Totalitarismo

 

1. Il mito della terra senza il male

LINEAMENTI DI ESCATOLOGIA MARXISTA

di Manuel Garcia Pelayo


Il mito politico è un'organizzazione di immagini capaci di evocare istintivamente
tutti i sentimenti che corrispondono alle diverse manifestazioni della guerra intrapresa;
(…) è l'insieme del mito che conta, (…) non è quindi di alcuna utilità ragionare,
(…) esso è nell'insieme identico alle convinzioni di un gruppo.
 (George Sorel, Riflessioni sulla violenza, Cherbourg 1906)

 

(...) Per marxismo militante non intendiamo soltanto la dottrina di Marx, ma un complesso di rappresentazioni che, basandosi su di essa, sorgono dalle lotte proletarie. Niente di più lontano dal pensiero di Marx dell'idea che il suo sistema accolga componenti irrazionali e irreali. In questo senso, egli si preoccupa giustamente di contrapporre il suo socialismo "scientifico" al socialismo "utopistico" dell'epoca anteriore. (…) Ma niente di tutto questo annulla il fatto che lo sviluppo razionale del marxismo è ispirato ad immagini e impulsi irrazionali, e che precisamente questo è stato il motivo psico-antropologico per il quale il marxismo attecchisce fra le masse, rivestendosi di semplificazioni e volgarizzazioni più o meno riuscite di complesse teorie marxiste.

Fra le risonanze di vecchi miti archetipici accolti nel quadro scientifico marxista si incontra quella del "regno finale". La storia intera si riassume in una lotta, in cui l'unica cosa che cambia sono i soggetti ma non il fatto della lotta stessa. Questa lotta è inerente alla realtà storica, giacché si manifesta in un processo dialettico in cui ogni nuova situazione genera necessariamente la contraria, finché nella tappa finale si cancellano tutti gli antagonismi. Di conseguenza, la storia è predeterminata nella sua finalità e nella sua struttura, non per un piano divino ma per una ragione immanente ad essa e accessibile all'intelligenza umana appena se ne sia scoperta la chiave. Si può affermare che nel corso della contesa il bene sta da una parte e il male dall'altra; ma le strutture sociali e gli avvenimenti storici sono un bene o un male non in base a un riferimento a un padrone trascendente, bensì al fatto che siano adeguati o no alle forze progressiste della storia. Ricapitolando, è bene quel che, marciando d'accordo col tempo, collabora con il suo adeguato sviluppo in forme culturali e sociali che costituiscono le tappe necessarie per arrivare alla finale cancellazione di tutte le contraddizioni della storia, le quali si riassumono nella contraddizione radicale fra l'essenza umana dell'uomo e la sua esistenza infraumana; in cambio, è un male quel che andando contro il tempo cerca di mantenere delle forme che allontanano la soluzione finale e totale dei problemi. Il complesso della dottrina, quindi, rimane dentro la teoria del progresso, ma il progresso non consiste qui in un apporto pacifico di risultati raggiunti dalle generazioni precedenti, bensì è accompagnato da una lotta permanente in cui, di volta in volta, è inevitabile il fenomeno della rivoluzione che opera come "levatrice della storia". Nel folklore proletario questa teoria è arricchita da immagini come (…) la Comune di Parigi, (…) la corazzata Potemkin, l'assalto al Palazzo d'Inverno, ecc., che contribuiscono alla mobilitazione mitica delle masse per la lotta.

