IL CONFLITTO COME VIA DI REALIZZAZIONE INTERIORE: UNA VISIONE TRADIZIONALE
http://www.tradicio.org/baranyi/metafisicalotta.pdf
"La guerra è padre di tutte le cose, di tutte re” (Eraclito)
Il significato primario della lotta e del combattimento tradizionalmente considerabili come legittimi — qualsiasi forma essi prendano — è la realizzazione restaurativa dello "stato principale”, dello status absolutus, attraverso i diversi livelli dello stato primordiale; e, in secondo luogo, la difesa di tutti i valori orientati in questa direzione.
Su questa linea, nella simbologia delle dottrine tradizionali lo stato primordiale si presenta come ciò che si realizza e viene realizzato nella coscienza e nell'esistenza come ordine, equilibrio e armonia — ossia come pace, in una parola.
Se rappresentiamo la forma esistenziale umana nella forma dell'orizzontalità in senso generale, allora tutto questo può essere realizzato esclusivamente nel centro di questo piano. Perciò, il fine primario della lotta è che l'essere che cammina sulla via della lotta possa ridursi nel centro essenziale del mondo corrispondente al suo stato esistenziale, nella "patria della pace”. La conquista di questo stato è la precondizione della realizzazione della centralità assoluta, la quale è il coronamento della trascensione verticale della relativa centralità mantenuta in modo immanente.
Ciò, in realtà, è l'estensione imperiale della centralità, realizzata in un dato mondo, a tutti i mondi.
Si può definire fortemente tradizionale l'approccio secondo il quale nell'esistenza divenuta, nel vortice del divenire (samsāra), si può parlare veramente di pace reale e luminosa ovunque c'è guerra e lotta ed esclusivamente in relazione allo stato centrale (nirvāna). E questo veramente equivale al dire, in modo solipsistico, che la pace esiste solo in Me Stesso.
Per cui, sulla via dell'Autorealizzazione nel senso metafisico, fino al raggiungimento dello scopo finale sussiste uno stato di guerra, e qualsiasi "pace” è pace falsa nel samsāra; perciò, a buon ragione dice Vegetius: "Chi aspira alla pace, prepari la guerra”.
Il fine della lotta è la centralità e attraverso essa la realizzazione dello stato supremo, e inoltre la difesa dei valori convergenti verso quest'ultimo. Determinare il fine in modo adeguato — in quanto prefiggere un preliminare punto di convergenza ideale — presuppone tuttavia una prassi gnoseologica-gnostica straordinariamente approfondita.
Senza che il fine sia determinato e prefissato in modo idealmente perfetto, la lotta rimane infatti mero titanismo, per quanto possa essere combattuta impiegando anche delle qualità notevoli. La lotta viene legittimata esclusivamente dall'intenzione orientata al ristabilimento della centralità primordiale, e l'epifania di questa: l'ordine, l'equilibrio e l'armonia.
Contrariamente al titanismo, l'intenzione combattiva finalizzata alla realizzazione della centralità metafisica — mediante notevoli capacità divine o semidivine, preesistenti o acquisite — è l'eroismo. L'heros combatte sempre ed esclusivamente per Se Stesso. Che la lotta si svolga nel mondo "esterno” dei fatti, contro un avversario o un nemico concreto, o nei terreni interni della psiche intesa nel senso più ampio, combatto sempre per Me Stesso – per tale Me Stesso che è il centro metafisico assoluto dell'esistenza e della coscienza.
Ciò si può concepire anche così: bisogna superare la distanza, da una parte ideale, dall'altra parte simbolica e, da un'altra parte ancora, illusoria, che separa me in quanto essere individuale da Me Stesso in quanto Assoluto centrale metafisico. Tra questi due, infatti, ci sono i mondi. Mondi che, durante la individuazione equivalente all'allontanamento da Me Stesso, sono come caduti fuori da Me Stesso e si sono coagulati sul piano della corporalità, costituendo una realtà illusoria.
Questo mondo onirico coagulato e morto e gli esseri che vi appartengono sono i nemici dell'uomo che cammina sulla via della lotta. Questi da un lato, sul piano delle azioni, vanno annientati (sapendo, senza alcun sentimentalismo, che in realtà non sono mai esistiti), dall'altro vanno ripresi in Me Stesso attraverso la contemplazione, la trasmutazione riduttiva delle funzioni della coscienza.
