Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere sociale, politico e di attualità, volti a evidenziare e smascherare le mille forme di condizionamento e di manipolazione cui siamo quotidianamente sottoposti, costituendo in tal modo una sorta di pars destruens rispetto alle concezioni e alle idee espresse nella precedente sezione, di cui rappresenta il complemento e l'antitesi, come una sorta di Ombra.

Il navigatore attento non mancherà di trovarvi pensieri e posizioni anche piuttosto antitetici o contraddittori fra loro, secondo un principio di trasversalità intellettuale che ha caratterizzato negli anni la mia ricerca e i miei studi, nonché i molteplici incontri e contatti con personaggi diversi, provenienti da parrocchie e ideologie contrapposte ma tutti animati da un'aspirazione reale e sincera comune.

Questo spiega quindi, in qualche modo, la fondamentale eterodossia di questa rubrica, nonché la sua stessa ragion d'essere: scardinare le coscienze - prima di tutto la mia - per giungere così, forse un giorno, a quella "terra di nessuno" priva di ogni certezza dove ciascuno può ritrovarsi solo di fronte a se stesso e alla verità delle cose.

Può sembrare poca cosa, di fronte alla complessità del reale: ma poiché prima o poi abbandoneremo tutti questo pianeta, meglio prepararci fin d'ora a separarci anzitutto dai nostri schemi mentali.

Ieri, mentre fremevo disperato in mezzo alla strada, inchiodato al suolo, una goccia di pietà cadde dall'alto sul mio viso; non un alito di vento nell'aria, non una nube in cielo… c'era soltanto una presenza. (André Schwartz-Bart, L'ultimo dei giusti, Parigi 1959)

Roma, 13 Settembre 2013

Nichilismo islamista e anarco-nichilismo globale

Categoria: Dissonanze Martedì, 22 Marzo 2016 Scritto da Nicola Ghezzani Stampa Email

UN'ANALISI INTERESSANTE E PUNTUALE SULLA PIU' RECENTE ATTIVITA' TERRORISTICA: DIECI ANNI FA, MA PIU' CHE MAI ATTUALE

di Nicola Ghezzani, Le emozioni negative e il panico, 2005
http://psyche.altervista.org/nichilismoislamico.htm

 

« Ciò che io racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire: l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere raccontata; perché la necessità stessa è qui all'opera. Questo futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono già in ascolto.» (F.Nietzsche, Volontà di potenza, 1901)

 

1. Il velo: una questione simbolica

 

I cambiamenti storici sono sempre annunciati e accompagnati tanto da vasti movimenti sociali, quanto da più o meno sottili slittamenti nell’ordine simbolico. Il simbolo è una “parola d’ordine” che comunica e promuove comportamenti, e il mutamento storico sarebbe impossibile senza intensi e forti appelli in grado di mobilitare sentimenti e azioni.

Sarebbe pertanto un grave errore di analisi – sia in senso antropologico che politico – sottovalutare l’importanza che ha, nelle moderne evoluzioni storiche dell’Islam, il velo posto a coprire volto della donna. Che sia parziale o integrale, come il Chador, o che nasconda in un’unica ombra indistinta l’intero corpo femminile, come il Burqa, l’occultamento della donna allo sguardo dell’estraneo è un fattore simbolico e pragmatico di eccezionale importanza.

In virtù dell’adozione del velo, la donna, non solo come essere umano concreto, ma anche come simbolo, si trova ad essere “segregata” all’interno di uno “spazio sacro”, sottratta alla possibile profanazione da parte dell’altro. Coperta, la donna non può interagire col mondo in altro modo che come forma visibile della proibizione: non può essere vista, non può parlare con uomini, non può muoversi in completa autonomia. Chiusa nella sua cella monastica portatile, essa è, dunque, l’oggetto simbolico maggiormente sottratto alla logica espositiva dello sguardo e dello scambio. Avvolta nel suo velo, separata in virtù di esso come da un muro invalicabile, la donna non è riconosciuta come soggetto dotato di libero arbitrio. Di più: essa diviene il simbolo vivente della negazione del libero arbitrio, il quale, se è visibilmente negato a uno, è in realtà negato a tutti.

