L’ESODO EBRAICO SECONDO ROGER SABBAH
(una lettura controcorrente di un evento centrale della storia umana)
Il popolo ebraico guidato da Mosè non era composto da schiavi di un'antica tribù in prigionia, bensì da membri di una casta sacerdotale costituitasi con il faraone monoteista Akhenaton. Con la controrivoluzione religiosa che ripristinò il politeismo nell'antico Egitto, i seguaci di Akhenaton furono costretti ad abbandonare la terra d'origine.
di Adriano Forgione http://mikeplato.myblog.it/2009/09/13/l-esodo-ebraico-secondo-roger-sabbah/
SECONDA PARTE
A.F.: Può parlarci della similitudine tra le Tavole della Legge e i nomi di Aton presenti sui cartigli?
R.S.: Osserviamo bene la forma dei cartigli di Aton e quella delle Tavole di Mosè. Ci fu un trasferimento degli uni sugli altri? Che cos’era realmente inciso sulle Tavole di Mosè? Soltanto la memoria antica della Cabalà possiede la risposta di questo prodigioso enigma: in primo luogo afferma che le Tavole di Mosè non contenevano che un solo comandamento: il Nome di Dio (il Nome dell’Unico). L’Eterno disse a Mosè: “Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra, la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli”. (Esodo 24,12) Nella Cabalà, che è la chiave di lettura più profonda della Bibbia, si dice che “la legge e’ il nome del santo, che sia benedetto” Così, il nome di Dio è inciso su due Tavole, corrisponde ai cartigli di Aton, usati da Akhenaton e celati poi dai re d’Egitto.
(…) A.F.: Può chiarirci l’importanza della relazione tra il Salmo 104 della Bibbia e il Grande Inno ad Aton?
R.S.: Il Salmo 104, identico in tutte le sue parti al Grande Inno ad Aton, ci trasmette un testo segreto, di 3.350 anni, mediante l’Antico Testamento. Studiando il Salmo 104, cercatori come Sigmund Freud hanno concluso che gli ebrei fossero fuggiti dall’Egitto con la religione monoteistica di Aton, altri che Mosè sarebbe Akhenaton stesso.
Bisogna ricordare che il Grande Inno ad Aton è un plagio del Grande Inno di Amon che esisteva sotto Tutmosi III, “Tu sei l’Unico Amon, ect.”, appellativo rivolto a ogni dio d’Egitto che racchiudeva questa caratteristica di unicità. Infatti, la religione di Amon era una sorta di monoteismo plurale, una sorta di patto di unicità specifico in ogni tempio e in ogni città d’Egitto, con Amon-Ra come dio “celato” in cima alla piramide.
Poniamoci allora la domanda: la Bibbia di Mosè ha scelto l’Inno di Aton o l’Inno di Amon? Prima di rinchiudersi nella sua capitale e prestare giuramento di non uscirne più, Akhenaton aveva infranto l’equilibrio di Amon di Tebe. Per la prima volta, proclamava nel suo inno “Tu sei l’Unico Aton, non ce ne sono altri”. E’ il principio di una campagna d’intolleranza senza pari, che travolgerà il divieto degli altri dèi e il fallimento del re eretico.
In Deuteronomio X-17, le parole di Mosè contraddicono totalmente quelle di Akhenaton: “Poiché il Signore [Yahvé/Adonay] vostro Dio, è il Dio degli Dèi [Elohim]…”. Ciò che sottointende il dio degli dèi d’Egitto. Con una rivelazione tale, Mosè tradì la sua fede sincretica e si escluse lui stesso dalla religione di Akhenaton. Nella Cabalà come nel Talmud, l’idolatria non è legata al culto degli idoli modellati dall’uomo (come abbiamo sempre creduto), ma precisamente nel pericolo di cadere nell’egoismo e il culto di se stesso, autentica trappola idolatra, nel quale era caduto Akhenaton.
A ogni modo, il Salmo 104 è una straordinaria firma che tradisce l’origine egizia degli scribi della Bibbia. Inoltre, ci conferma, ancora una volta, l’identità solare di Yahvé/Adonay. Possiamo affermare, senza dubbio, che Yahvé, Adonay, Shadday, Tsebaoth, Acher, Amen, Elohim, etc., (Yahvé possiede 70 nomi, Aton uno soltanto) evoca l’antico sincretismo di Amon, il dio degli dèi dai molteplici nomi. Questo, Akhenaton non l’avrebbe mai potuto accettare.
