Toràh ripercorre l’epopea degli ebrei, pastori che sorvegliavano i loro greggi, i quali avrebbero ricevuto un giorno la Rivelazione divina e le Tavole della Legge. Eppure, molto spesso i numerosi commentari rabbinici contraddicono il testo. Dipingono Abramo come il re solare, al quale gli altri re avevano giurato fedeltà. Giuseppe o Mosè sono caratterizzati dai tratti dei “gran sacerdoti” o dei “re”, unti e incoronati dalla grazia divina! Spesso descritti come “i personaggi più importanti della loro epoca”, ormai non hanno più nulla a che fare con l’immagine mitica dei nomadi erranti nel deserto.

La Cabalà, il libro dei segreti della Toràh, va ben oltre, poiché descrive Mosè sul Trono celeste di Dio nei suoi palazzi e nei suoi templi.  Si tratta di dettagli che corrispondono ai misteri degli antichi egizi. Questi “ebrei” possiedono uno statuto divino, dispongono di prerogative regali, richiamano stranamente i faraoni… Ma chi sono realmente?

Contrariamente all’opinione dominante in voga presso gli egittologi, secondo la quale “non v’è filiazione”, esiste una griglia di lettura tra la Bibbia e l’antico Egitto. I primi Padri della Chiesa, come Clemente d’Alessandria, conoscono questa verità: per quanto riguarda gli elementi misterici, i simboli degli Egizi assomigliano a quelli degli ebrei (Clemente d’Alessandria, Stromates, V). Filone d’Alessandria e Artapanos, senza passare per illuminati, affermavano che Mosè, aiutato dall’esercito egizio, aveva progettato un colpo di stato contro il faraone. Diodoro di Sicilia (I sec. a.C.) sosteneva che i Giudei fossero fuoriusciti dalle colonie egizie. Giordano Bruno (1548-1500) riteneva ugualmente che gli ebrei cacciati dall’Egitto e l’avvento del cristianesimo avevano suonato a morto la religione egizia. Sacrilego? Non del tutto, poiché il Talmud e soprattutto la Cabalà, che sembrano essere la memoria segreta degli ebrei, testimoniano che il giardino dell’Eden è l’Egitto.

“Ora, non v’è miglior terra che quella d’Egitto, poiché è detto “Come un giardino eterno, come la terra d’Egitto” (Genesi XIII, 10) e non v’è in tutto l’Egitto terra più fertile di Tanis (l’antica Pi-Ramsès), dove vissero numerosi re (i re d’Israele), poiché è scritto: “ I suoi principi sono a Tanis (Isaia XXX, 4)”.

Se la Bibbia/Toràh ci racconta una storia affascinante e mistica, in grado di penetrare il cuore degli uomini appartenenti alle tre religioni monoteistiche, essa nasconde anche, in maniera criptata e simbolica, il più straordinario dei messaggi: quello della nostra eredità egizia, comune alle tre religioni monoteistiche, tutta la saggezza dei faraoni trasmessa a Mosè nella Toràh, a Cristo nei Vangeli e al profeta Maometto nel Corano. Soltanto, bisogna voler rendersene conto, prenderne coscienza, accettarne l’evidenza.


A. F.:  Perché gli ebrei avrebbero celato la loro origine egizia nella Bibbia?


R. S.: Immaginate di trovarvi in Egitto nel VI sec. a.C. La vittoria di Nabucodonosor sugli eserciti egizi a Karkemish segna il principio di una lunga serie d’invasioni devastatrici su Gerusalemme secondo la Bibbia, ma su tutto l’Egitto secondo la storia. Il resoconto biblico riguardo a questo periodo con Gerusalemme, l’incendio, la distruzione del Tempio e l’esilio dei sacerdoti giudei, manca crudelmente di prove storiche. Ne testimoniano le ultime tesi e le opere storiche a riguardo. In compenso, questi eventi si sono effettivamente svolti in tutto l’Egitto durante il periodo assiro e babilonese. I templi egizi vengono saccheggiati, incendiati, il paese umiliato, devastato come non lo era mai stato. I nuovi faraoni si sono installati sul trono di Nabucodonosor e i suoi successori Persi.

