Saturnia Tellus

 

1. Ab Urbe Condita

RELIGIO PATRIAE E INCONTRO FRA SPIRITUALITA' MEDITERRANEA E INDOEUROPEA

di Francesco Filipazzi



Una storia della religione romana non convenzionale, ma spiegata attraverso un’analisi storica e sociologica ragionata partendo dalle migrazioni e dagli stanziamenti sulla penisola italica in epoche remote, per arrivare a Costantino e alla Cristianità: questo è “Storia della religione romana” di Franz Altheim (1898- 1976), autorevole studioso tedesco, portatore di un’idea della storia profondamente diversa da quella di derivazione illuminista cui siamo abituati.

Secondo Altheim la religione romana nasce dall’incontro fra la spiritualità mediterranea e quella di derivazione strettamente indoeuropea. Analizzando le pitture rupestri diffuse in tutta Europa, lo studioso riconosce un primo strato mediterraneo relativo alla “civiltà del toro”, da cui deriverebbe il nome stesso dell’Italia, la terra dei tori, che venne poi sopravanzata dalla “civiltà del cervo”, diffusa in tutto il nord dell’Eurasia, accompagnata oltre che dalle raffigurazioni di cervi, da simbologie solari. I Camuni della Val Camonica sono quindi la prova dell’arrivo della civiltà del cervo in Italia. Le due civiltà fra loro avevano molti valori in comune e quindi probabilmente si amalgamarono con il tempo.

Già dall’inizio dell’analisi di Altheim si può rilevare una sostanziale unità religiosa e spirituale diffusa in tutto il continente (potremmo dire “a nord ad est, a sud ad ovest”) che nonostante le differenze fisiologiche, dovute alle singole zone e alle influenze specifiche, delinea un’unica civiltà europea.

Successivamente, con la diffusione in Italia delle genti etrusche, venne introdotto l’elemento orientale. Gli etruschi inizialmente molto influenzati dalla religiosità greca, ritornarono nel corso del tempo alle origini asiatiche e ai culti di matrice dionisiaca. Veneravano divinità con elementi fisici animali (esempio testa umana e corpo di uccello) e la loro religione era ricca di demoni. Costruivano le città dei morti e praticavano i giochi gladiatorii rituali.

In un determinato momento della storia, iniziò a svilupparsi Roma. La religione romana è indicata da Altheim come una vera e propria novità della penisola italica, non essendo né spiccatamente mediterranea, né spiccatamente indoeuropea. La spiritualità romana è qualcosa di nuovo, un elemento di rottura. Tutti gli elementi che entrarono a contatto con la nascente cultura romana vennero ricreati, o trasformati, a partire da quelli greci, indicando una vera e propria “volontà creatrice” di quella popolazione che avrebbe poi conquistato il Mediterraneo e l’Europa. Mentre ad esempio nei Camuni si rileva una “sclerotizzazione” delle forme e delle raffigurazioni, per i romani questo non avviene.

La religione quirita è quindi inserita in un contesto tradizionale ma è qualcosa di mai visto prima. Anche la concezione del tempo e del mito sono nuove e mediate dall’elemento romano, che porta a non concepire più l’età dei miti come un’epoca extra temporale, come accadeva in Grecia. I miti sono i racconti delle guerre che hanno portato alla nascita della Repubblica, gli eroi sono i condottieri che hanno reso grande l’esercito. Una religione della Patria, attraverso la quale il cittadino romano ritrovava la propria identità.

La lettura di questo libro è consigliata a tutto coloro che vogliono scoprire l’essenza della civiltà da cui nasciamo, la Roma dei nostri antenati.


Francesco Filipazzi, 20 aprile 2014
http://www.barbadillo.it/22745-natale-di-roma-religio-patriae-e-lincontro-tra-spiritualita-indoeuropea-e-mediterranea/

 

 

 

2. Italia, Patria nostra


"A CHI NON HA PATRIA NON ISTA' BENE
L'ESSERE SACERDOTE, NE' PADRE" (UGO FOSCOLO)*

di Pierluigi Gallo Ziffer



Introduzione

Hic manebimus optime.1


Non è facile descrivere in poche righe le caratteristiche di un intero popolo, tanto più se si tratta di un popolo così particolare, così ricco di storia, di arte e di spiritualità come quello italiano: un popolo le cui origini si confondono con quelle della civiltà europea, e la cui storia ricalca simbolicamente la storia stessa dell’Occidente, con le sue luci e le sue ombre, le sue vette e i suoi abissi.