A.F.: Quali sono, secondo Lei, le conseguenze della scoperta che il Dio degli Ebrei (o meglio, dei Giudei) e quello degli Egizi amarniani siano la stessa divinità?
R.S.: Le conseguenze possono avere una portata universale, poiché si riferiscono alla nostra coscienza collettiva. Si deve precisare che il Dio degli Ebrei (Adonai, Yahvé o Elohim) non è limitato al dio amarniano Aton o al faraone Ay. Ingloba l’insieme degli dèi egizi per quasi quattro millenni di civiltà.
Nella Cabalà, il nome Adonai proviene dalla radice Adone: “Adone, questo sole che rischiara il mondo”. Il disco solare Aton era conosciuto da oltre mille anni prima di Akhenaton, era una figura universale. Suggerire che Yahvé, Adonai, Elohim significhino “gli dèi egizi” è un’idea proveniente dalle Sacre Scritture, come dallo Zohar, il Libro dello Splendore: “L’idolâtria “stessa” è chiamata Elohim”. Un altro testo proveniente dallo Zohar ci consente di meglio renderci conto dell’identità egizia del dio della Bibbia. La sua portata è enorme: “Rabbi Abba cominciò a parlare così: “Io sono il Signore tuo Dio del paese d’Egitto”. La Scrittura non dice che “… ti ho trascinato in Egitto” ma “… il tuo Dio del paese d’Egitto”, poiché sin dal principio dell’esistenza d’Israele, questi non ha mai conosciuto la Gloria di Dio se non nel paese d’Egitto…”.
Rabbi Eleazar spiega che non può esservi dissomiglianza tra il Dio d’Egitto e il Dio d’Israele: “Come Israele non vedeva Dio primitivamente se non attraverso un velo, poteva sbagliarsi quando, più tardi, vide Dio faccia a faccia nei pressi del Mar Rosso, supponendo vi fossero due dèi". E’ per questo motivo che la Scrittura aggiunge “Non conoscerai altro dio all’infuori di me”, “Io sono colui che ha tutto compiuto”. Si tratta dell’autentica rivelazione dell’identità segreta del dio della Bibbia/Torah: Elohim è il dio “molteplice” Amon Ra, il dio “geloso” delle sue opere, “nascosto” da un velo che gli antichi Egizi osavano appena guardare, vietandosi di pronunciarne il nome.
In poche parole, Yahvé, Adonai, Elohim, Yod-Yod, il dio degli dèi, è il dio d’Egitto. Se, in vista delle generazioni future, prendiamo coscienza del fatto che abbiamo, noi giudei, cristiani e musulmani, un’origine e una divinità comuni, che navighiamo sulla stessa arca con le stesse aspirazioni e sofferenze, allora potremo sperare d’infrangere le nostre divisioni psicologiche; causa di più di due millenni di conflitti, di odio e di guerre inutili, tutto ciò per appropriarsi di una “Verità” che, nell’assoluto, è sconosciuta e che non appartiene a nessuno.
A. F.: Lei considera vera l’affermazione del linguista Fabre d’Olivet, secondo la quale la lingua ebraica utilizzata dal Sepher di Mosè era un idioma segreto parlato nei templi d’Egitto?
R.S. All’epoca in cui Fabre d’Olivet pronunciò tale affermazione, Champollion non aveva ancora decodificato alcun geroglifico. Fabre d’Olivet aveva scoperto una forma di decodifica dell’ebraico attraverso lo studio della Cabalà. Questa decodifica condusse a una lettura geroglifica. Fabre d’Olivet dedusse dunque l’esistenza di un idioma egizio, senza farne la dimostrazione diretta. Tuttavia, sembra che oggi la sua scrittura consonantica si legga alla maniera degli geroglifici e si scriva con geroglifici, il che dà ragione in gran parte a Fabre d’Olivet.
Nel secolo scorso fu scoperto che la lingua scritta e parlata più vicina all’ebraico fosse presente sulle numerose tavolette di Amarna, ritrovate tra le rovine dell’antica Akhet-Aton, la capitale di Akhenaton, perché proveniva anch’essa da un insieme di lingue. Più precisamente, l’ebraico parlato sarebbe una compilazione di più lingue, quella egizia, somala, koushita, aramaica (caldaica), fenicia, samaritana, siriaca, araba. E’ sufficiente per affermare che si parlava ebraico nei templi egizi? Certamente no, si tratta senza dubbio di un mistero su cui far luce.