L’esilio dei sacerdoti egizi “yahud” (parola che significa “dignitario del Faraone”) costituisce a Babilonia un evento senza precedenti, un autentico colpo di grazia per l’Egitto. Al tempo di questo esilio, il popolo yahud si vede costretto a consumare il suo lutto con l’Impero d’Egitto. Bisognava sottomettersi, per sopravvivere, di fronte all’intransigenza dei re conquistatori. Che cosa sarebbe accaduto al popolo giudeo esiliato a Babilonia se avesse osato proclamarsi erede d’Egitto dinnanzi a Nabucodonosor, il re dei re che pretendeva, più che il Faraone stesso, di sedersi sul trono di Dio?

C’è da fare un distinguo. Gli yahud erano nobili e sacerdoti egizi e divennero i “giudei” che giunsero a Canaan, mentre gli ebrei rappresentavano la massa del popolo che si rifugiò nelle zone di confine. Nascosti sotto la loro identità d’ebrei, i sacerdoti egizi yahud, divenuti giudei, cercando ardentemente di sopravvivere e di conservare le loro tradizioni ancestrali, assisterono impotenti al dolore più grande, quello di una sconfitta materiale, ma anche spirituale dei faraoni. Avviliti sul loro trono, avevano perduto la loro grandezza di un tempo passato.

D’altronde, i sacerdoti sottomessi non beneficiarono più della protezione dei re d’Egitto, ciò che il profeta Geremia chiama nella Bibbia “il sostegno del fuscello”. E’ senza dubbio per questa ragione che, per la prima volta nella storia, il faraone viene considerato nel Libro Sacro come colui il quale portò fortuna agli ebrei all’epoca di Giuseppe, poi l’implacabile nemico di Mosè. Il faraone è disprezzato e rispettato allo stesso tempo. Disprezzato perché l’Egitto per la prima volta rappresenta in superficie il simbolo del peccato, dell’idolatria e di tutto ciò che rappresentava la trasgressione verso Dio. Rispettato poiché ce se ne ricordava nella memoria collettiva, secondo la quale si era stati “ospiti” dei faraoni prima della fuga dall’Egitto, celebrata ogni anno alla festa di Pessah (pasqua giudea).

Il paradosso voleva che fosse formalmente vietato agli ebrei maledire l’Egitto e anche odiare l’egiziano: “Non dovete opprimere lo straniero, poiché voi conoscete l’anima dello straniero, poiché voi siete stati degli stranieri nel paese d’Egitto”. Inoltre, il popolo egizio, considerato come l’oppressore d’Israele castigato da Dio, al contrario nel libro di Ezechiele ci viene presentato come “l’oggetto della Redenzione divina”. 

Considerando le nostre reazioni a causa dei più recenti eventi bellici, riusciremmo seriamente a immaginare come nel VI sec. a.C. vi fosse una totale assenza di resistenza spirituale da parte del sacerdozio egizio/yahud esiliato a Babilonia? Certamente no: anche se l’impero d’Egitto persisté per qualche secolo in seguito al regno di Nabucodonosor, il rinascimento simbolico d’Israele a Canaan contraddistinse la volontà dei sacerdoti di procedere a un trasferimento, una trasposizione dei valori spirituali d‘Egitto su un dominio inviolabile, il “deserto degli ebrei”, nel quale il mito segreto osirideo sarà sistematicamente mascherato.


A.F.: Mi ha detto, e lo scrive anche nel suo saggio, che l’analisi della Bibbia aramaica, la più antica, mostrerebbe che gli ebrei erano i sacerdoti yahud, adoratori dei faraone Ay. Come spiega questa relazione e qual era il ruolo di Champollion in tutto ciò?