L’Italia di oggi è piuttosto lontana in realtà dai fasti del passato, da quegli ideali eroici, artistici e religiosi che l’hanno resa famosa in tutto il mondo, e ha perso molto del lustro, della forza e della bellezza di un tempo: ma la storia ci ha insegnato ad amare la nostra Patria sempre e comunque, anche di fronte a momenti di crisi e di decadenza come quello che stiamo attraversando, e questo è propriamente ciò che faremo.

Quella che dunque presentiamo a voi in queste pagine è l’immagine gloriosa, eterna e immortale dell’Italia, scritta per sempre negli annali del tempo, dai quali ridiscende periodicamente nella storia ogniqualvolta vi sia una generazione capace di evocarne la grandezza e di incarnarne il valore: questa è infatti l’Italia, l’Italia senza tempo, l’Italia, Patria nostra.


Prima parte: il mito di Roma

Tu regere imperio populus, Romane, memento.
Hae tibi erunt artes:
pacisque imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos.2


In Italia, in epoche precedenti alle migrazioni celtiche e al ciclo etrusco, molto probabilmente apparvero popoli di origine boreale occidentale (le cui tracce sono presenti ad esempio nelle pitture rupestri dellaVal Camonica), i quali, di fronte alle popolazioni aborigene autoctone, ebbero lo stesso significato della comparsa degli Achei e dei Dori in Grecia, o degli Arii in India; è probabile che i Latini fossero una vena superstite e una riemergenza di tali nuclei, mescolatisi in vario modo con altre popolazioni italiche, e fu proprio fra di essi che nel 753 a.C. sorse, come un fulmine a ciel sereno, Roma, la città nella quale per secoli si riassunsero le sorti dell’intero mondo occidentale.

In un’Italia abitata da una grande varietà di popolazioni diverse, qual era la penisola alla vigilia della fondazione dell’Urbe, appare all’improvviso un gruppo nuovo, che si leva solo contro tutti, che non si adegua a nessun culto, a nessuna consuetudine, a nessun diritto precedentemente stabilito: sembra che abbia una “sua” propria legge da affermare, un nuovo principio che ha in sé la forza di sottomettere ogni cosa, espandendosi con quell’energia e determinazione con cui agiscono solo le grandi forze della storia.

In Roma s’incarna dunque l’idea della “virilità solare”, nella quale si esprime il mistero della “regalità sacra”, intesa come forza mistica di comando, strettamente connessa col simbolismo indoeuropeo del fuoco: ad essa è connessa l’etica romana dell’onore e della fedeltà, che contraddistingue il popolo romano fra tutti gli altri popoli, che nel seguire invece passivamente i dettami del “fato” si caratterizzano come “barbari”, ossia incivili.

I Romani erano attivi, concreti, realizzatori, spregiatori della retorica e delle mollezze superflue; si può dire che “pregassero in piedi”, impassibili di fronte agli dèi, in una chiarezza di relazioni umane che escludeva ogni servile dedizione: quella romana ci appare dunque come una “stirpe solare”, ricca di doti di carattere, attenta alla virtus, al valore, alla lealtà, al coraggio, alla fedeltà alla parola data, tutti valori questi che confluirono, trasformandosi, nella nascente Chiesa cristiana.

Dallo sfacelo che seguì il crollo dell’Impero romano e le invasioni barbariche, sorsero dunque nuovi valori, o meglio vennero ripresi e trasformati quelli antichi, tanto faticosamente sopravvissuti alla dissoluzione di un’intera epoca: benché sorta in opposizione al mondo aristocratico della Roma dei Cesari, la Chiesa divenne così l’erede della cultura classica, occidentalizzandosi e “romanizzandosi”, per meglio radicarsi nella sua nuova sede.

Centro politico e amministrativo, prima ancora che spirituale, dell’intera società alto-medievale, la Chiesa di Roma fu capace di tenere unita la Cristianità occidentale sotto la dominazione barbara, riuscendo addirittura a convertire e assimilare i conquistatori, e compiendo in tal modo una poderosa opera di unificazione delle popolazioni europee.

La civiltà europea ha dunque un debito incalcolabile verso l’opera di conservazione della cultura classica, eseguita in centinaia di chiostri e monasteri dalla Chiesa romana nel corso dei secoli, un’opera di cui l’Italia può a ben diritto considerarsi mater et magistra:  si deve infatti a san Benedetto da Norcia, il padre del monachesimo europeo, la fondazione dei primi centri monastici di Subiaco Montecassino dai quali la missione civilizzatrice benedettina si irradiò in tutto il continente.