A.F.: Esiste una continuità tra il sapere e la tradizione egizia ed ebraica? Se è così, qual è il ruolo di Mosè in questa catena? Era davvero lui il trait d’union?
R.S.: La continuità religiosa tra le due tradizioni si esprime mediante l’eredità che costituisce la Torah, i Vangeli e perfino il Corano. Questa continuità si situa nel senso escatologico della fuoriuscita dall’Egitto. Se facciamo il punto sugli insegnamenti della Torah, del Midrash e della Cabalà, in seguito alla partenza degli Ebrei, non una sola persona doveva restare in Egitto. La tradizione segreta ci racconta che al tempo della divisione delle acque del Mar Rosso, la terra dei faraoni fu vittima di un’inondazione totale. E’ scritto: “Nemmeno uno ne è rimasto”. Lo Zohar afferma che “Nemmeno uno fuggì”. Gli Egizi morti, annegati nel Mare di Canne, furono rigettati a riva e Dio accordò loro l’onore della sepoltura. Ciò è interessante, poiché nell’antichità egizia un annegato è considerato come un dio, essendo questi coinvolto nel processo delle resurrezione divina.
Dal canto suo, Mosè promette ai bimbi d’Israele la liberazione dalla schiavitù egizia. Egli li conduce nel deserto arido del Sinai per quaranta anni. Dopo il passaggio nel Mare di Canne o Mar Rosso, gli Ebrei moriranno tutti nel deserto (soltanto i bambini che non hanno conosciuto l’Egitto sopravvivranno e vedranno la Terra Promessa). “Nessuno di voi potrà entrare nel paese nel quale ho giurato di farvi abitare, se non Caleb, figlio di Iefunne, e Giosuè, figlio di Nun. I vostri bambini, dei quali avete detto che sarebbero diventati una preda da guerra, quelli ve li farò entrare; essi conosceranno il paese che voi avete disprezzato” (Numeri, 14:30-31).
Per le diverse tradizioni giudaiche, cristiane e musulmane, gli egizi sono gli impuri, i malvagi e gli idolatri. Gli ebrei, i figli di Abramo, sono i buoni monoteisti. Ma in effetti sia gli ebrei, sia gli egizi hanno lasciato l’Egitto e sono tutti morti, gli uni annegati, gli altri periti nel deserto. Metaforicamente, si tratta di una morte spirituale di tutta l’umanità. Sia gli egizi, sia gli ebrei sono gli stessi individui. In conclusione, essere ebreo o egizio dipende dal nostro comportamento morale. In definitiva, è l’eredità della nozione di bene o di male a creare la linea di continuità tra l’antico Egitto, gli ebrei e la nostra civiltà giudea, cristiana o musulmana.
Che ruolo giocò Mosè in tutto questo? Come il Cristo, Mosè gioca un ruolo di traghettatore, è il trasmettitore di valori essenziali. Donando la saggezza egizia, le Tavole della Legge, un paese agli ebrei, Mosè fa d’autentico trait d’union tra l’Antico Egitto e la nostra civiltà giudaica, cristiana e musulmana. Facendo simbolicamente “passare” gli Ebrei o gli Egizi (che collego all’umanità) dall’altro lato del Mar Rosso, Mosè è il traghettatore che organizza, prepara la partenza “verticale” delle anime dell’umanità verso l’immenso deserto cosmico e tenebroso della Duat.
A.F.: Possiamo supporre un’identificazione tra Akhenaton e Mosè basandoci unicamente sulle loro tendenze monoteistiche?
R.S.: Ritengo che la fede di Mosè sia radicalmente opposta a quella di Akhenaton. Numerosi ricercatori hanno dedotto soluzioni scontate, paragonando Mosè ad Akhenaton. Tuttavia, dobbiamo osservare la sofisticatezza della Bibbia e distinguere il monoteismo molteplice di Mosè dal monoteismo esclusivo di Akhenaton.
Il faraone aveva bandito e infranto i nomi plurali degli dèi Neteru e gli arieti di Amon. Esiliato nella sua capitale e adorando sé stesso mediante l’idolo solare Aton, Akhenaton proclama nel suo inno: “Tu sei l’Unico Aton, non ve ne sono altri”. Se Akhenaton ha rigettato gli altri dèi, l’ariete e il mito di Osiride, Mosè non lo fece mai. Diversi versetti della Bibbia mostrano come Mosè consacrasse l’ariete a Yahvé, colui che ci consente di accostare Yahvé ad Amon.
