LE AFFINITA' FRA ESSENI E ZELOTI SPINGONO GLI STUDIOSI A INTERROGARSI SULLA VERA NATURA DI QUESTO MISTERIOSO CONNUBBIO
[Gli esseni] furono sottoposti a ogni genere di prove dalla guerra contro i romani, nella quale furono stirati e contorti, bruciati e fratturati, fatti passare sotto ogni strumento di tortura, affinché bestemmiassero il legislatore oppure mangiassero alcunché d'illecito, ma rifiutarono ambedue le cose: neppure adularono mai i loro tormentatori né mai piansero.
Sorridendo, anzi, tra gli spasimi e trattando ironicamente coloro che eseguivano le torture, rendevano serenamente lo spirito come persone che stiano per riceverlo nuovamente. Infatti è ben salda fra loro l'opinione che i corpi sono corruttibili e instabile la loro materia, mentre le anime permangono per sempre... (G. Flavio, Guerra Giudaica II, 152,155)
Questa autorevole testimonianza ci dimostra in modo suggestivo e toccante, attraverso gli scritti degli autori del tempo (Giuseppe Flavio, Filone d'Alessandria, Plinio il vecchio, Eusebio di Cesarea, ecc.), la pietas e l'afflato mistico che hanno anticamente contraddistinto il Qiddush ha-Shem esseno (lett. "martirio per la santificazione del Nome"); ma un eroismo analogo, interpretato questa volta in maniera militare, si ritrova anche nelle varie forme di resistenza zelota al dominio romano, che rivelano un atteggiamento ideologico della stessa natura.
Uno riguarda il sacrificio degli assediati di Gamala, e l'altro degli assediati di Masada.
Il primo caso (…) si riferisce alla fine tragica della città golanita, che dette i natali al famoso Giuda, detto il Galileo. Nel 67 d.C. la città era stata assediata da Vespasiano, nel corso delle operazioni della grande guerra fra ebrei e romani. Quando i legionari riuscirono, dopo lunghi mesi, ad aprire una breccia e a penetrare attraverso le mura della città, gli zeloti che la difendevano si videro perduti e presero una risoluzione in piena corrispondenza con la natura ideologica della loro fede: affrontare un sacrificio volontario piuttosto che darsi, vinti, al nemico:
"... Allora i più dei giudei, stretti da ogni parte e disperando di salvarsi, si gettarono con le mogli e i figli nel precipizio che era stato scavato fino a grandissima profondità sotto la rocca. Accadde così che la furia dei romani apparve più blanda della ferocia che i vinti usarono verso sé stessi; quelli infatti ne uccisero quattromila, mentre più di cinquemila furono coloro che si precipitarono dall'alto..." (G. Flavio, Guerra Giudaica IV, 79-80)
Anche qui il tratto fondamentale e caratteristico è l'ideologia messianica, originatasi dalla convinzione che l'unico sovrano legittimo di Israele sia il suo stesso Dio. L'ebreo non può pertanto sottoporsi ad altra autorità, senza con questo commettere un atto sacrilego che concede ad uno straniero infedele una dignità che spetta solo a Dio. È la stessa motivazione che, in altri momenti, ha spinto i seguaci della setta di Giuda a rifiutare il pagamento del tributo a Cesare e a considerare infedeli tutti gli ebrei che non erano disposti a ribellarsi contro questa imposizione. Fu con questa causa che ebbe inizio la celebre rivolta del censimento del 7 d.C., in cui perse la vita lo stesso Giuda, e durante la quale l'evangelista Luca pone la nascita di Gesù.
Il secondo caso si riferisce alla caduta della fortezza di Masada, nei pressi della riva occidentale del Mar Morto, una cinquantina di km a sud di Qumran, in cui gli esseno-zeloti si erano asserragliati dopo la fine della guerra (70 d.C.), nel tentativo di continuare una resistenza a oltranza. Qui essi furono comandati da un certo Lazzaro, figlio di Giairo, legato alla famiglia di Giuda da vincoli di parentela. I romani dovettero affrontare un assedio lunghissimo, in un ambiente molto più inospitale di quello golanita. Dopo ben tre anni di assedio, superando i 50 gradi di temperatura delle giornate estive in questo torrido deserto, i romani edificarono un colossale terrapieno che consentì loro di arrampicarsi fino alla sommità del monte e di raggiungere la fortezza. Consapevoli dell'imminente inevitabile sconfitta gli assediati furono presi dallo sgomento.
Allora fu proprio Lazzaro che riuscì a ricompattare lo spirito dei suoi uomini, pronunciando un discorso che sembra un trattato di teologia esoterica orientale sull'anima e sul suo stato di prigionia nei vincoli della carne, nonché sulla liberazione che consegue alla morte. In pratica, ancora una volta gli esseno-zeloti presero la risoluzione di non concedersi al nemico e di non subordinarsi alla sua autorità. In un certo qual modo essi hanno conseguito la loro vittoria, rimanendo indomiti nella sudditanza all'unico vero sovrano che essi erano disposti ad accettare. Furono circa novecentosessanta che si dettero reciprocamente la morte, col filo della spada, e quando finalmente i romani varcarono il ciglio ed entrarono nella fortezza, non vi trovarono che una distesa di cadaveri. Tutte le vettovaglie e tutto il resto era stato lasciato intonso, affinché i romani sapessero che gli ebrei non erano morti per l'esaurimento delle loro scorte, ma solo per una lucida decisione. Quella di non essere sconfitti e di avere avuto un solo padrone per tutta la vita: Dio.
Cesare non sarebbe mai stato il loro signore.
David Donnini,
I manoscritti del Mar Morto e il cristianesimo primitivo,
http://www.donninidavid.it/