Le réve du Theodor Hertzl

(Riflessioni sul Sionismo)
(Audio)

 

Senza voler fare una trattazione sulle origini, i principi e la storia del sionismo, in queste brevi pagine vorrei limitarmi a fornire qualche elemento di riflessione su una tematica, come poche, tanto dibattuta e al tempo stesso misconosciuta dal grande pubblico: lo farò attraverso un volo ad ampio raggio, senza addentrarmi nei vari argomenti in modo specifico, ma cercando di trattarne solo le questioni essenziali.

Nato da un’idea di Theodore Hertzel, giornalista, scrittore e avvocato ebreo-ungherese di lingua tedesca, che all’indomani del famoso affaire Dreyfuss scrisse nel 1896 un libro decisivo, dal titolo Lo stato ebraico, nel quale ipotizzava come unica salvezza possibile contro il secolare antisemitismo dell’Occidente la creazione di uno Stato ebraico indipendente in Palestina, l’ideale sionista ebbe molto successo fra le frange più laiche e progressiste dell’ebraismo internazionale (nettamente maggioritarie), mentre venne condannato da quelle più religiose e tradizionaliste (decisamente minoritarie, ma non prive di spessore mistico e spirituale), che vedevano in esso il pericolo di una trasformazione radicale dell’identità ebraica, da religiosa in politico-nazionalistica, con il conseguente abbandono della promessa messianica - unica condizione, secondo la tradizione biblica, per un effettivo ritorno del popolo d'Israele nella terra promessa.

La ragazza è bella, ma è sposata.
(commento di un rebbe chassidico dopo un viaggio in Palestina, fine '800)

Nel corso degli anni successivi il movimento sionista prese piede in tutta Europa e nelle Americhe, grazie all’azione dell’Agenzia Ebraica Internazionale, spingendo masse sempre più numerose di ebrei a tornare nella “terra dei padri”, onde gettare le basi per una colonizzazione ebraica della Palestina; inizialmente la convivenza con gli arabi fu sostanzialmente pacifica, ma poi, quando questi si accorsero della natura nazionalista del progetto sionista, cominciarono gli attriti, gli scontri e gli attentati reciproci, che in un crescendo di violenza portarono la Gran Bretagna ad accettare l’idea di un “focolare ebraico in Palestina”, preludio alla futura nascita di uno Stato nazionale.

La spinta decisiva alla realizzazione del sogno di Herzel è avvenuta tuttavia solo dopo la Seconda guerra mondiale, quando nel 1947 le Nazioni Unite votarono a maggioranza (con l’assenso decisivo dell’Unione Sovietica) la bipartizione della Palestina britannica in due Stati nazionali, uno arabo e l’altro ebraico: il rifiuto degli Stati arabi confinanti di accettare questa decisione ha segnato così l’inizio di un conflitto che si è protratto fino al 1973 (con la fine della guerra del Kippur) e oltre (con le successive campagne di Libano e di Gaza), che ha visto infine la definitiva supremazia di Israele sul piano militare, con la sconfitta di tutti i tentativi di aggressione degli Stati arabi e il raggiungimento di una pace separata con l’Egitto e la Giordania.

Allo stato attuale resta ancora da risolvere tuttavia la questione della pace con la Siria (e indirettamente con il Libano), nonché la creazione di uno Stato palestinese indipendente, vero nodo dell’intera questione mediorientale: la lotta per l’indipendenza del popolo palestinese, del resto, ha attraversato in lungo e in largo, in tutti questi anni, la storia di Israele e di tutto il Medio Oriente, dal terrorismo degli anni ’70 e ’80 alla cacciata dell’OLP dal Libano, dalle varie Intifada nei Territori occupati e a Gerusalemme Est alla vittoria elettorale di Hamas a Gaza, dalla presenza di Hezbollah nel Sud del Libano al lancio di missili di Hamas lungo il confine di Gaza, fino alla campagna di Libano del 1982, al bombardamento di Gaza del 2008-09 e all’operazione contro gli attivisti filo-palestinesi della Freedom Flottilla del 2010.