R.S.: Già Freud situava l’esodo storico degli ebrei dopo la morte di Akhenaton. Champollion portò alla luce un cartiglio sul quale era iscritto un nome insolito: Yahouda-Amalek, che traduce immediatamente il regno di Giuda, dove troviamo le due yod del faraone Ay. Ora, queste due yod egizie permettono di scrivere il nome di Dio, Yahvé/Adonay (….) nella Bibbia aramaica. Si tratta forse del retaggio del faraone Ay?

All’epoca di Akhenaton, il solo Gran Sacerdote, generale degli eserciti, Padre Divino, responsabile di un esodo monoteista che porta le due yod nel suo cartiglio, è Ay. Il Padre Divino che aveva partecipato alla costruzione della città solare, disponeva del sostegno del sacerdozio, molto importante all’epoca. In principio, Akhenaton aveva ottenuto il suo appoggio al fine di poter costruire la sua capitale. Ma presto Ay si rese conto che la nuova città solare era in realtà consacrata al culto della persona di Akhenaton attraverso l’adorazione di Aton.

Ay è vissuto sotto il regno di Amenofi III, Akhenaton, Semenkhare e Tutankhamon. Durante la vita e dopo la morte di Akhenaton, sembra governare bene l’Egitto con pugno di ferro, in qualità di Padre Divino. Si sbarazza si Semenkhare e mette il giovane Tutankhamon (8-10 anni) sul trono. In seguito decide con i generali Horemheb e Ramses l’abbandono e l’esodo della popolazione della capitale eretica di Akhenaton. La città viene abbandonata, maledetta per l’eternità. Una crisi, i cui postumi gli egizi tenteranno di cancellare per sempre, ma che resterà nella memoria dei Gran Sacerdoti e codificata nella Bibbia.


A.F.: Gli yahud, i giudei, erano quindi dei nobili egizi. Se accettassimo questa distinzione, dove sarebbero finiti gli antichi yahud?


R.S.: Al principio del libro dell’Esodo, Mosè, principe d’Egitto “ritorna dai suoi fratelli”. Vede un egiziano colpire un ebreo. Uccide l’egiziano. L’indomani vede due ebrei discutere. Tutti conoscono la scena del film I dieci comandamenti. La Bibbia ebraica utilizza la parola ibri per designare l’ebreo o gli ebrei . Ma la Bibbia aramaica (il Targum) contraddice questa traduzione e, a partire da ciò, la situazione peggiora. Invece d’impiegare il termine ibraé come fa per designare Abramo “l’ebreo” o Giuseppe “l’ebreo”, il Targum aramaico si serve di un’altra parola nel brano dedicato Mosè: yahoudaé. In egiziano, yahou-doua significa principe, dignitario del faraone ("colui che rende grazia a Dio"). Ora, questa definizione corrisponde per due volte a quella della Bibbia.

Ricordiamo che Mosè è principe d’Egitto, adottato dalla figlia del faraone. yahoudaé designa anche i due fratelli ebrei che discutono l’indomani (Datan e Abiram). Ora, il Talmud e la Cabalà ci confermano che questi due “ebrei/yahud” sono principi egizi, quelli che volevano far ritornare il popolo degli ebrei in Egitto. Ciò che ha turbato la versione classica fu tradurre che  “Mosè andò verso i suoi fratelli schiavi” e la parola schiavo identifica invece un sacerdote e non un sottomesso, se non alla divinità di cui il faraone era espressione. La tradizione segreta sale di grado con i personaggi della Torah: l’egiziano è un faraone, i giudei-yahud sono i suoi figli…

E’ sicuramente questo il punto fondamentale, per il quale proclamo una nuova lettura della Bibbia, poiché storicamente non vi sono tracce di ebrei schiavi in Egitto. Nell’Esodo vi sono due popolazioni, gli yahud, cioé la classe nobiliare dei sacerdoti monoteisti d’Egitto e il popolo di Amarna, poi chiamato ebraico. Dunque, se i supposti yahud-giudei costituiscono la casta più importante d’Egitto, ciò spiega in gran parte l’incredibile percorso del popolo ebreo, nel corso della storia dell’umanità.