Tutta la storia è stata la storia della lotta di classe, come risposta dell'uomo alla sua esistenza inumana, ma le condizioni che giustificano la lotta non sono mai state così profonde come in quest'epoca. Con accenno neoromantico Marx indica nel Manifesto la funzione deleteria esercitata dall'economia capitalistica che "ha rotto tutte le relazioni feudali, patriarcali e idilliche. Ha distrutto senza pietà i pittoreschi vincoli feudali che legavano l'uomo ai suoi naturali superiori e non ha lasciato altro legame fra uomo e uomo che il mero interesse e l'insensibile pagamento in contanti. Ha affogato nelle gelide acque del calcolo egoista il culmine dell'esaltazione pietosa, l'entusiasmo cavalleresco, la dolcezza delle abitudini campagnole… Ha spogliato del loro alone sacro tutte le attività sino ad allora riverite e considerate con pietoso rispetto. Ha trasformato in salariati il medico, il giurista, il dotto, il poeta, l'uomo di scienza". Insieme con questi diabolici effetti distruttori il capitalismo ha condotto la classe operaia ad una situazione infraumana, giacché essere uomo significa autodeterminarsi e i proletari invece non hanno autodeterminazione né vivono incentrati in se stessi, ma vivono alienati alle esigenze del processo di produzione delle merci, donde deriva un'altra serie di alienazioni; l'uomo, subordinandosi alle cose, è stato "cosificato", non conta cioè come personalità ma come fenomeno naturale, come pura forza di lavoro: la sua necessaria sottomissione alle leggi ferree dell'economia lo obbliga a condurra un'esistenza animale, percependo, con la vendita della sua forza di lavoro, non più del necessario per mantenersi e riprodursi. L'uomo, quindi, è stato spogliato della sua qualità umana.

Ma giustamente una situazione tanto inumana è la dimostrazione che il tempo è maturo e che la storia è in procinto di liquidare condizioni tanto deteriori, cedendo il passo al recupero dell'umanità perduta. Questa ferma speranza non si basa sulla rivelazione profetica della divinità, ma sulla scoperta filosofica delle condizioni reali della società. Le cose si sono fatte radicali, sono giunte alle radici e "la radice dell'uomo è l'uomo stesso" (Marx, Il materialismo storico, Lipsia 1932); perciò nella formazione di una classe "con catene radicali", che non è una classe propriamente parlando – dato che non possiede ciò che fa di un gruppo una classe, cioè la proprietà e la cultura -, si fonda la negazione della società di classe; dato che questa classe è universale, in quanto la sua sofferenza è universale, rappresenta la via di liberazione universale; dato che non è una classe che rivendichi la restaurazione di un diritto di fronte a un torto determinato, dato che le sue condizioni sono espressione dell'ingiustizia in se stessa, essa non opera a titolo storico, ma a titolo umano, cioè metastorico. Di conseguenza, ciò che è in questione non è la forma storica all'interno di un eone, ma l'eone in se stesso; quel che è in questione, per adoperare le parole esatte dello stesso Marx: "è la dissoluzione effettiva di quest'ordine universale". Secondo le vecchie concezioni mitiche, le condizioni dell'umanità, nella misura in cui la storia cammina verso la sua fine, si fanno tanto miserevoli che non c'è più possibilità nell'eonepresente, per cui bisogna sconvolgerlo. Lo stesso avviene nella versione marxista, giacché il proletario non può emanciparsi senza distruggere le condizioni che rendono possibile e persino necessaria la servitù dell'uomo; essendo il proletario  "la piena perdita dell'uomo… si può recuperare soltanto con il pieno recupero dell'uomo". Così come nei vecchi miti la dottrina era rivelata dalla divinità e realizzata dai santi e dagli eletti, così ora "la testa di questa emancipazione è la filosofia e il suo cuore il proletariato" (Marx, op. cit.), collocato in una specie di stato di santità per la profondità e l'universalità della sua sofferenza, stato di santità che, sia detto di passaggio, gli è stato riconosciuto da certi gruppi delle classi elevate, dominate da una specie di coscienza colpevole.

L'emancipazione da una situazione così inumana non può essere altro che il recupero, da parte del comunismo, dell'umanità perduta, speranza che non sembra fondarsi sulla fede profetica ma sulla certezza scientifica, la quale permette la conoscenza delle leggi della storia: "il comunismo non è uno stato di cose che debba essere stabilito, né un ideale con cui la realtà debba andare d'accordo. Chiamiamo comunismo il movimento reale che sopprime lo stato attuale delle cose. Le condizioni di questo movimento derivano dalle condizioni attualmente esistenti" (Marx, op.cit.). La concentrazione del capitale e il perfezionamento dei mezzi tecnici ridurranno progressivamente alla disoccupazione le masse operaie; nello stesso tempo il processo di proletarizzazione sarà sempre maggiore, riducendo alla condizione di salariati un numero costantemente crescente di imprenditori, diminuendo in tal modo il potere di acquisto delle masse, finché tutto terminerà in un tremendo Zusammenbruch, in un grande cataclisma, nel quale il disastro economico si mescolerà all'atto estremo della lotta politica dispiegata nella doppia direzione della guerra e della rivoluzione. Le due parti concentreranno tutte le loro forze in questa lotta. Ma "è la lotta finale".