Sul piano politico, l’accusa che viene fatta allo Stato di Israele, fin dall’atto della sua fondazione, è di essere in realtà nient’altro che l’ultimo Stato coloniale dell’età contemporanea, e di rappresentare una sorta di base militare americana nel Mediterraneo, con il compito indiretto (e inconfessato) di destabilizzare l’intera area mediorientale; inoltre, il mancato rispetto delle risoluzioni dell’ONU e la volontà israeliana di incrementare gli insediamenti ebraici nei territori palestinesi conquistati durante le suddette guerre (i cosiddetti “territori occupati”), nonché il trattamento riservato ai palestinesi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, hanno alienato allo Stato di Israele molte delle simpatie che esso aveva avuto alla sua nascita, ai tempi d’oro del mitico “sogno sionista”.

Le immagini, poi, dei bombardamenti e delle devastazioni israeliane in Libano e a Gaza, in seguito alle due recenti offensive militari contro Hezbollah e Hamas, e da ultimo la vicenda della strage di attivisti filo-palestinesi della Freedom Flottilla al largo di Gaza, hanno fatto il giro del mondo, lasciando l’opinione pubblica mondiale sbigottita e ponendo lo Stato ebraico in una condizione di isolamento mai raggiunta prima.

Ma un’analisi obiettiva della situazione non può prescindere da considerazioni più vaste e complesse, che ci permettano di comprendere le “ragioni” di entrambe le parti e soprattutto di inquadrare l’ampio spettro di posizioni, distinte e spesso distanti, presenti sia all’interno della società ebraica che di quella palestinese: cominciamo dunque dalla prima, per passare successivamente a trattare i vari aspetti della posizione palestinese e delle popolazioni arabe in generale.


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Generalmente si pensa alla società israeliana, ed ebraica in generale, come a un’entità compatta, monolitica e unita sotto la guida dei propri leaders, di cui segue fedelmente le direttive, senza mai metterle minimamente in discussione: se ciò può essere vero, probabilmente, in condizioni di persecuzione e di attacco dall’esterno, di fronte alle quali il popolo ebraico ha sempre fatto fronte comune, non è tuttavia altrettanto vero in condizioni “normali”, quando la proverbiale “diversità” ebraica ha invece modo di dispiegare in pieno tutta la sua potenzialità.

Dovunque ci sono due ebrei, nascono subito tre partiti.
(detto ebraico)

Ecco allora che vediamo all’interno del mondo ebraico, fin dai tempi biblici, un enorme numero di partiti, fazioni, scuole e sette diverse, non soltanto alternative, ma spesso addirittura in conflitto fra di loro: a cominciare dalla separazione biblica fra leviti e adoratori del vitello sotto il Sinai fino alla lotta dei profeti contro il pericolo dell’idolatria, per proseguire con la separazione degli esseni dal Tempio di Gerusalemme fino allo scontro fra gli zeloti indipendentisti e i sadducei collaborazionisti dei romani, vi è sempre stata nell’antico giudaismo una costante tensione interna, che solo l’esilio e la diaspora riusciranno in qualche modo a mitigare, portando alla riorganizzazione delle comunità ebraiche, dopo la caduta del secondo Tempio, sotto la guida del rabbinismo farisaico.

E questa divisione non appartiene solo ai tempi biblici: la separazione con i caraiti (che riconoscono unicamente la Toràh scritta) o con i liberals americani (le cui conversioni all'ebraismo non sono riconosciute in Israele), nonché lo scontro fra i mistici chassidim e i razionalisti mitnaggedim nella Polonia del '600, fino ad arrivare al vasto panorama dell'opposizione ebraica al sionismo (i trotzkisti del partito Matzpén, i religiosi del movimento Neturei Karta, gli intellettuali illuministi come Israel Shaak o radicali come Noam Chomsky) o della dissidenza interna allo Stato d'Israele (i cosiddetti refusnik, cioè i militari "disertori", o il movimento think different), rappresentano tutte testimonianze evidenti di come il mondo ebraico, nel corso della sua storia, tutto sia stato fuorché un'entità monolitica e compatta, costituendo al contrario un vero e proprio "universo policentrico e polisemantico", che spesso solo la ferocia delle persecuzioni è riuscita a unificare in modo univoco e unidirezionale.

1. continua

Roma, Aprile 2014
www.pierluigigallo.org

Ljudskavanja Bukovec, Kazimierz