Questa rubrica contiene articoli e interventi miei o altrui a carattere culturale, artistico e spirituale, volti a definire dei possibili spunti di ricerca e di riflessione nei diversi campi del pensiero umano, come una sorta di pars costruens intorno ad argomenti di particolare interesse, in essa variamente rappresentati: i miei sono firmati tramite data e indirizzo web a fondo pagina, gli altri hanno l'indicazione dell'autore o del sito relativo subito dopo il titolo.

L'importanza della cultura e dell'arte nella ricerca spirituale del nostro tempo appare del resto centrale per la formazione di una coscienza individuale e collettiva, poiché ci fornisce un'immagine chiara di ciò che pensano, dicono o fanno gli esseri umani intorno a noi: dopodiché, fermarsi a tal punto e accontentarsi di ciò può essere inutile e fuorviante, poiché ci dà l'illusione che una comprensione mentale della realtà sia di per sé sufficiente a cambiarla - il che non è vero, come ben tutti sappiamo.

Ma senza un'analisi a monte e uno studio condotto anche sul piano intellettuale non è comunque possibile andare molto lontano, perché si rischia di rimanere inchiodati a banalità di ogni tipo, di cui il nostro tempo è un esempio: quindi è auspicabile unire fra loro la mente e il cuore, la fede e la scienza, l'intuizione e il pensiero per dedicarci umilmente alla ricerca interiore, senza pregiudizi né veti posti a sbarrarci la strada.

E' questo infatti lo scopo di questa rubrica: per essere pronti ad agire, quando il momento verrà.

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni. (Ezra Pound)

Roma, 13 Settembre 2013

www.pierluigigallo.org

Persian Surgery Dervishes

Categoria: Risonanze Martedì, 26 Aprile 2016 Scritto da Pierluigi Gallo Ziffer Stampa Email

Io sono lo Ieri, l'Oggi e il Domani, il mio nome è Mistero (oracolo di Iside a Menfi)


Andai a sentire Terry Riley quando venne a Roma negli anni Settanta, insieme a mio padre: fu un concerto lunghissimo, fino a tarda notte, quattro-cinque ore di minimalismo underground in zona centro, o forse a Piramide.

Papà come al solito mi accompagnava in disparte, interessato al mio mondo ma senza troppo capirlo, consapevole che quelli erano anni di piombo, sì, ma anche di opportunità e relazioni: quanto a me, tutto ciò mi interessava ben poco, innamorato com'ero dell'incantesimo minimal che Terry Riley, da solo, era riuscito a creare con le sue tastiere elettroniche.

Splittare il suono in un deelay ipnotizzante, che trascini con sé la coscienza profonda e la costringa a centrarsi: questa era allora l'unica cosa che ero riuscito a capire di questo strano folletto, capelli lunghi e barbetta, che m'incantava coi suoni e coi toni dei suoi well-temperated keyboards, malgrado le bombe e le stragi di quella prima repubblica…

Questa ricerca del centro, del resto, era la vera cifra nascosta di una creatività yankee style, ben diversa in realtà dalla psichedelia alllucinata che fin dai tempi di Woodstock aveva avvolto e travolto la gioventù americana, senza né arte né parte, senza né casa né patria, senza né dio né famiglia, tutta protesa a tagliare per sempre ogni radice passata per rimanere così – finalmente - orfana e vedova del mondo intero, e potersi lanciare nel nulla.

Non così, non così ero io in quei giorni tremendi, giacchè m'immergevo guardingo entro regioni deserte, ove la cosa migliore che mi potesse accadere era di non incontrare nessuno - niente da dire e niente da fare - lontano da tutto e da tutti nell'isolata coscienza di una separata realtà.

Ma tutto ciò poco importa: quando le note di Persian Surgery Dervishes incominciavano a espandersi e a fluttuare nell'aria, tutto ritornava al principio, e le affermazioni e i pensieri lasciavano spazio alla musica, e il razionalismo spariva.

Cinque ore di frequenze e di suoni, di bordoni e di patterns, di silenzi e di attese, che si succedevano lente nella notte romana: povero padre era il mio, costretto a una tale corvée da questo figlio un po' matto, che invece di andarsene al pub con gli amici si rinchiudeva in cantina ad ascoltare il futuro!

E così, alla fine dell'estenuante performance (non troppo estenuante, tuttavia, perché centrata e centrante), lui di sfuggita mi disse: Non molto ho capito di cosa vuol dire, ma non mi è dispiaciuto!, dimostrando così un'apertura mentale disponibile e pronta, che rappresenta a tutt'oggi anche il mio metro interiore verso le diversità di ogni tipo, nel tentativo affannoso di riuscire a distinguere – e correttamente discernere – cosa sia giusto e sbagliato in questo mondo allo sbando.

E Terry Riley, con lui, mi ha insegnato che "l'altro", il diverso e l'altrove, non sono concetti esteriori o lontani, ma interiori e vicini, più vicini del nostro stesso occhio, nascosti nel profondo del cuore e della nostra esistenza: e per raggiungerli ed entrarvi in contatto non dobbiamo fuggire noi stessi, ma ritrovarci e "tornare" (ebraice: teshuvà), scoprendo e giungendo a quel "centro di gravità permanente" intorno cui tutto ruota, come nel ciclo continuo di questo samsara.

Ritorno al centro, alle fonti, alle sorgenti o alle origini: comunque e sempre un ritorno, come disse il profeta - "ritornate!", e ritornarono in sé.

 Roma, 27 Aprile 2016
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