Dopo di essa, e dopo una situazione transitoria costituita dalla dittatura del proletariato, in cui saranno dominate e annientate le forze capitaliste, verrà la società comunista. Marx non si preoccupa di scoprire il funzionamento di questa società, ha avuto cura di non preoccuparsene, giacché questo sarebbe "socialismo utopistico", ma ci dice che essa consisterà nella cancellazione di tutte le opposizioni e di tutti gli antagonismi che hanno lacerato la vita dell'uomo sulla terra; ci dice che questa società permetterà all'uomo alienato di rientrare in possesso della propria umanità; che dissolverà l'opposizione tra l'uomo e la natura e attuerà perciò l'unione del pieno naturalismo col pieno umanesimo; che supererà l'antinomia tra l'obiettivazione e la soggettività, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. Con tutto ciò – e recuperata l'esistenza umana dell'essere umano – il presente eone è cancellato per cedere il passo al regno felice in terra: "i sacerdoti di tutte le confessioni religiose", dice Trotzsky, "parlino pure di paradiso nell'altro mondo, ma noi diciamo che in questo mondo dobbiamo creare un paradiso reale. Non possiamo perdere di vista nemmeno per un momento il nostro grande ideale, il più bello di tutti quelli a cui aspira l'umanità. Ciò che c'è di più bello e di più nobile nelle antiche religioni e nella dottrina di Cristo, si trova incarnato nella nostra dottrina del socialismo" (Trotzsky, Auf zum Kampf gegen den Hunger, Mosca 1918).

Eccetto l'unità fra il naturale e il sovrannaturale – tipica dell'antico mito del regno e, in generale, della visione mitica – tutte le altre fusioni e tutti gli altri superamenti si trovano rappresentati – non in immagini ma in parole cariche di significato – nelle idee marxiste sul tempo che cancellerà la storia di questoeone. Non è neanche una volontà divina o un piano della provvidenza che porterà a termine l'instaurazione di un nuovo regno, ma una ferrea legge storica di cui una versione sono le leggi economiche. Ma con l'annientare se stesso l'eone storico annienterà tutte le sue leggi, fra cui quelle economiche, così come annullandosi le classi si annullerà la società di classe. L'uomo non obbedirà più a leggi obiettive che annichilano la sua soggettività, non sarà più "sotto il regno della necessità ma sotto il regno della libertà". Dato che spariscono gli antagonismi che sono le leggi del movimento storico, sembra che ci troviamo di fronte a una società intemporale.

Le canzoni proletarie, come per esempio L'Internazionale, (…) accolgono il vecchio mito del regno e lo trasferiscono definitivamente nella vita emozionale. Nere tormente e scure nubi impediscono di vedere la verità e la luce, ma, alla fine, giunge la luce e la rivoluzione marcia travolgente. Ipariadella terra si leveranno, benché il dolore, la morte e l'esilio attendano, e si capovolgeranno i fondamenti dell'ordine mondiale, cosicché coloro i quali non sono niente oggi saranno tutto nel futuro. La salvezza non sta negli dèi, nei re o nei tribuni, ma nella stessa classe operaia, che mediante il suo eroismo e il suo sacrificio opererà come redentrice di tutto il genere umano. Si tratta di una dura lotta destinata a distruggere totalmente il passato, ma è la lotta finale, al di là della quale si stabiliranno la pace, la fraternità e la società universale, la cui patria è la terra intera. E così di nuovo, anche se in forma diversa, incontriamo il tema della pienezza delle genti, dello spazio e dei tempi.