Queste due cose insieme, una nell'altra, costituiscono la via magica dell'autorealizzazione. Ciò che ho realizzato "internamente”, lo conquisto nel mondo "esterno”, e le vittorie ottenute nel mondo esterno creano un milieu cosmico che serve come sostegno positivo all'ulteriore lotta "interna”. A un livello più alto queste due cose avvengono insieme, contemporaneamente.
*
Volendo chiarire il significato tradizionale della lotta combattuta nelle condizioni come quelle odierne, è di essenziale importanza puntualizzare il fatto che — come il Guénon stesso sottolinea — ogni combattimento deve essere concentrato precipuamente sul piano più alto, sul mondo dei principî. Il risultato ivi ottenuto poi comporta per così dire automaticamente i risultati desiderati anche in relazione agli altri piani e campi, poiché tutte le cose al mondo dipendono dai principî.
Per cui in un primo passo, anche le forze della tradizionalità devono concentrare la loro attività sul mondo dell'intellettualità — ossia dei principî — in relazione, per esempio, agli uomini e alla società, dal momento che l'uomo che ha eseguito l'autocorrezione intellettuale nel mondo universale dei principî, assumerà una posizione adeguata anche nelle altre aree particolari, come quella sociale e politica.
Invece l'altro lato del problema è che, appunto di conseguenza di quanto detto sopra, una lotta puramente politica, nel senso attuale, difficilmente può produrre un risultato duraturo e serio anche nel caso di un'eventuale riuscita, e le energie qui sacrificate sarebbero sprecate e avrebbero un raggio d'azione minimo, salvo i risultati contemporaneamente ottenuti nel proprio mondo interiore.
A proposito dei requisiti interni della lotta vale la pena notare che i concetti come la lotta (o realizzazione) e il sentimentalismo si escludono a vicenda in modo estremo. L'uomo dominato e travolto dalle emozioni in realtà non è capace di fare neanche un solo passo significativo né ssul sentiero della lotta, né su quello dell'autorealizzazione.
I pensieri che generano i sentimenti sono conseguenze anormali della mancanza di vigilanza (vidyā) in senso metafisico. Non è capace di annientare, senza "rimorsi di coscienza” e altre conseguenze negative, il proprio nemico colui che crede nella realità dell'esistenza del nemico.
Per contro, colui che è consapevole del fatto che — usando l'espressione del mahayana — Sarvam śūnyam ('tutto è vuoto'), non crede nell'esistenza di alcun nemico; e naturalmente non sente alcun tipo di avversione, paura o altro contro il nemico inesistente; e poiché non sente niente, il suo stato d'animo rimane sereno e così è capace di agire in modo pacato ed efficiente, durante il quale non fa altro che elidere la propria idea errata, la quale proietta il nemico di fronte a se stesso come formazione onirica.
Il momento di sferrare il colpo sterminatore al nemico concepito in questi termini in realtà è analogo all'operazione della distractio (lett. separazione), eseguita durante la prassi del pensiero tematico. Nel momento della distractio posso sperimentare Me Stesso nel mio stato puro di Shiva — questo è un tale atto autonomo nel quale si manifesta la possibilità della libertà ultima.
Il proiettile mortale, la freccia nel momento di scoccarla o la spada nel momento del colpo fatale sono dunque soltanto figure oniriche che ritornano nella propria posizione ontologica, nel "Vuoto”. "Dunque alzati!”, dice Krsna, un rappresentante del sé, nella Bhagavad-Gītā (11:33), "Sii pronto a combattere... Trionfa sui tuoi nemici... Io li ho già mandati a morte, tu non puoi essere che uno strumento, in questa battaglia”.
Alla fine del disfacimento delle forme particolari appare l'Assoluto. In prima e ultima sede non esiste altra realtà che il sé, Me Stesso; fuori di questo tutto è "vuoto”; e ciò deve essere compreso e, nel caso specifico, realizzato senza alcun sentimentalismo sulla via della lotta da colui che comunque ne è capace.
Questo è anche un criterio formativo di casta — se qualcuno non lo possiede, non può essere considerato appartenere a una casta più alta dei vaisya. La via della lotta, perciò, è privilegio di pochissimi, specialmente ai giorni nostri quando, in seguito all'escalation del Kaliyuga, la stragrande maggioranza dell'umanità è discesa nello stato di sottocasta abissale.