Spesso, anche in Occidente, si dice che le donne islamiche, in numero crescente e in modo del tutto spontaneo, stanno “scegliendo” di indossare il velo, sulla base di una consapevole volontà identitaria. Impossibile contestare l’affermazione in relazione a casi concreti; forse per alcune è davvero così. Di fatto però la libertà si misura sulla base del positivo e del negativo, cioè sulla base della possibilità di porre in atto scelte contrarie: se è vero che molte donne islamiche scelgono di indossare il velo, è pur vero che, in molti dei paesi integralisti che dettano le loro leggi anche alla diaspora, tutte le donne che scelgono di rifiutare il velo sono a rischio di perdere la vita.

Ma qual è, dunque, il significato simbolico di questa radicale e, per noi occidentali, impressionante segregazione del corpo femminile?

In senso psicologico e antropologico, in una cultura tribale patriarcale la donna rappresenta il “valore” generico dell’uomo, in quanto essa è il suo bene “universale”: ogni uomo ha diritto a una donna e a una discendenza. Questo diritto deve pertanto essere difeso col sangue, qualora il patto fra gli uomini per il quale ogni uomo ha diritto a una donna venga posto in discussione e minacciato. Una generica “cultura dell’onore”, propria di molte società arcaiche (vedi, per esempio, il mediterraneo “delitto d’onore”) poggia su un basamento tribale, il cui cardine è l’ordine che istituisceil possesso della donna da parte dell’uomo, il diritto da parte sua di ricavarne discendenza, piacere e lavoro. Senza questa “proprietà elementare” la società patriarcale non esiste. 

Il mondo occidentale è invece fondato sul libero scambio delle merci, delle persone e dei valori. Si tratta di una necessità vitale per un ordine come il nostro: un ordine mercantilista, nato in Occidente ma esteso ormai ai due terzi del mondo globale.

Come il dialogo socratico e quello platonico hanno codificato il diritto-dovere alla dialettica, che è poi l’apostasia eretta a sistema, cioè il diritto-dovere di opporre le molteplici opinioni perché la verità più “forte”, ossia quella più inclusiva, possa infine imporre il suo dominio, allo stesso modo le persone sono dotate del diritto-dovere di aumentare la propria libertà individuale.

E’ in questo senso che si comprende la necessità vitale per il mondo occidentale di esplorare, sperimentare, scambiare idee, sviluppare tecniche per prendere possesso della natura, de-costruire la verità per costruirne una nuova, negare ogni assunto autoritario e dogmatico. Con la dialettica, la verità sconfitta e distrutta cede il suo potere (il “consenso”) alla verità vincente, che diviene più forte, ma senza potersi mai arroccare nella posizione inespugnabile del dogma autoritario, pena una giusta e tenace dissidenza.

In rapporto a questo dinamico sviluppo delle idee, le religioni arcaiche si secolarizzano, perdendo il “consenso acritico” tributato in passato alla loro dimensione “sacra” e cedendo di fatto il loro potere alla dialettica delle opinioni (la “laicità” filosofico-politica) e delle tecniche (la “scienza”). Allo stesso modo e per le stesse ragioni, le persone sono libere di esplorare, scrutare, cercare, mettere alla prova le conoscenze, inventare nuove tecniche, cambiare lingua, patria e religione, essere atee e, infine, “innamorarsi”, che significa invaghirsi di una persona sulla base di una scelta svincolata da qualsiasi criterio di opportunità sociale che possa limitare o negare del tutto la libertà individuale.

Il velo imposto alle donne impedisce, dunque, la libertà dell’amore: la possibilità di una scelta arbitraria, basata sulle opportunità aperte del libero incontro. La donna non può scegliere – se comunica con un uomo è accusata di adulterio o di prostituzione e, secondo le leggi locali più dure, minacciata di lapidazione – e, allo stesso modo, non può essere scelta – l’uomo che la osserva o le rivolge la parola, soprattutto se straniero, può a sua volta essere incarcerato e ucciso. Sulla base di queste procedure normative, si blocca, ai fini della sopravvivenza del regime tribale patriarcale, la libera circolazione di una metà del genere umano. Ma ancora di più: si finisce per inibire il principio stesso della libera circolazione delle persone, su cui si basa l’ordine mercantile degli scambi, l’ordine filosofico-scientifico della verifica dei dogmi e della “conversione” ideologica e, infine, l’ordine sentimentale dei legami d’amore.

