CHE COSA IMPORTA NASCERE IN UN POLLAIO, SE SI ESCE DA UN UOVO DI CIGNO?
di Francesca Tucci, psicologa
Fin da principio, in uno splendido scenario, H. C. Andersen prospetta la situazione difficile che il personaggio principale dovrà fronteggiare e che porta con sé infelici conseguenze. Già in altre fiabe dello stesso scrittore troviamo protagonisti caratterizzati dalla deprivazione, dall’alterità rispetto al gruppo, basti ricordare il soldatino di piombo “Si somigliavano tutto come gocce d’acqua …tranne uno, diverso dagli altri perché aveva una gamba sola … e fu proprio lui ad avere una strana sorte.”; o ne La sirenetta “..sei nipotine, tutte bellissime. La piccola era tuttavia ancor più bella … era strana la piccola principessa”; ed ancora “ il freddo era terribile …una piccola fiammiferaia camminava a piedi nudi e con il capo scoperto”.
Ed un destino speciale ed insolito attende l’anatroccolo contraddistinto, come molti eroi mitologici, da un segno particolare, quel suo aspetto strano, brutto. L’uovo, ancor prima dell’anatroccolo, è presentato come diverso, è infatti troppo grosso, non si dischiude insieme agli altri; inoltre la vecchia anatra, nel raccontare la propria esperienza, avverte Mamma Anatra dei rischio che comporta avere un uovo, forse di tacchina, nella propria nidiata: “fu un vero e proprio calvario … lui aveva una paura matta dell’acqua”, dato quest’ultimo inaccettabile per la comunità delle anatre.
L’istinto materno sembra inizialmente potersi esprimere a dispetto dei consigli della presunta saggezza e Mamma Anatra continua a covare l’uovo fin quando si dischiude e dimostra di voler prendersi cura di quel figlio, anche se strano. Arrivati al corso d’acqua il valore socialmente desiderabile è riscontrato “nuota bene.. e alla fine dei conti non è tanto brutto”, ciò le permette di sentirsi al sicuro in quanto accettata dalla comunità e cade sullo sfondo il problema dell’aspetto. Nel confronto con la “cultura dominante” che chiede la perfezione si intravede l’ambivalenza materna: nel cortile dove l’anatroccolo viene attaccato e deriso, inizialmente mamma anatra lo difende e lo coccola “… col becco lisciava le piume al suo piccolo” … ma quando la pressione sociale è troppo forte “beccato e maltrattato da tutti: anitre e polli … i sui stessi fratelli gli gridavano dietro: brutto mostro!” e la madre dice “come vorrei che tu fossi lontano da qui”, cedendo alla paura a chiedere rispetto, di non poter amare chi vuole, dimostrando in quanto matrigna il suo carattere ambiguo.
Non si può tralasciare infatti che Mamma Anatra non è la vera, la sola madre del brutto anatroccolo, e che dunque la fiaba propone il tema della doppia madre come nella storia di Eracle che a sua insaputa è adottato da Era; e come l’eroe che ha genitori umani e divini, questi ultimi affiancati ai primi per timore di perdere il legame con lo stadio istintivo della coscienza, così l’eroe della nostra fiaba ha doppia origine che gli dona potenzialità di cui non è ancora consapevole.
Ma torniamo al tema dell’esiliato, caro al nostro autore tanto da riproporlo in un’altra sua fiaba assai nota “Scarpette rosse” e ben analizzata da C.P. Estés ..”se ci umiliamo di fronte alla collettività e ci sottomettiamo alle pressioni volte a ottenere una stupida conformità, saremo protette dall’esilio ma nel contempo metteremmo in pericolo proditoriamente la nostra vita selvaggia” (Estés C.P.,1992) e così l’addomesticamento si trasforma in umiliazione di fronte alla collettività, e, se eccessivo, diviene invalidante per gli impulsi naturali. Ed al motivo dell’esilio: grosso, brutto e strano l’aspetto dell’anatroccolo non è aderente all’ideale di bellezza imperante nel piccolo cortile. Il suo aspetto è visto dall’esterno come sua Ombra in quanto comprende le qualità inferiori, evoca tendenze inconsce ed irrazionali, incarna l’insieme delle funzioni e degli atteggiamenti non sviluppati, è espressione di un rapporto tra parti diverse ed il confronto con esse consente lo snodarsi della prima tappa del processo d’individuazione.