Dopo essere stata anticamente terra di eroi e di conquistatori, l’Italia medievale diventa ora terra di santi e di eremiti, e si ricopre di abbazie e monasteri, dove l’eredità classica viene conservata, studiata e tramandata: è la natura stessa di “costruttori e colonizzatori” della stirpe romana a rinascere ora nel monachesimo, dando vita a immani opere di bonifica, disboscamento e canalizzazione, a beneficio delle popolazioni locali e dell’intera civiltà europea.

In tal modo, il mito di Roma si tramanda nei secoli, e la sua missione civilizzatrice si perpetua nel tempo.


Seconda Parte: la civiltà comunale


Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.3

Accanto alla tradizione ininterrotta della civiltà romana, incarnata dalla Roma pagana e rinata nella Roma cristiana, si viene a creare nell’Italia basso-medievale un’altra importante civiltà, tesa ad affermare i principi di libertà, autonomia e indipendenza della borghesia cittadina di fronte al potere feudale ed ecclesiastico: la civiltà comunale, la cui importanza per l’arte, la letteratura e la spiritualità italiane è a tutt’oggi insuperata.

Preceduta dalla fondamentale esperienza di Federico II, l’imperatore-iniziato che aveva fondato nella sua corte siciliana una scuola artistica, letteraria e religiosa di prim’ordine, dove studiosi ebrei, islamici e cristiani lavoravano fianco a fianco in un’atmosfera di profondo rispetto ed armonia, la grande stagione comunale prende il via nell’Umbria e nella Toscana del Duecento, per propagarsi poi a tutto il secolo successivo attraverso la poesia stilnovistica di Dante, la scuola pittorica di Giotto e l’insegnamento spirituale di san Francesco.

Come riassumere in poche parole la portata di questi tre personaggi nella storia d’Italia? Sarebbe un’impresa impossibile, se non ci limitassimo, come faremo, a un rapido sguardo d’insieme su ciò che li accomuna, in quanto espressioni diverse di una medesima spiritualità, sorta anticamente in terra d’Umbria e di Toscana: e nel far ciò seguiremo le orme del”divino poeta”, che ci condurrà di persona a conoscere, per suo tramite, gli altri due giganti di quest’epoca luminosa.

Figura centrale di questo periodo, e dell’intera civiltà italiana, di cui riassume i principali caratteri artistici e religiosi, sublimandoli nella sua immortale Commedia, è certamente Dante Alighieri, la cui opera, espressione della corrente poetica, esoterica e spirituale stilnovistica dei Fedeli d’Amore, riassume in sé i maggiori caratteri dell’arte e della spiritualità dell’Italia medievale, quali l’amor cortese, la nobiltà d’animo, il culto della dama e l’ideale politico-religioso di Imperium.

Simbolo di questa nuova spiritualità è la figura di Beatrice, la donna cantata da Dante in gioventù secondo lo stile della lirica cortese, che eleva e ingentilisce l’animo del poeta e di chiunque la incontri; essa trionfa nel Paradiso come simbolo della vera Teologia, intesa come Sofia, la sorgente di Conoscenza e Amore che guida il poeta verso Dio, e, tramite lui, l’intera umanità.

A tale concezione è strettamente collegata anche la visione politica dantesca, che vede nell’unione fra la Croce e l’Aquila, fra il potere spirituale e quello temporale, la sola garanzia per un vivere felice e prospero nella società: spiritualità e regalità, dunque, e sopra di tutte l’arte, a testimonianza di un filo ininterrotto che lega Dante alla romanità, attraverso le figure di Virgilio e di Enea, rispettivamente cantore e capostipite della Tradizione dei Padri.

Ma l’artista che meglio ha saputo raffigurare lo spirito di questa età nuova, nella quale la realtà terrena appare trasfigurata in una luce trascendente ed incorporea, simbolo e testimonianza delle realtà celesti, è stato senza dubbio Giotto, il pittore della realtà e della verità: fra l’arte di Dante, che nel Paradiso crea figure dal corpo di luce, e quella di Giotto, espressa nel disegno e nel colore, si viene a creare infatti una spontanea affinità, nella quale gli accordi di colori che il primo disegna con le sue figure trascendentali possiedono il medesimo gesto e la stessa tenerezza delle figure del secondo, con le sue raffigurazioni al contempo reali e spirituali.