A.F.: Se tutto ciò è vero, chi vede in Gesù un sovrano giudeo d’eredità egizia ha ragione?


R.S.: Esattamente, e aggiungerei anche che si tratta di un’immensa speranza di fraternità, ma allo stesso tempo di una potente risposta nei confronti dei nuovi integralismi, un rinnovamento della giudaicità e dell’egizianità del Cristo, di Abramo, di Mosè e di Giuseppe. Come Mosè, il Cristo è un pastore per l’umanità, un “re degli yahud” (re dei giudei) che ha ricevuto l’iniziazione segreta in tutta la saggezza egizia.

Il Cristo e i dodici apostoli salgono sulla “barca”, attraversano il mare; come Mosè e le sue dodici tribù d’Israele che accompagnano l’Arca santa. Giuseppe viene tradito e venduto dai suoi fratelli, preso per morto e gettato in una “fossa nel deserto” trovata vuota, sopravvive a questa prova e diventa il braccio destro del re d’Egitto. Il Cristo viene rinnegato “tre volte” da Pietro, tradito e venduto da Giuda, crocifisso e posto in un sepolcro trovato vuoto, resuscitato in re del mondo…

Sul piano cosmico, Giuseppe, Mosè e il Cristo, dodici fratelli, dodici tribù, dodici apostoli formano l’ipostasi cosmica del lungo percorso del sole e delle dodici costellazioni dello zodiaco. Ciò assomiglia molto a una traslazione degli arcani del mito di Osiride, capo delle dodici parti del cosmo, dio anch’egli, tradito dai suoi e assassinato da suo fratello Seth, racchiuso in un sarcofago e resuscitato per divenire il Padre, il re, giudice supremo del mondo dei morti. Come il Cristo, Osiride dà agli umani il permesso di “passare” sulla barca del Re. Se ci astraiamo dal loro aspetto storico, Giuseppe, Mosè, il Cristo, Osiride e i faraoni giocano tutti il ruolo di guardiani del mondo dell’aldilà. In qualche modo, i Messia “traghettatori” dell’umanità nel mondo futuro.

Sto lavorando su una prossima opera, nella quale vado ben oltre, avvicinandomi alla croce della resurrezione del Cristo con  il segno della vita eterna Ankh e il segreto dell’Aleph ebraica, la croce cabalistica e simbolo di Anokhi, “Io sono Dio” del primo comandamento biblico. 


A. F.:  Come ha definito il rapporto tra i geroglifici egizi e l’alfabeto giudaico? Un’identificazione del genere mette completamente in discussione l’intera Bibbia e identifica il popolo che fuggì dall’Egitto non come ebraico, ma composto da sacerdoti e sapienti egizi. 


R.S. Le lettere ebraiche esercitano un fascino allo sguardo e alla lettura. Si ha sempre questa strana impressione, quasi come se nascondessero una verità molto antica, una sorta di potere medianico. Gli ebrei sono fuggiti dall’Egitto con “tutte le ricchezze”, il che significa, secondo Simplicius, con la saggezza e la conoscenza di Toth, il dio dalla testa d’ibis (“Daaty”, che lo si accosta all’ebraico “Daat”, conoscenza). I simboli, e di conseguenza le lettere ebraiche, devono confermarcelo non soltanto attraverso la loro fonetica e la loro forma, ma anche attraverso il loro senso più segreto.

Ecco un esempio concreto che riguarda “il bene che caccia il male”: lo Zohàr, un importante libro della Cabalà, afferma che la lettera ebraica Teth ט cacci Kof ק, il serpente cattivo, oppure lo spirito del male legato all’anima (l’angelo della morte). Nel simbolismo egizio, Thot è l’uccello ibis della saggezza e della conoscenza che dà la caccia al serpente del male e dell’ignoranza, i cui geroglifici ci mostrano il parallelo con l’ebraico. L’immagine dell’ibis che caccia il serpente, il bene che caccia il male.