 

 2. Linee di un antagonismo globale

 

Nondimeno, il mondo va ormai globalmente nella direzione disegnata dalla filosofia greca, dal diritto romano, dai trattati mercantili e dal diritto internazionale, dall’impresa tecnico-scientifica e dal “romanticismo” amoroso. La poderosa onda antropologica nata sulle spiagge greche del quinto secolo avanti Cristo, la cui sintesi economica è il capitalismo, va annullando le strutture antropologiche tribali, coi loro correlati sistemi economici.

L’aumento vertiginoso delle libertà e delle potenzialità individuali e il parallelo disfarsi delle reti familiari, mentre in Occidente è stato contenuto – almeno fino a ieri – da un simmetrico sviluppo dei poteri dello Stato, altrove, dove lo Stato non è mai esistito, non trova ostacoli alla progressiva esplosione dei legami tradizionali. Da qui nascono, da una parte la disgregazione caotica dell’Africa, dall’altra la resistenza opposta dai paesi di religione islamica poco o punto secolarizzati, nei quali si è sviluppata una versione radicale dell’Islam sconosciuta ai paesi islamici più vicini alle tradizioni occidentali.

Sulla base di questa mia succinta analisi, penso di poter fare una previsione di lungo respiro e di ordine generale. Mentre i paesi simil-occidentali come la Turchia, il medio Oriente, il Maghreb, l’Iran e lo stesso Pakistan evolveranno in direzione di nazionalismi impastati di radicalismo islamico, ma di fatto abbastanza integrati nel sistema degli scambi internazionali; i paesi islamici a bassa rete di infrastrutture andranno incontro a processi di disgregazione sociale e politica, come quelli già in atto in Afghanistan, Iraq e in gran parte dell’Africa, producendo una miriade di movimenti anarco-nichilistici incapaci di integrazione, affascinati da una dogmatica della superiorità morale o razziale sul resto del mondo, proprietari della sola vita dei propri membri. Essi perseguiranno il fine di vivere con l’atto della ribellione e la prospettiva della morte l’affermazione della propria superiorità morale e antropologica sull’intero complesso del mondo a modello occidentale. Sottrattisi alla meta, per loro ormai irraggiungibile, della ricchezza economica e del “progresso” tecnico-scientifico, verso la quale si affannano popoli più “conformi”, questi movimenti radicali vivranno nell’ottica di una ribellione anomica totale. Troveranno un loro peculiare riscatto sostituendo alla meta universale della maggior potenza economica quella della superiorità morale militante e della dignità nella morte. Agevole immaginare il rischio che ciò comporterà per gli equilibri della società futura.

Il velo sul volto delle donne significa, allora, in questa versione radicale dell’Islam, che l’interiorità degli uomini possessori di quelle donne si sottrae al mondo; nasconde i propri pensieri dietro una cortina impenetrabile; oppone frontalmente la atemporalità del sacro e della morte – la sottrazione allo scambio – alla dinamica trasformativa della storia.

Il velo che separa la donna dagli altri segrega il Sé nascosto dell’uomo che possiede quella donna (e il Sé – il “noi” – della comunità degli uomini che possiedono quelle donne) relegandolo e svelandolo in uno spazio sacro il cui soggetto dominante è la manifesta potenza di Allah. La singola donna segregata e l’intera comunità delle donne segregate hanno, dunque, due padroni: nella contingenza terrena, esse sono sottomesse agli uomini che sono i loro possessori (mariti o padri o fratelli ecc.); nella loro dimensione assoluta (sacra), esse appartengono a Dio: Allah, l’Altro assoluto, la cui mera esistenza annienta le pretese egemoniche degli “altri”, gli stranieri, i poco o punto fedeli, l’umanità indegna e priva di sacralità che preme per scoprire il volto e liberare la volontà delle donne; che preme, dunque, perché avvenga lo scambio, quindi la dis-sacrazione. 

L’individualismo occidentale, matrice di una possibile, impura libertà della donna nei confronti dell’uomo e dell’uomo nei confronti delle leggi di Dio (l’apostasia, cioè il “cambiare opinione”) è, dunque, nella versione radicale dell’Islam, il nemico numero uno, fonte di una pericolosa anomia, di un disordine delle relazioni fisiche e metafisiche che attenta alle fondamenta stesse dell’edificio religioso islamico e dell’edificio sociale tribale.

