LO STRANO CASO DEL NOBEL PER LA PACE A BARACK OBAMA *
Amnesty International e Human Right Watch si lanciano contro la politica letale dei droni della Casa Bianca, di Paola Peduzzi, Il Foglio 23 Ottobre 2013
Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti, stati, scienze; essa allora si riconfonde con l'elemento animico primordiale. (…) Questo è il senso di ogni tramonto nella storia, il senso del compimento interno ed esterno, dell'esaurimento che attende ogni civiltà vivente.
(Oswald Spemgler, Il tramonto dell'Occidente, 1917)
C’è stato un momento in cui si parlava soltanto di droni: erano l’unico strumento certo della politica estera americana, poco democratico ma molto efficace, un programma abbastanza clandestino da piacere a un presidente che tende a non assumersi grandi responsabilità se non in caso di grande consenso, ma comunque utile quando dà la possibilità di dichiarare che "la leadership di al Qaida è stata decapitata".
Poi a un certo punto il drone è diventato un problema per Barack Obama, un problema legale e un problema morale, e stop, non se n’è più parlato. I blitz non sono mai stati fermati – anche se Obama aveva fatto il solito “major speech” per annunciare che tra lui e i droni era tutto finito – e le proteste fuori dalla sede della Cia, guidata da quel John Brennan che ha forgiato la strategia dei droni, sono continuate, ma il diktat della Casa Bianca era “silenzio” e silenzio è stato. Bill Roggio, che gestisce il sito Long War Journal ed è stato il primo a tenere traccia di tutti i raid americani su obiettivi terroristici nelle zone di guerra, continua ad aggiornare le sue statistiche per quel che riguarda gli attacchi in Pakistan, il paese più colpito: da quando è iniziato il programma, nel 2004, ci sono stati 348 raid, di cui 338 dal 2008, il picco è stato raggiunto nel 2010, al momento nel 2013 ci sono stati “soltanto” 23 raid.
I droni hanno sì colpito parecchi leader di al Qaida, ma hanno anche fatto molte vittime civili. Sui numeri ci sono parecchie controversie, ma le inchieste di Amnesty International (Ai) e Human Right Watch (Hrw) presentate ieri al National Press Club di Washington sono destinate a lasciare il segno – anche e soprattutto sulla legacy di un premio Nobel per la Pace.
Ai ha intitolato la sua inchiesta “Sarò io il prossimo? Gli strike degli Stati Uniti in Pakistan” e ha preso in esame nove attacchi nel nord-ovest del Pakistan tra il 2012 e il 2013: la storia di una nonnina di 68 anni con un ragazzino di 14 uccisi mentre raccoglievano verdure in un orto ha già fatto il giro del mondo. Hrw si è invece concentrato sullo Yemen, sei strike tra il 2009 e il 2013, di cui due con uccisioni “indiscriminate” di civili. L’autrice del report, Letta Tyler, scrive che i risultati del lavoro presentano “una serie di domande cui l’Amministrazione Obama deve rispondere, dagli attacchi indiscriminati alle uccisioni pure quando la cattura era possibile”.
La trasparenza non è una qualità di questa Amministrazione, nonostante le intenzioni promettenti: a maggio l’Amministrazione Obama ha deciso il trasferimento delle operazioni con i droni dalla Cia al Pentagono, nel tentativo di ridurre “l’ombra di illegalità” e porle sotto il controllo del Congresso. Nel famoso discorso sulla strategia di controterrorismo (lo stesso in cui Obama rilanciò l’idea di chiudere il carcere di Guantanamo: è ancora aperto, è stato fatto un documentario con le voci di alcuni detenuti obbligati al nutrimento quando erano in sciopero della fame, soltanto le descrizioni sono agghiaccianti), il presidente disse che gli strike sarebbero continuati soltanto contro persone che rappresentano “una minaccia continua e imminente” per la sicurezza degli Stati Uniti. Ma né Ai né Hrw sono riusciti a determinare questa correlazione nei raid presi in considerazione, tanto che per Amnesty International alcune operazioni possono essere “classificate come crimini di guerra”.
La legacy e la segretezza
Le 97 pagine dell’inchiesta di Human Right Watch contengono le liste dei veicoli o covi colpiti per errore e anche dettagli raccapriccianti, come l’attacco del 17 dicembre del 2009, quando morirono 41 civili (contro 14 membri di al Qaida), compresi bambine e donne incinte, “c’erano brandelli di carne sugli alberi e sui sassi”. Ci sono conclusioni disarmanti, soprattutto quella secondo cui questi attacchi spesso “sproporzionati” “fanno sembrare al Qaida più buona”.
L’imbarazzo negli ambienti liberal è piuttosto diffuso, tanto che il britannico Guardian, che ieri dedicava ampio spazio alla questione, provava a tracciare una distizione tra gli attacchi e le “guidelines” stabilite da Obama: le operazioni della Cia sono sì “covert”, ma non sono certo sconosciute al presidente degli Stati Uniti, ed è surreale il tentativo di dissociare Obama dalle sue stesse decisioni.
Quando Ai parla di crimini di guerra è al presidente degli Stati Uniti che fa riferimento: il Nobel per la Pace dato preventivamente, nel 2009, a un Obama che doveva rilanciare l’immagine dell’America dopo gli anni terribili delle guerre bushiane nel mondo è stato una delle scelte più bizzarre e sciagurate da parte dell’autorevole (sic!) consesso nordico.
di Paola Peduzzi, Il Foglio, 23 Ottobre 2013
http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/10/23/lo-strano-caso-del-nobel-per-la-pace-obama-e-dei-suoi-crimini-di-guerra___1-v-94685-rubriche_c539.htm
* Se osserviamo con attenzione la politica di Obama in Medio Oriente, vediamo che tutto è fuorché pacifica: l'alleanza politica con l'Arabia Saudita (vero e proprio stato-canaglia, foraggiatore del terrorismo sunnita), l'accerchiamento strategico dell'Iran sciita e la stessa guerra-farsa contro al Qaida dimostrano infatti come il vero obiettivo geopolitico dell'imperialismo yankee sia unicamente la sua espansione a Oriente, realizzata attraverso una rete di governi fantoccio o di alleanze improbabili, volte a stabilire la presenza e la supremazia americana nella regione in vista del prossimo confronto politico-militare con la Cina.
Ancora una volta, dunque, la lobby socialdemocratica svedese ha messo in scena la commedia indecente del premio Nobel - questa volta addirittura "a buffo" - la cui natura ipocritamente manipolativa e mediatica sfugge purtroppo ai più.
Quando finalmente qualcuno ci svelerà che "il re è nudo"? (PGZ)