(…) Un tale accostamento ci consente di meglio interpretare l’effigie del Tempio di Seti I, sulla quale il dio Thot caccia “l’angelo della morte” per far rivivere l’anima del faraone. Proprio come Mosè brandisce un serpente su un bastone per combattere la morte e far rivivere gli ebrei nel deserto. Yahvé/Adonai disse a Mosè: fatti un serpente di bronzo e mettilo sopra un’asta. Chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà [Ra], resterà in vita!”  (Numeri, 21-8).

Questo esempio, tra tanti altri, testimonia la ricchezza della scrittura ebraica, facilmente paragonabile ai geroglifici. In modo generale, ogni forma di scrittura antica si integra all’interno di una civiltà. Il Verbo, creato a immagine di Dio, è sempre proprietà del sacerdozio. Anche i concepitori di un tale sapere non potevano che essere sacerdoti.

Chi erano? Degli schiavi del faraone? Lo sappiamo, la civiltà egizia non è mai stata schiavista. In compenso, ecco le risposte dei diversi corpus giudei, che ridefiniscono la schiavitù degli Ebrei in Egitto: 1. Zohar (libro della Cabala): “Poiché i bambini d’Israele sono miei schiavi”. La parola ”schiavo”, in questo versetto designa i servizi del culto al Tempio (in effetti, la frase “servo di Dio” indica il suo sacerdote N.d.R;). 2.  Midrasch: La tribù di Levi alla quale apparteneva Mosè non era mai stata schiava del Faraone. 3.   Rachi precisa e ridefinisce la nozione di schiavitù: “[Lo schiavo è] colui che sacrifica agli dèi". (…) Queste affermazioni coincidono con la realtà storica, secondo la quale lo schiavo del faraone è il servitore del Tempio, dunque il sacerdote egizio. Tra servitore e schiavo, la sfumatura è essenziale!


A.F.: All’inizio del Suo saggio, Lei descrive una serie di analogie tra le scoperte della tomba di Tutankhamon e qualche brano  dell’Esodo. Può descrivercele?


R.S.: Quando Howard Carter scoprì la tomba e il sarcofago di Tutankhamon, numerosi segni mostrarono che era stato chiamato in causa dalla Bibbia. Per esempio, il grande velo di lino che costituiva la tenda delle quattro cappelle sparì misteriosamente, probabilmente perché evocava eccessivamente la tenda del tabernacolo della Bibbia. Gli egittologi, accecati dai tesori, hanno totalmente trascurato i messaggi biblici e cabalistici che rimandavano “come un boomerang” l’antico monumento funebre di Tutankhamon alla Bibbia.

In particolare, i due esseri alati protettori delle porte del tabernacolo, e soprattutto i due angeli incisi sul coperchio del sarcofago d’oro, che proteggono il nome del re inscritto su due cartigli, sono gli stessi cherubini dell’Arca santa che proteggono le Tavole della Legge. Nella Bibbia si afferma che “I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio saranno rivolti l’uno verso l’altro (Esodo, 25-20). L’iconografia egizia è la medesima. Nella Bibbia ebraica, la parola ‘Aron’ significa Arca, ma anche sarcofago. Ricordiamo che gli ebrei sono sempre preceduti dall’Arca Santa, camminando fianco a fianco con il sarcofago di Giuseppe, anch’esso considerato un’Arca. Ora, l’interpretazione del Talmud è chiara: i due angeli dell’Arca santa “proteggono” il sarcofago di Giuseppe, come il nome di Dio, inscritto sulle due Tavole della legge di Mosè, che corrisponde ancora alle funzioni dei due angeli di Tutankhamon.

1.   segue

Adriano Forgione,
I segreti dell'Esodo: le origini egizie degli ebrei (intervista a Roger Sabbah)
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13 settembre 2009
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