Una delle chiavi di questo enigma si trova in due asserzioni. Quella di Jetro, il suocero di Mosè e di Mosè stesso. “Disse Jetro: “Benedetto sia il Signore, che vi ha liberati dalla mano degli egiziani e dalla mano del faraone: egli ha strappato questo popolo dalla mano dell’Egitto! Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dèi…”” (Esodo, 18:10-11) Questa professione di fede di Jetro, che supponiamo si converta al monoteismo, è totalmente opposta a quella di Akhenaton: Jetro riconosce Yahvé/Adonai come “il più grande di tutti gli Elohim”, il dio degli dèi. Se Mosè fosse stato un adepto di Akhenaton, avrebbe dovuto sentirsi offeso da una tale definizione. Tuttavia, in un versetto del Deutoronomio (10:17), Mosè conferma le parole di Jetro: “Perché il Signore (Yahvé/Adonai) Vostro Dio, è il Dio degli Dèi (Elohim)…”.
Così, la concezione di Mosè e di Jetro/Ytro prende la forma di un pantheon monoteista a immagine di Amon, il dio degli dèi, ovvero il dio delle forze della natura (Neteru). Questa concezione si oppone fortemente a quella di Aton, il dio unico ed esclusivo di Akhenaton. La religione di Mosè e di Jetro è una conseguenza del monoteismo sincretico, radicalmente differente da un monoteismo esclusivo, dedicato all’adorazione di un faraone divinizzato a immagine di Dio.
A.F.: Quale fu il ruolo di Akhet-Aton negli eventi futuri della cultura religiosa ebraica?
R.S.: Diverse città bibliche, Het, Babel e perfino Sodoma, potrebbero riportarci alla mente Akhet-Aton, che in geroglifici si scrive Het-Ytn. Quella che salta subito agli occhi è sicuramente la città di Het. Abramo è chiamato Adoni, “Il Mio Sole”, secondo la Cabalà. Contratta un sepolcro per lui e Sarah, la sua sposa defunta. Il Midrash afferma che il sepolcro di Abramo si trovava all’estremità del Tempio e che le sue porte si aprivano sul Giardino dell’Eden di Yahvé/Adonai. E’ sorprendente sapere che Akhenaton aveva lui stesso eretto la sua tomba all’estremità orientale del grande tempio della sua città solare, Akhet, che dava sul paradiso di Aton.
Ricordiamo che Akhet-Aton è, secondo Cyril Aldred, la città consacrata al culto della nudità, una delle ragioni per le quali i faraoni, successori di Akhenaton, la maledirono sempre, come Sodoma nella Bibbia. Nel giudaismo, Akhet-Aton è caduta nell’oblio. Il culto consacrato alla “Gerusalemme dall’alto” allude forse alla capitale di Akhenaton, ma forse anche all’antica Tebe. Città del grande Tempio e feudo di Amon, il dio degli dèi, Tebe è chiamata “la città dalle cento porte”, come il quartiere più religioso di Gerusalemme, Méa-Chéarim (le cento porte). Infine, per gli egizi esiste una Tebe celeste, come la Gerusalemme celeste giudea.
A.F.: Su quali basi identifica Abramo con Akhenaton?
R.S.: Le analogie tra Abramo e Akhenaton sono numerose, tanto da poter porci la domanda: “Il personaggio di Abramo è stato costruito dal ricordo storico del faraone Akhenaton?”. Infatti, queste sono le chiavi che ci consentono di risalire al dio Osiride, dio all’origine delle nostre tre religioni monoteistiche.
Insistiamo sul fatto che il re eretico Akhenaton aveva come nostro patriarca Abramo, che infranse gli idoli e lasciò la casa di suo padre, Amenhotep III, guidato dall’aspirazione divina verso una terra santa. Poi Akhenaton usurpò il nome di Aton e divulgò i segreti della religione egizia. Agli occhi dei Gran Sacerdoti di Amon, egli trasgredisce la legge e i comandamenti di Osiride, in particolare “il divieto di svelare il nome di Dio”. Akhenaton prende il posto di Dio, si fa chiamare “Spirito di Aton” o simbolicamente “Sono la vita eterna Aton”, come viene vietato dal nostro primo comandamento biblico. Akhenaton è Aton, o “Ra, il Padre della creazione”. Abramo porta anche il nome simbolico di Padre delle Nazioni, “Ab-Amon”, o padre della moltitudine, delle settanta nazioni che la Bibbia situerà in Egitto.