Dante e Giotto, dunque: due personalità geniali, che hanno avuto il merito di portare, uno nella letteratura, l’altro nella pittura, la verità della realtà - e un’uguale, profonda affinità spirituale traspare dal rapporto di Dante con Francesco, lo santo jullare di Dio, senza il quale l’Italia e l’Europa stessa non sarebbero quelle che sono.

Diversi sono i passi della Commedia dove è testimoniata l’ammirazione del poeta per il santo di Assisi, parlando del quale egli si sofferma soprattutto sull’elogio della povertà, intesa come distacco e libertà dalle cose terrene: il poeta infatti ritiene che la decadenza morale del suo tempo derivi soprattutto dalla cupidigia e dalla sete di guadagno portata innanzi dalla nuova classe sociale dei mercanti, che avevano abbandonato i valori cavallereschi e cortesi della liberalità e dell’onore, tipici invece della nobiltà feudale, della quale Dante stesso faceva ancora parte.

Proporre in questo modo Francesco, significava dunque per Dante indicare un esempio preciso da seguire, per ritrovare la purezza originaria del Vangelo: purezza e innocenza originarie che il poeta e i suoi contemporanei identificavano nel francescanesimo “spirituale”, nel quale confluivano le più profonde istanze di quella fede, di matrice templare e gioachimita, che attendeva l’avvento della “Terza Età dello Spirito”, durante la quale la Chiesa si sarebbe definitivamente spiritualizzata e il mondo intero avrebbe conosciuto una pace perenne di verità e d’amore.

Dante, Giotto, Francesco: tre espressioni diverse di un’unica, irripetibile stagione di arte e di spiritualità, emersa anticamente dalle pieghe della storia, a testimonianza della grandezza della civiltà italiana. Ma essa non fu l’ultima, e dalla sua evoluzione e trasformazione prese vita il terzo, grande periodo di cui vogliamo parlarvi, nel quale fu principalmente l’arte a fiorire e a splendere di una grandezza senza pari: ci riferiamo al Rinascimento, l’età d’oro della cultura italiana.


Terza Parte: il Rinascimento


Le grandi nazioni scrivono la loro autobiografia su tre manoscritti:
il libro delle loro gesta, il libro della loro lingua, il libro della loro arte.

Nessuno di questi può essere capito senza che siano stati letti gli altri due,
ma dei tre l’unico degno di fede è l’ultimo. (John Ruskin)

Coniato per la prima volta nel Quattrocento dagli Umanisti fiorentini, che con esso volevano indicare innanzitutto la rinascita in terra d’Italia dell’antica cultura classica greco-romana, il termine “Rinascimento” è da sempre sinonimo di arte, figurativa, architettonica, poetica o letteraria che sia: ed è nel contempo sinonimo di Italia, poiché la nostra penisola è stata il vero e proprio centro propulsore di questa cultura in tutta l’Europa, diffondendosi da essa al mondo intero.

La civiltà italiana rinascimentale è dunque innanzitutto “civiltà del bello”, dove per bello s’intende anche “buono”, secondo l’antico concetto greco di Kalòs kai Agathòs (Identità di Bello e di Buono), nel quale queste due qualità si identificano, fino a scomparire l’una nell’altra: non può infatti esservi bellezza senza bontà, né bontà senza bellezza, poiché ciò che è bello è anche buono, e viceversa.

Ciò era ben noto agli artisti e pensatori rinascimentali, che nell’edificare la “città dell’Uomo” avevano sempre in mente la “città di Dio” quale matrice spirituale all’origine di ogni realizzazione umana; artisti come Donatello, Botticelli, Brunelleschi, Michelangelo e il grande Leonardo (solo per citarne alcuni) non testimoniano infatti solo la grandezza dell’arte italiana, ma anche e soprattutto l’importanza che l’esperienza estetica ha sempre avuto per lo sviluppo armonioso della personalità umana.

Quando sentiamo parlare di Rinascimento tutti pensiamo infatti ad un’epoca di straordinaria ed eccezionale vitalità artistica: oltre alla pittura, alla scultura, alla musica, all’architettura e alle lettere, anche le arti minori del tessuto, del mobilio, dei gioielli, del ferro battuto conobbero una fioritura senza pari, cui è difficile trovare un parallelo nei secoli precedenti o successivi.