Manuel Garcia Pelayo,
Il regno felice della fine dei tempi, in Miti e simboli politici,
Borla, Torino 1970, pp. 42-49



2. Il mito del Reich millenario

METAFISICA DEL NAZIONALSOCIALISMO TEDESCO

di Manuel Garcia Pelayo

 

La vita di una razza, di un popolo, non è una filosofia che si sviluppi logicamente,
e nemmeno un processo che si svolga secondo la legge di natura,
bensì la formazione di una sintesi mistica, di un’attività spi­rituale,
che non può essere spiegata attraverso ragionamenti,
né può essere resa comprensibile da una rappresentazione di causa ed effetto.
(...) Perché il nazionalsocialismo nella sua profondità non è una «pallida teoria»,
ma il sangue, il suolo e la personalità;
esso è, modellato secondo le forme del nostro tempo, la germanità eterna.
(Alfred Rosenberg, Il mito del XX secolo, Berlino 1930)



(...) E così la Germania attese la sua rivoluzione, una rivoluzione autenticamente tedesca che, secondo i suoi teorici, avrebbe potuto tardare persino decenni, ma che sarebbe avvenuta con tutta certezza. L'agognata rivoluzione non avrebbe avuto un contenuto superficialmente politico, come quell'Ersatzo truffa della rivoluzione portata dalla repubblica di Weimar, ma sarebbe stata una rivoluzione totale e profonda, destinata a creare una nuova società, una nuova e luminosa cultura e un nuovo uomo; una rivoluzione che avrebbe instaurato o restaurato – secondo le versioni – l'ordine eterno delle cose; una rivoluzione che si sarebbe irradiata dal centro misterioso dell'anima tedesca, ma che, pur essendo originata dalla Germania, non avrebbe limitato i suoi effetti a questo paese, poiché avrebbe dato all'Europa e al mondo un nuovo principio vitale e con esso un nuovo ordine. La rivoluzione non sarebbe stata soltanto totale e profonda, ma universale e, a quanto si affermava, persino cosmica. Naturalmente, come ogni grande rivoluzione e ogni grande cambiamento storico universale, sarebbe dovuta unirsi alla guerra esteriore. Sarebbe stata in definitiva la rivoluzione che avrebbe posto fine al periodo diabolico e materialista dell'epoca della scienza naturale e della tecnica, in cui l'umanità è degenerata; si trattava, per usare le parole di uno dei suoi partigiani, della "ribellione della vita alla tirannia della materia. Si tratta della distruzione di Lucifero: è questo il senso del nostro secolo" (E.G.Gruendel, Die Sendung der jungen Generation, Monaco 1932). Dopo di che l'uomo occidentale sarebbe stato ricostituito nella sua armonica totalità. Non credo necessario dire altre parole sulla presenza di un motivo mitico tradizionale. Questa rivoluzione tanto misticamente o metafisicamente concepita nelle sue origini ebbe come soggetto storico il partito nazionalsocialista.