Normalmente, secondo la teorizzazione junghiana, ci si muove tra due poli, livello fisico e livello psichico, comprendente coscienza e incoscienza (M.L.Von Franz,1986); l’autore si è dato la possibilità, attraverso la fiaba, di entrare in contatto con l’aspetto collettivo dell’Ombra, facendo uso di un animale come personaggio principale per esprimere su un solo livello la ricerca o meglio il recupero dei comportamenti istintivi.
Le polarità bene-male per l’etica, bello-brutto per l’estetica si intrecciano in questa fiaba, in cui il problema del conflitto e/o della conciliazione fra forze opposte è portato su un piano estetico persalvaguardarsi da un coinvolgimento più profondo : per la collettività l’alterità non è di per sé un disvalore, ricordiamo la vecchia anatra dal sangue spagnolo, si differenzia dalle altre, ma il fiocco rosso alla zampa forse la rende bella tanto da essere tenuta in gran considerazione all’interno del cortile. Possiamo forse pensare che il pollame del cortile ha represso le forze istintuali, e dell’anatroccolo osserva da lontano il suo brutto aspetto che evoca istinti provenienti dallo strato della psiche ipotizzato da Jung in cui biologia e spirito potrebbero incontrarsi; e non può conoscerlo veramente o volergli bene ma lo espelle.
Vi è un’iniziale identificazione con la Persona: il piccolo anatroccolo comincia a credere nell’immagine negativa che di lui rimandano i fratellastri, e come un sintomo guida il suo brutto aspetto diviene causa di movimento, tensione verso la coscienza. L’Io non si è identificato con le funzioni socialmente apprezzate, si lascia la possibilità del contatto con le potenzialità creative, il brutto anatroccolo non è stato “addomesticato”, la sua coscienza può prendere contatto con il mondo interiore, la natura istintiva è ancora preservata. Tendenze inconsce ed irrazionali gli permettono il movimento: “il poveretto non ce la faceva più .. balzò oltre la siepe”, in questo passaggio non è l’anatroccolo ad agire ma l’inconscio che ha un suo progetto ed una sua forma di intenzionalità (Carotenuto).
Il processo simbolico pone di fronte a rischi e pericoli: il brutto anatroccolo vaga affrontando varie prove, anche bussando alle porte sbagliate perché “l’istinto sulla direzione da prendere può non essere sviluppato appieno...” (Estés C.P.), l’Ombra racchiude in sé delle funzioni non ancora sviluppate, funzioni non esercitate a livello cosciente. L’eroe inizialmente si isola, ma la strada dell’individuazione include il mondo, e l’incontro con le oche selvatiche rappresenta una delle difficoltà da fronteggiare nella collettività: i due paperi gli propongono una nuova, allettante esperienza e nella fiaba viene introdotto un episodio brutale e sconcertante, il sangue che tinge l’acqua, per avvertire l’anatroccolo delle trappole in cui può cadere, degli errori che può commettere lungo il viaggio nell’inconscio.
La ricerca prosegue e l’anatroccolo cerca riparo non in una calda casa accogliente ma in un luogo che, già nella descrizione che l’autore ne dà, fa presagire nuovi pericoli: anche nella baracca infatti l’anatroccolo non viene riconosciuto dalla vecchina che è orba e lo scambia per un’anatra adulta; e soprattutto la gallina non vede la vera natura dell’anatroccolo tanto da suggerirgli di imparare a far le uova, lo richiama al miope razionalismo che tende ad impoverire, “gatto e padrona animali intelligenti che non amano stare sott’acqua” non rispettando la sua opinione suciò che rende piacevole la sua esistenza! L’immobilità non piace all’anatroccolo, potremmo dire che la sua anima lo richiama alla vita, al contatto con emozioni e sensazioni: gli rammenta il piacere delle sensazioni che gli dà giocare nell’acqua (i patterns of behaviour, le predisposizioni di carattere ereditario si impongono ed impediscono allo scorrere naturale della vita di fermarsi ).