Dunque, nemico numero uno: l’individualismo occidentale; nemico numero due: il mercato globale, che necessita di individui liberi da appartenenze e convertiti alla necessità liberale dello scambio di donne, di beni e di servizi, per movimentare il mondo secondo le linee delle sue intrinseche necessità economiche.   

Pertanto, altra plausibile previsione: il nichilismo islamista diverrà sempre più un movimento globale, fornendo così un modello d’azione a gruppi di opposizione, più o meno armata, al mercato mondiale.Il punto di non ritorno di questa saldatura si avrà quando la donna, per quanto comunque “velata”, quindi oggetto dell’ordine maschile, verrà ammessa alla pratica militante a pari titolo rispetto all’uomo. Segni di questa mutazione in atto sono già chiari in alcuni paesi islamici,in primisin Cecenia e in Palestina. 

 

3. I motivi dell’odio. Che fare?

 

La prospettiva di queste complesse evoluzioni degli equilibri sociali del pianeta è a tal punto inquietante che, forse, il mondo a modello occidentale dovrebbe cominciare a porsi la domanda capitale circa i motivi dell’odio che esso va generando in una quota crescente della popolazione mondiale. La risposta a questa domanda non è remota o inaccessibile. E’ un dato di fatto che il mondo a modello occidentale, soprattutto in questa fase di vorticosa e caotica espansione, non solo va sradicando le culture autoctone, per sostituire prodotti industriali di consumo a beni conviviali tradizionali; ma, allo stesso tempo, va distruggendo le reti parentali e civiche locali; va portando ovunque una generalizzata “riduzione in schiavitù”, nella quale anche il ricco si riconosce ormai ricco di soli beni di produzione industriale; va fomentando un individualismo cinico e sfruttatore; va espropriando i popoli di se stessi, nella misura in cui esporta non già democrazia, ma mercato, cioè privazione sistematica di quei beni naturali costituiti un tempo dalle risorse endogene e dai legami parentali tradizionali.

Forse il mondo a modello occidentale dovrebbe rallentare la sua corsa e mirare a creare una economia di relazioni piuttosto che una economia di soli oggetti. Poiché la distruzione delle solidarietà conviviali è – assieme alla distruzione ecologica – il costo più grave che impone al mondo, è proprio da lì che esso dovrebbe ripartire, dotandosi del coraggio di correggere per tempo il proprio modello. E nel farlo potrebbe giungere persino a una mediazione con quello che, in questa fase storica, appare come il suo “peggior nemico”: il mondo islamico che, a titolo di esperienza di punta, potrebbe essere incoraggiato a creare organizzazioni internazionali e reti locali intese al microcredito, all’economia solidale, alla realizzazione di infrastrutture, alla promozione culturale, alla creazione di micro-economie locali funzionanti. Incoraggiato, dunque, a ricreare in piena autonomia quelle reti di ricchezza locale conviviale che il mercato globale ha distrutto, sottraendosi così alla sirena mortale dell’anarco-nichilismo.

L’Islam ha tutte le caratteristiche positive per uscire da una logica nichilista e fare una buona concorrenza alle organizzazioni solidali cristiane o laiche del mondo occidentale. Per farlo nel modo più adeguato, tuttavia, non potrà (e comunque non dovrebbe) privarsi dell’apporto femminile, pena il ritorno in quel rifiuto dello scambio che ha le sue radici più profonde nella possessività esercitata sulla donna, quindi nel suo occultamento sociale. Liberazione della donna cui però dovrebbe essere fatta coincidere la parallela costruzione di reti solidali, tali da sottrarre la popolazione a quellaanomia socialeche già Durkheim aveva riconosciuto al cuore della nostra società e che è ora possibile vedere “esportata” col mercato globale in ogni parte del mondo.

In quest’ottica, l’Islam potrebbe tornare ad essere matrice di civiltà solidale piuttosto che motore di una crescente disgregazione anomica e anarco-nichilista della società futura.  

Ammetto che questa mia idea possa apparire ingenua; in realtà è solo una messa in prospettiva futura di piccole realtà locali già presenti qua e là nel mondo.


 Nicola Ghezzani,
Le emozioni negative e il panico, 2005
http://psyche.altervista.org/nichilismoislamico.htm