La comunità che avrebbe lottato per la rivoluzione fu concepita ai suoi inizi con un carattere puramente spirituale e a volte misterioso, come, per esempio, "la Germania segreta" guidata al momento opportuno dall'"Imperatore segreto", immaginata dal circolo di Stefan George. Ma con Alfred Rosenberg, la cui dottrina ebbe carattere ufficiale nel partito, tale comunità fu concepita come costituita dal sangue ed ebbe un carattere puramente razziale. Ora il sangue, secondo la dottrina nazista, non è un fatto puramente fisiologico, ma qualcosa di misterioso che reca in seno proprietà morali, intellettuali, ecc.; in una parola, il sangue è anche un fatto di natura spirituale che si dispiega in creazioni culturali come la filosofia, l'arte, la scienza, le forme sociali, ecc. Incontriamo dunque il vecchio tema dell'unione dello spirito con la natura, ora ricoperto da una veste pseudo-scientifica. Tuttavia a Rosenberg non interessa l'obiettività scientifica, giacché la sua opinione – seguita da eminenti fisici tedeschi, fra cui il premio Nobel Philippe Lenord – è che non esiste una scienza obiettiva, in quanto essa stessa è creazione e conseguenza del mistero del sangue. L'unica cosa che lo interessa è scoprire il mito - cioè questo centro da cui si irradiano il carattere, lo spirito e i simboli di un uomo o di una comunità – che possa salvare la Germania dalla sua prostrazione e il mondo dal suo caos, un mito che permetta la resurrezione del sangue sparso dai morti tedeschi nella guerra. Tale mito è il mito del sangue e della razza, giacché l'essenza dell'attuale rivoluzione mondiale è radicata nel risveglio dei tipi razziali e, di conseguenza, bisogna opporre agli altri il proprio tipo, bisogna opporre al tipo ignobile il tipo nobile; occorre infine risvegliare qualcosa che costituisca l'espressione della chiamata divina del nostro tempo: "Oggi", dice Rosenberg, "nasce una nuova fede: il mito del sangue, della credenza che con la difesa del sangue si difende al tempo stesso il divino che c'è nell'uomo; credenza che incarna la chiara coscienza che il sangue nordico rappresenta il mistero che ha sostituito e superato i vecchi sacramenti". (Rosenberg, Il mito del XX secolo).  Così, si tratta di "vivere un mito e creare un tipo (umano) e da questo tipo creare lo Stato e la vita" (Rosenberg, Jahrhunderts, Monaco 1931).

Come abbiamo visto, questa comunità non è soltanto una realtà storico-sociologica ma, essendo la manifestazione di un centro profondo e originario, sarà anche il presupposto di una nuova religione che, in realtà, è già data nel mistero del sangue e non aspetta che la rivelazione. Così una nuova religione nazional-popolare (volkische Religion) con il suo "giorno del sangue", con i suoi martiri, con la sua liturgia, con i suoi santi (i grandi creatori dello spirito tedesco), con le SS come "Ordine del Buon Sangue", dovrà sostituirsi alla confusione giudeo-cristiana dei sacramenti, del peccato, della caduta, della salvezza di Cristo, ecc. Infatti il nuovo Reich, la nuova comunità, sarà totale e profonda: tutto passerà attraverso di essa e niente rimarrà ai suoi margini.

Per gli iranici il mondo è una lotta tra il principio del bene e quello del male, per sant'Agostino e per l'agostinismo militante la storia universale è la lotta fra la città di Dio e quella del diavolo, per i marxisti è la storia della lotta di classe, per il mito del sangue la storia intera è la lotta incessante fra la razza aria e le razze semitiche. Tutte le grandi creazioni storiche dall'Egitto o dall'Iran, senza escludere la Cina, sono state compiute da arii sino a degenerare più tardi a causa della contaminazione del loro sangue e quindi del loro spirito, a causa cioè del mescolarsi con altre razze. Non è il caso di riassumere qui le idee di Rosenberg a questo riguardo: diremo solamente che per lui la storia della decadenza greca significa la sconfitta dello spirito apollineo, chiaro, dorico e nordico di fronte allo spirito dionisiaco, all'oscura religiosità dei misteri e alle idee provenienti dall'Oriente. Analogo è il corso della storia umana in cui solo la mescolanza dei popoli può spiegare il radicarsi del cristiamesimo paolino, nuovo trionfo dell'Oriente semitico destinato a spezzare l'Impero. La degenerazione prodotta dalla mescolanza dei popoli continuò nella Chiesa, che dominò e asservì lo spirito germanico tramite i suoi missionari, tramite l'incoronazione degli imperatori da parte del papa, tramite i gesuiti, ecc.