Quando l’anatroccolo va via dalla casa della vecchina, così come quando si avvicina ai cigni pur con l’idea che sta correndo un grande rischio, la natura istintiva rivendica il diritto a cercare e a trovare i suoi simili. Quando vede i cigni si sente invadere dal desiderio in quanto, pur non essendo ancora consapevole, ha trovato ciò che cercava: il non noto di questo momento rappresenta la futura consapevolezza; ed a questo punto l’istinto esprime la sua componente di obbligatorietà e di automatismo, in quanto formato da impulsi che procedono senza motivazione conscia, e “.. tende il collo verso di loro e manda un verso acuto”.
L’anatroccolo non conosce quegli uccelli ma li ama, ha paura di quella parte di sé che non conosce in quanto, come ricorda la Von Franz (1986) “il suo impulso istintivo non coincide con la consapevolezza dell’Io”; e nel momento in cui pensa che sarebbe disposto ad accontentarsi di un angolino fra le anatre sopraggiunge un nuovo rischio: l’arrivo del freddo che immobilizza. Per evitare che l’acqua si congeli l’anatroccolo prova a resistere e continua a nuotare, ma ha seguito il suo impulso alla fuga senza avere una meta, non è ancora divenuto consapevole, e tutto ciò ha un costo elevato per l’anatroccolo che privo di energia rimane imprigionato.
Come accade in molte fiabe in un momento critico per il protagonista appare una figura quasi magica, una funzione spirituale portatrice d’aiuto, è il contadino che salva l’anatroccolo spezzando il ghiaccio e portandolo con sé a casa. Ma questa figura soccorrevole ha in sé un lato oscuro, nella sua casa il calore non riscalda di un sentimento buono: i figli del fattore in particolare desiderano giocare e non si accorgono della paura dell’anatroccolo, non sono capaci di dare le giuste attenzioni; la moglie lo rincorre urlando e così facendo lo costringe alla fuga.
Bisogna attendere l’arrivo del sole primaverile, il cui calore dona vita, perché l’anatroccolo si accorga di avere nuove risorse “... le ali .. forti e sicure..” ; ed anche lo scenario cambia prospettando un nuovo corso della storia. Non più una fuga ma un viaggio, una ricerca con un nuovo significato è il movimento del brutto anatroccolo che va incontro ai cigni: la volontà eticamente/esteticamente orientata appare superata o forse integrata con la maggior consapevolezza dell’anatroccolo che ora conosce ciò che desidera, non è disposto a sopportarele umiliazioni di una vita che non gli appartiene e si avvicina al suo polo opposto, i bellissimi cigni. Desiderio e paura.
Il momento dell’incontro coincide con il momento in cui il protagonista guarda alla sua vera natura riflessa nell’acqua e la doppia valenza emotiva richiama le due facce dello specchio: una rappresenta la coscienza che è impaurita dall’incontro col diverso, la seconda rappresenta l’inconscio e la spinta che da esso deriva all’individuazione. Il viaggio raggiunge il suo scopo quando l’anatroccolo comprende che il processo simbolico di trasformazione è avvenuto ed … “era diventato anch’egli un cigno”. Ricorda una guarigione miracolosa il percorso compiuto dall’anatroccolo, animale che scende giù nell’acqua, simbolo dell’inconscio, per poi risalire, e quando si trasforma in cigno e può volare ha raggiunto un più elevato livello di coscienza , discesa nel profondo che precede l’ascesa (Jung,vol.9) la situazione di partenza è superata su piano più alto di coscienza.
Francesca Tucci
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