Ma nella Cabalà, ed è ciò che c’interessa maggiormente, Abramo porta il nome simbolico “Adone, questo sole che brilla nel mondo” ed è “l’Unico”: “Abramo era uno solo” (Ezechiele, 33:24), “Colui che vede Yahvé-Adonai”. Ora, questi termini fanno parte degli attributi e dei titoli di Akhenaton “Aton, l’Unico di Ra”; “Colui che vede il Grande Dio”. Vediamo che c’è ancora molto da imparare sull’idea originale di Abramo/Aton/Amon, cosa che ci fa risalire ben oltre Akhenaton, sino ad Osiride stesso.
(…) A.F.: Perché, a differenza della Bibbia, gli scritti egizi non documentano la presenza degli ebrei in Egitto prima del grande esodo?
R.S.: Anche qui, si tratta di un grave errore che avevano diffuso sapienti, esegeti o egittologi, ostinati nel limitarsi al senso letterale della Bibbia. Come affermò Fabre d’Olivet, “Le cose più semplici sono sempre quelle che i sapienti vedono meno. Cercano ciò che è distante affaticandosi infinitamente, che errore, trascurano la verità che è loro tanto vicina”.
La lettura della saggezza egizia consente di affermare che duecentomila anni prima di Cristo (sic) e circa millecinquecento anni prima delle invasioni assire e babilonesi, la più commovente delle profezie fu quella annunciata dal saggio Neferty al faraone Amenemhat I, al quale predisse la morte dell’Egitto come la fine del mondo. “Affinché tu possa meditarvi, sto predicendo ciò che avverrà nel paese quando l’esercito degli asiatici si avvicinerà alle terre orientali con la rabbia nel cuore. Allora prenderanno i raccolti e ridurranno il popolo in schiavitù… Piangi, poiché il sole si è oscurato e il segno dell’uomo non è più. Vedi! Come sopravvivere, ora che il sole si è offuscato dalle nuvole. Questo è il presagio di una grande miseria. Coloro che sono ora davanti a te dicono: “Lui profetizza, ma ciò non avverrà mai”. Sappilo, il Nilo si prosciugherà e tutti lo attraverseranno a piedi sull’asciutto […] Il nemico asiatico che viene dall’oriente discenderà in Egitto e l’indigenza in cui gli uomini si troveranno farà in modo che non arresteranno gli invasori notturni. Gli uomini addormentati consentiranno d’investire fortezze e piazzeforti e la deportazione sarà loro ricompensa. Vegliate, occhi miei! Siate vigilante e accorti!”.
Le tenebre vengono seguite da un esodo e dalla schiavitù degli egizi nel deserto, i quali attraverseranno il Nilo a piedi, sull’asciutto. Esattamente ciò che accadde agli Ebrei all’epoca delle dieci piaghe d’Egitto, quella delle tenebre e della morte dei primogeniti, il passaggio nel Mar Rosso, “nella notte a piedi, sull’asciutto”. La profezia di Neferty appare come un autentico presagio biblico. La Bibbia ci ricorda la stessa storia: “Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e a sinistra” (Esodo, 14:29)
Un’altra tradizione si orienta in questo senso. Il "Libro della Vacca del Cielo" ripercorre la leggenda del giudizio di Dio. Scoprendo il complotto fomentato dagli umani contro di lui, il dio Ra caccia gli egizi nel deserto e invia loro la leonessa Sekhmet per massacrarli. Poi, rimpiangendo il suo gesto, decide di dare una nuova possibilità all’umanità attraverso Hathor. “Fecero cuocere la pasta che avevano portata dall’Egitto in forma di focacce azzime, perché non era lievitata: erano infatti stati cacciati dall’Egitto e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio” (Esodo, 12:39).
Ritroviamo questa idea degli Ebrei/Egizi, cacciati dall’Egitto nel deserto per la volontà di Dio e del Faraone, il massacro dei Bambini d’Israele dai Leviti in occasione della festa del vitello d’oro. Vediamo come gli scritti egizi, se non impiegano il termine “ebrei”, evocano l’esodo degli egizi nel deserto e questo ben prima della Bibbia.