(...) In questi termini, il pacifismo, forzato a tutti i costi, delle masse è del tutto comprensibile (il che naturalmente non significa che da noi viene condiviso) come lo è anche il fatto che l'uomo moderno è capace non solo di accondiscendere alla pace e al pacifismo ma addirittura di imporli anche al costo di procurarsi la più grande oscurità.
L'armonicismo — che qua designa la ricerca dello stare "in pace” e "in buoni termini” a tutti i costi, con tutti quanti — è una tendenza gravemente negativa e controiniziatica. Infatti, l'armonicismo crea un tale milieu, sia nel mondo esterno che in quello interno dell'uomo, che permette un indisturbato guadagno di terreno alle forze dell'"oscurità” (usando un'espressione simbolica), per il solo motivo di evitare il confronto momentaneo che, per qualche motivo vago e per lo più emotivo, lo spaurisce.
(Qui bisogna tuttavia aggiungere che l'estremo opposto dell'armonicismo, cioè l'opposizionismo è una tendenza altrettanto controiniziatica, perché nel segno di questo si finisce ad opporsi o eventualmente si oppone solo a quei valori — arrivando finanche all'Assoluto — con i quali invece bisognerebbe sempre essere in armonia.)
*
(...) Bisogna constatare che la vocazione degli ksatriya: la vera lotta, ha sempre la sua attualità nel mondo umano; naturalmente anche nella presente epoca, nonostante la possibilità della lotta concreta, puramente a corpo a corpo e combattuta a vita o a morte, sia fortemente diminuita, per esempio per via della meccanizzazione della guerra.
E' romantica, anzi ingenua la concezione che immagina la lotta esclusivamente in catafratta, sul dorso di un cavallo, alla conquista della Terra Santa oppure con in mano la spada dei samurai e seguendo rituali ben noti. Infatti la lotta, prima di tutto e sempre, si svolge contro la non-Seità, contro le forze della caduta fuori dal centro. Contro quelle forze, tendenze, abitudini, inclinazioni, pulsioni, i loro rappresentanti e altro ancora, che preparano la morte e l'estinzione della coscienza nella vita dell'uomo.
Queste forze — sia nel mondo "esterno” che in quello "interno” — si trovano quasi ovunque, e il primo passo riguardo a esse è il loro infallibile riconoscimento, la distinzione e la separazione delle forze "chiare” e "oscure” in ogni area dell'esistenza (con l'aiuto di una "spada” archetipica della coscienza, tra le altre cose, di cui la spada fatta di acciaio è solo un simbolo esterno).
Per l'uomo comune non esiste luce e oscurità, non c'è Dio e Satana, non c'è angelo custode e drago distruttore — per lui, questi concetti simbolici non hanno una realtà sperimentale. Per l'uomo sulla via della lotta, per l'heros, però, tutto ciò è fondamentale. Naturalmente, lo è perché lui è capace di identificare, da un punto di vista metafisico, questi simboli nella loro realtà.
Riguardo all'identificazione delle manifestazioni, dei fenomeni e delle persone, nel mondo della presente epoca sussiste una situazione peculiare, all'insegna della quale — in seguito a una suggestione monstruosa e diabolica, condotta dai centri occulti della sovversione antitradizionale — gli uomini di oggi, a grandi linee, considerano positivo ciò che è negativo e negativo ciò che è positivo.
Conformemente a questo, nella maggior parte delle questioni quasi quasi può arrivare a una presa di posizione adeguata colui che, nella "società” antitradizionale prende sistematicamente la posizione opposta a quella generalmente inculcata (ciò naturalmente non significando che dovrebbe essere questa, la via per acquisire l'impostazione della visuale esistenziale tradizionalmente considerata perfetta).
Una volta che si è arrivati a determinare il nemico vero oppure, per dirlo simbolicamente, una volta che si è capaci di percepire il "drago”, comunemente celato e mascherato, nella sua forma reale (e questo è già un livello apprezzabile), allora si può proseguire col parlare della lotta, dei compiti marziali.
