Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere culturale, artistico e spirituale, volti a definire dei possibili spunti di ricerca e di riflessione nei diversi campi del pensiero umano, come una sorta di pars costruens intorno ad argomenti di particolare interesse, in essa variamente rappresentati: i miei sono firmati tramite data e indirizzo web a fondo pagina, gli altri hanno l'indicazione dell'autore o del sito relativo subito dopo il titolo.

L'importanza della cultura e dell'arte nella ricerca spirituale del nostro tempo appare del resto centrale per la formazione di una coscienza individuale e collettiva, poiché ci fornisce un'immagine chiara di ciò che pensano, dicono o fanno gli esseri umani intorno a noi: dopodiché, fermarsi a tal punto e accontentarsi di ciò può essere inutile e fuorviante, poiché ci dà l'illusione che una comprensione mentale della realtà sia di per sé sufficiente a cambiarla - il che non è vero, come ben tutti sappiamo.

Ma senza un'analisi a monte e uno studio condotto anche sul piano intellettuale non è comunque possibile andare molto lontano, perché si rischia di rimanere inchiodati a banalità di ogni tipo, di cui il nostro tempo è un esempio: quindi è auspicabile unire fra loro la mente e il cuore, la fede e la scienza, l'intuizione e il pensiero per dedicarci umilmente alla ricerca interiore, senza pregiudizi né veti posti a sbarrarci la strada.

E' questo infatti lo scopo di questa rubrica: per essere pronti ad agire, quando il momento verrà.

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni. (Ezra Pound)

Roma, 13 Settembre 2013

www.pierluigigallo.org

Apologia del sincretismo

Categoria: Risonanze Sabato, 06 Giugno 2015 Scritto da Elemire Zolla Stampa Email

NELLE PAROLE DI ZOLLA L'APPASSIONATA DIFESA DI UN TERMINE TANTO VITUPERATO

Tutto è spesso dato per scontato da molti... come il dato che l'esperienza metafisica sia superiore ai dilemmi tra bene e male: chi in essa si installa, vede giorno e notte, male e bene come chi sta su una carrozza e guardi le ruote vorticanti, i loro mozzi fusi in uno.
La pura luce di questa verità ha lambito molti cuori. (Elemire Zolla)


Non è neutra, la parola sincretismo. Ha una risonanza sgrade­vole, evoca diffidenza, perfino disprezzo. Presso una parola così sensibile è utile soffermarsi. Erasmo la estrasse da Plutarco, per il quale aveva tutt’altra accezione, ma essa entrò nell’uso generale soltanto col Barocco tedesco, e fu sin dall’inizio una contumelia.

Nel 1615 un polemista luterano, cane da guardia dell’ortodos­sia, tacciò di sincretista un teologo della sua Chiesa, Giorgio Callisto. Fino alla morte, che lo colse nel 1656, il Callisto dovette tediosamente lottare per scrollarsi di dosso l’epiteto.

(…) Nato fra squallide beghe di preti riformati, il nostro vocabolo serba della sua origine il triste marchio e la carica condannatoria. Il riflesso condizionato della deprecazione continua a scattare dopo tre secoli, segno che con «sincretista» era stata coniata un’ingiuria di cui si sentiva il bisogno.

(…) Dal Seicento tedesco emersero due caratteri umani perenni e universali, il sincretista ed il suo odiatore aggrappato alle differenze dogmatiche. Il primo sarà, come il suo prototipo Callisto, di vaste e varie conoscenze, sensibile alle aure ed alle sfumature, curioso viaggia­tore. Le sue certezze, che non presume di chiudere in parole correnti, gli danno un’identità salda e sicura. Deve muoversi cauta­mente nel truce mondo di sette in armi e ringhiose, celando l’intimo disprezzo per le furie dozzinali e le rozze contrapposizioni.

Il suo nemico viceversa coltiva gli aut aut dottrinali, non si stanca di ripetere le formule di rigore e ama di conseguenza le pose sdegnate, le recite della terribilità e del corruccio. Deve anatemizzare per essere e scambia perciò le parole per pietre. Nella dogmatica non ama soffermarsi sulla coincidenza degli opposti. Ma la smania di calcare sul volto la maschera metallica del rigore verbale rivela in lui un’interiorità trepida e confusa, un’identità che teme di smarrirsi, a tal punto che spesso egli sopprime la sua vita intima, diventa pura condotta esterna. Non può ammettere alterna­tive alle formule che abbraccia, l’impuntatura terminologica è l’unica fedeltà che concepisca: se cessasse di essere parziale e aggressivo, si sentirebbe morire. Perciò per lui il sincretismo è un’intollerabile minaccia e gli orizzonti sconfinati di quel mondo alieno, in cui sfumano i confini, gli sembrano, in buona fede, la distesa del caos, il pandemonio miltoniano. Il regno di Satana nel I canto del Paradiso Perduto comprende e concilia tutti i culti, tutte le civiltà della terra, salvo il piccolo nucleo puritanamente cristiano.

Il sincretismo è la parificazione fra le religioni o tra le filosofie o anche tra filosofie e religioni. Infatti le distinzioni fra sistemi e fedi appaiono dovute a un punto di vista troppo ravvicinato: per ogni ente esiste un’angolazione dalla quale esso cessa di distinguersi da ciò che lo circonda e delimita.

Il sincretismo, che fa dipendere quel che si vede dalle norme dell’ottica mentale, è proprio soltanto di certe epoche nella storia del pensiero, così come l’osservanza della prospettiva di certi tratti nella storia della pittura. Per il sincretismo le verità parziali delle filosofie e delle religioni finiscono col coincidere, come le linee dei quadri tutte confluiscono prospetticamente nel punto di fuga, chiave di volta dello spazio.

La filosofia che meglio imposta questo tema è la «dotta ignoranza» sincretista del Cusano, specie nell’opera intitolata La lente (de beryllo). Per il Cusano filosofare è mettere a fuoco con la lente metafìsica i concetti finiti in rapporto al punto di fuga prospettica in cui tutti sono esplicitati e in cui tutti sono coimplicati, il concepita absolutus omne intelligibile complicans.

La visione prospettica in pittura nasce soltanto grazie a un certo distacco, allorché si impari che l’occhio non è la visione e che esso non può vedere giusto se non è assistito dall’intelligenza geome­trica. Come per il pittore di prospettive l’occhio non è la visione, così per il sincretista la parola non è la cosa; è un ingenuo errore credere che linguaggio e verità possano coincidere, che esista mai un rapporto univoco e necessario fra le parole e ciò che esse designano, che significanti e significati siano mai sovrapponibili.

Il sincretista tutt’attomo a sé ravvisa lo spettacolo comico e tragico di significanti differenti che designano un unico significato o di un solo significante che comprende significati opposti. Mai un’idea o uma fede è circoscritta da significanti: uguali professioni di fede in un unico dogma celano esperienze interiori opposte; un’identica esperienza interiore si può trovare espressa in dogmi opposti.

Elémire Zolla, Verità segrete esposte in evidenza, Marsilio, Venezia 2003