A.F.: Non crede sia troppo ardita la supposizione secondo la quale El, il Supremo Dio, coincida con il faraone AY e YHWH con Amenofi III, il padre di Akhenaton, sulla base della divinizzazione di questi due faraoni? Non crede sia inesatto trasformare un Dio impersonale in un Dio personalizzato? Sembra che gli Ebrei non siano mai caduti in questa trappola…
R.S.: Non sono mai caduto in questa trappola. Nel corso della sua storia, il culto faraonico si è basato sull’adorazione del divino attraverso la persona del Faraone. Ma su più di tremila anni di civiltà egizia, i testi mostrano che il Faraone stesso sia un mortale, cosciente dei suoi propri limiti. Se si proclama Figlio di Dio, tutta la sua vita è consacrata ai rituali e alle preghiere. Egli indossa in qualche modo l’abito cosmico di Dio. Per questo motivo, il Faraone è un esempio di mistero, di adorazione, di devozione al sacro, di fedeltà a Dio. Egli è il rappresentante, il servitore e anche lo schiavo di un dio visibile soltanto mediante le sue manifestazioni.
Non dimentichiamoci che nella tomba di Tutankhamon, tutti gli dèi sono ricoperti da un velo. L’appellativo di Iside è “Io sono tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà, nessuno mi ha privato del mio velo”. Ciò che corrisponde al senso di Yahvé, il nome impronunciabile del dio “celato” dietro al roveto ardente, davanti a un Mosè prosternato.
Di conseguenza, il dio degli Ebrei acquisisce la stessa dimensione misteriosa del dio egizio. Il confronto tra personaggi come Ay o Amenofis III, Horemheb o Ramses I, deriva dal fatto che gli scribi abbiano genialmente nascosto i loro appellativi nella Bibbia attraverso Abramo, Mosè o Aronne, per trasmettere l’insegnamento millenario di un dio sconosciuto e trascendente, unico e dalle molteplici manifestazioni. E’ da questo grande mistero del divino che la Bibbia, i vangeli e il Corano hanno ereditato dall’antico Egitto.
A.F.: Non considera restrittivo limitare l’interpretazione allegorica degli eventi dell’Antico Testamento, compresa la Genesi, considerando come unico punto di riferimento l’Egitto pre-esodo e le vicissitudini di Akhet-Aton?
R.S.: E’ certo che l’Antico Testamento raggruppi numerose figure di composizione e limitare la Genesi e la fuoriuscita dall’Egitto soltanto ad Akhet-Aton sarebbe un grave errore. Tuttavia, le rovine dell’antica città di Akhet-Aton ci forniscono numerose informazioni che costituiscono un punto di partenza per la ricerca comparativa e simbolica sull’insieme della civiltà faraonica.
Per lungo tempo, abbiamo creduto che Akhenaton avesse creato una nuova religione, ma in realtà Akhenaton ha divulgato al popolo i segreti proibiti dell’iniziazione egizia, riservati ai soli iniziati. E’ solitamente nei periodi di disordine religioso o di anarchia che la storia ci invia dei messaggi segreti, che ci consentono di comprendere meglio il funzionamento del pensiero antico.
Il faraone Ay, i suoi sacerdoti e i suoi generali hanno deciso l’esodo della capitale e il ritorno di Amon, il dio “celato”. Chiaramente, essi vedevano nell’immagine di questa città un peccato supremo verso il “dio degli dèi, Amon”. La città era considerata come una sorta di Sodoma, archetipo di una deviazione della religione egizia verso il culto della personalità di Akhenaton e dei suoi figli. I re amarniani, oltraggiando il nome di Dio, hanno instaurato la nozione di ciò che per loro è idolatria.
Dall’opinione radicalmente opposta, la Cabalà precisa che l’idolatria, lungi dal limitarsi alle statue di pietra, designa il culto della personalità. La Scrittura dice: “E gli idoli d’Egitto tremeranno davanti al suo volto [di Dio]”. La Scrittura non parla di pietre che costituiscono idoli, ma di capi celesti che dirigono quaggiù tutte le azioni del popolo. Detto altrimenti, anche quelli che nella nostra epoca chiamiamo idolatri o politeisti sono i primi a combattere l’idolatria personale e il culto di sé. Senza dubbio, gli antichi egizi seppero risolvere i loro problemi di civilizzazione. Senza dubbio erano più evoluti rispetto a noi, questo è certo…
Adriano Forgione,
I segreti dell'Esodo: le origini egizie degli ebrei (intervista a Roger Sabbah), 13 settembre 2009
http://mikeplato.myblog.it/2009/09/13/l-esodo-ebraico-secondo-roger-sabbah/