Vogliamo sottolineare un'altra volta, però, che la definizione perfetta del "nemico” ha una fondamentale importanza e che per fare ciò si necessita di un'ampia preparazione spirituale e di una vigilanza metafisica. Per questo dice il Qu'ran (9:41): "Leggeri o pesanti, andate nel combattimento e lottate sulla via di Allah con i vostri beni e le vostre vite! Questo è meglio per voi, se sapete giudicare bene!”
*
La lotta legittima, avente un punto di convergenza metafisico, può essere concepita anche come la lotta — a fianco a quella per la pace vera — per la conquista e per la realizzazione della verità ideale. Grotius dice infatti: "La prodezza deve essere guidata dalla verità; e se ciascun uomo fosse verace, non avremmo bisogno della prodezza da combattimento”.
La verità è, propriamente, l'irradiazione della luce dell'Assoluto nelle varie aree dell'esistenza; e si presenta sempre in modo da rendere possibile la trascensione del dato livello esistenziale.
Contrapposto a questo, lo "spirito della menzogna” ci "lega”, ci "fissa” in un dato stato esistenziale o addirittura ci spinge giù, in uno stato ancora inferiore. La manifestazione universale è, da un certo punto di vista, il teatro di una guerra occulta dove le forze contrastanti del dualismo — che appare reale solo visto dal lato della manifestazione — combattono la loro lotta mondiale.
Le ere del mondo, in quest'ottica, esprimono in realtà l'arrivo all'egemonia, nel mondo terrestre-umano, di una delle due forze opposte cioè quella della tradizionalità e quella dell'antitradizionalità. Com'è noto, alla fine di ciascuna era del mondo, nei vari Kali-yuga di portata differente, le forze dell'"oscurità” e dell'antitradizionalità, giungono al potere; e la dissoluzione e il disfacimento, caratterizzanti queste epoche, sono i sintomi di questo processo.
Nel retroscena dell'oscuramento, compientesi durante l'involuzione cosmica riscontrabile in aree più svariate possibili, si trova una forza diabolica-satanica la quale viene simbolicamente descritta, oltre alla simbologia del drago, anche con quella della tigre (specialmente le dottrine tantriche). Dal punto di vista della tradizionalità, in questo caso il compito marziale è "cavalcare” la tigre, in modo tale che alla fine la tigre diventi o sconfitta, cioè annientata, o che diventi un veicolo dominato (che in fondo è la stessa cosa) e così serva da mezzo per l'ascensione spirituale.
Ebbene, nella guerra occulta dell'esistenza, gli operatori delle forze dell'antitradizionalità si siedono sul dorso della tigre, simboleggiante le forze dell'oscuramento, convinti dell'illusione che costei servirà i loro propri fini e nel mentre nemmeno tentano di ottenere il dominio sulla tigre stessa.
Indubbiamente, la forza di dimensioni a livello esistenziale, che qua viene rappresentata con il simbolo della tigre femmina, può condurre alcuni ad ottenere certi risultati particolari (i quali in genere vengono indicati come appartenenti al dominio materiale sul mondo), ma alla fine, in conseguenza alla sua speciale natura anti-metafisica, distrugge inesorabilmente anche coloro che l'hanno servita.
(...) Per quanto il vero cavalcare la tigre e il metterla al servizio del Risveglio metafisico sia quasi quasi al limite dell'impossibile e per quanto grandi siano le vicissitudini spirituali, dell'anima, esistenziali e fisiche che ciò comporta, non possiamo mai perdere di vista il fatto che ogni altra possibilità equivale a un sé-icidio nel senso metafisico, perché la tigre e tutto ciò che essa simboleggia, favorisce la vittoria delle forze della nonSeità (anātmā) e tale vittoria, per l'uomo portante in sé il Soggetto, implica la drammaticità dell'annientamento; quindi a ragione si può affermare che colui che combatte al fianco delle "forze dell'oscurità”, in realtà combatte contro sé stesso in una lotta nella quale la colpa dello stare dal lato "cattivo” (non meramente nel senso morale) non viene mitigata o compensata né da qualche ignoranza ingenua né dall'essere fuorviati in buona fede.
Questo può essere espresso, attraverso la tradizionale simbologia astrologica, come una centralis-perfect solis defectio (cioè come un'eclissi di sole), che ha una sua espressione tipica nel mondo moderno: la banca (...).
Tibor Imre Baranyi
http://www.tradicio.org/baranyi/metafisicalotta.pdf