Questa fioritura investì tutte le maggiori città italiane, da Firenze a Bologna, da Padova a Milano, da Napoli a Romapassando per FerraraMantovaUrbino e così via, senza tralasciare nessuno dei grandi Comuni della penisola: sebbene infatti il Rinascimento non fu un fenomeno esclusivamente italiano, in Italia esso ebbe origine e si sviluppò più che altrove. Gli Italiani ne furono i pionieri, solo successivamente seguiti da Francesi, Spagnoli, Inglesi e Olandesi, che ne svilupparono e ramificarono le conquiste in modo più esteso e duraturo, ponendo il Rinascimento alla base di quella che sarà in seguito la Modernità europea.

Dal Rinascimento ebbe dunque origine l’Età Moderna, quell’età della coscienza che ha anteposto la libertà a tutti gli altri principi e valori, dando così inizio al cammino tortuoso ma inarrestabile di emancipazione dell’umanità da tutte le credenze e le certezze aprioristiche, al di là di ogni dogma e di ogni autorità religiosa precostituita: con questo periodo infatti l’uomo ha iniziato ad allontanarsi dalla Tradizione, allentando il contatto con le più profonde verità del passato e avventurandosi spesso in un angusto labirinto mentale, dove la ragione umana è stata deificata e il “costume dei Padri”, l’antico mos maiorum romano, irrimediabilmente perduto.

Ma nello stesso tempo, con il Rinascimento, l’umanità ha iniziato un cammino di ricerca, di sperimentazione e di verifica di ogni realizzazione, di ogni insegnamento e di ogni verità alla luce dell’esperienza personale, diretta e individuale: una ricerca, questa, compiuta all’insegna di quel principio di libertà spirituale che ci porterà un giorno alla scoperta, all’interno di noi stessi, di quei Valori Umani universali che perennemente risiedono nel cuore di ognuno, e che è compito nostro, tramite questa ricerca, riuscire a risvegliare in noi stessi e nell’intera umanità.

Possa dunque questa missione avere successo, e condurre finalmente il nostro tempo al riconoscimento profondo del Divino dell’Uomo e ad un mondo veramente unito, nella cosienza della Fratellanza Umana e sotto la protezione della Paternità Divina: tutto questo è iniziato nell’Italia di un tempo, ed è questa Italia, antica e sempre nuova, che abbiamo voluto celebrare in queste poche pagine – la vera Italia, l’Italia senza tempo, l’Italia, Patria nostra!


Nova erigere, vetera servare; utrique inter se convenientibus.4



Pierluigi Gallo Ziffer,
Roma, Novembre 2007
www.pierluigigallo.org 

 

* Parlare di Patria ai giorni nostri sembra una cosa del tutto banale e priva di senso, ma se riusciamo a staccarci dai luoghi comuni ci accorgiamo che in fondo così non è: anch'io del resto, quando nel 2007 mi son trovato a insegnare Letteratura Italiana in una classe di Ufficiali dei Carabinieri presso una scuola serale della capitale, trovandomi nella necessità di svolgere il programma in modo se possibile non banale, mi sono profondamente meravigliato di quanto interesse questo argomento abbia potuto suscitare nei miei allievi, e prima di tutto in me stesso.

Così ho cercato di mettere insieme qualche riflessione su questa tematica ed è nato il presente articolo, non privo forse di una certa retorica ma senza dubbio sincero e appassionato: ancora oggi mi stupisco del suo registro un po' enfatico e ottocentesco (dovuto in realtà alle circostanze specifiche che l'hanno prodotto) ma, fedele alla decisione presa di non rinnegare mai nulla del mio passato, lo ripropongo nuovamente anche qui, pur se in un mutato contesto sia a livello esteriore che interiore.
In effetti, una riflessione ogni tanto sulla tradizione italiana - ammesso che ne esista ancora una - probabilmente non guasta, e quel che oggi sembra essere scomparso per semprepotrebbe un giorno riaffiorare di nuovo. (PGZ)

 

Note

 

1Qui staremo benissimo, frase di un centurione romano ai suoi soldati, passata alla storia come simbolo di attaccamento e di fedeltà al suolo patrio.

2Ricordati, o romano, che tu dovrai governare i popoli. Per te queste saranno le arti: imporre le leggi della pace, perdonare chi si sottomette e debellare i superbi. (Virgilio, Eneide, VI)

3 Dante Alighieri, Divina Commedia (Inferno, XXVI, 118-120)

4Costruire il nuovo, conservare l’antico, sapendo armonizzare quello con questo.” Non possiamo, per prendere il nuovo, trascurare il vecchio; dobbiamo invece impadronirci di entrambi, e saperli armonizzare fra di loro.

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