Nelle antiche versioni del mito, la lotta si compie tra il popolo eletto e gli altri popoli, ma nel pandemonium dei popoli ce n'è uno che si trasforma in nemico archetipico e che ipostatizza tutti gli altri. Così, le concezioni medievali distinguono il saraceno come il nemico per antonomasia all'interno del consortium infidelium, al punto che a volte le cronache designano come tali i popoli slavi. In tempi anteriori la "bestia" delle concezioni escatologiche ebraiche e cristiane era Roma, che personificava il mondo dei gentili o pagani. Nella versione nazista del mito i nemici sono i popoli della mescolanza o della degenerazione di sangue, rappresentativi di idee e simboli antigermanici, come il pacifismo, l'internazionalismo, il capitalismo, il bolscevismo, la democrazia, la plutocrazia, Roma, Wall Street, ecc.: ma il nemico archetipico, che riassume tutti gli altri e incarna tutto ciò che il nazismo odia, è l'ebreo, che viene immaginato come un distruttore deleterio, come una volontà perversa che dirige l'intelligenza verso il male; la prova sta nel fatto che a capo di ogni dottrina distruttrice come il marxismo, la teoria della relatività o la psicanalisi, si incontra un nome ebreo; l'ebreo è la tenebra di fronte alla luce, è l'uomo inferiore, cioè qualcosa che somaticamente sembra un uomo, ma che spiritualmente e mentalmente è un feroce caos di passioni sfrenate e orientate alla distruzione, all'avidità, alla malvagità. Ricapitolando, l'ebreo è l'Ariman o il Lucifero del mito nazista, qualcosa che viene spogliato del suo carattere umano per essere trasformato in un'essenza metafisica. All'interno della comunità che si oppone alla rivoluzione del satanismo o potenza distruttrice della storia occupano il primo posto le razze nordiche e fra di queste, come una nuova versione degli eletti e dei santi, il popolo tedesco, lo Herrenvolk o popolo signore, giacché in esso si sono concentrate la purezza somatica e la coscienza della dignità della razza.

La componente catastrofica fu fornita dall'epoca stessa e dall'ambiente spirituale creato dalla teoria di Spengler sulla decadenza dell'Occidente. Di fronte a tale decadenza, l'unica cosa possibile è la lotta ad ogni costo per fondare un nuovo ordine che annienti i germi di dissoluzione e cancelli le contraddizioni del mondo presente. Questo nuovo ordine fu simboleggiato dal III Reich, che succede a II Reich (frustrato) di Bismarck, così come questo era succeduto al I Reich Sacrum Imperium, nell'uno e nell'altro caso con i corrispondenti interregni. (…) Nel suo senso generale, Reich significa la forma storico-politica concreta, originaria e intrasferibile, del popolo germanico, che non può essere espressa adeguatamente con le denominazioni di Regno, Impero o Stato; secondo i suoi teorici, è una forma integratrice unica, totale e profonda, nella cui piena realizzazione consistono l'autentico destino e la vocazione del popolo tedesco.

(…) Questa idea di un terzo regno, aleggiante sullo spirito di esteti e ideologi, si trasformò in una mitologia politica attraverso l'influsso esercitato dal famoso libro di Moeller van den Bruck: Das dritte Reich, un III Reich che, come avverte egli stesso, suscita rappresentazioni nebulose, imprecise e cariche di significato, qualcosa che è una costante aspirazione più che una realizzazione. Secondo l'autore tutta la storia tedesca è piena di contraddizioni, ma, dice, "dobbiamo avere la forza di vivere nelle contraddizioni… di non negarle o respingerle, ma di confessarle e vincolarle". Tale è la missione del III Reich, del Reich unico, giacché non c'è che un Reich come non c'è che una Chiesa; Reich finale, che è una costante promessa mai del tutto compiuta, giacché "è la perfezione che si raggiunge solo nell'imperfezione" (Ibsen, L'imperatore e Galileo, 1873). Ma in ogni caso si tratta dell'unica credenza che offre possibilità di salvezza in questo mondo sommerso, oggi pienamente vittorioso: si tratta di un Reich di pace eterna, per la cui realizzazione bisogna però combattere e che pertanto esige la volontà della sua affermazione.

Come risultato di tutte queste tendenze a cui abbiamo accennato, e che sfociano nelle idee di Moeller van den Bruck, si formò l'immagine di un Reich che avrebbe cancellato un'epoca e ne avrebbe aperta un'altra, un millennio, per usare il linguaggio simbolico. Nel nuovo Reich saranno cancellati tutti gli antichi antagonismi; l'opposizione tra padrone e operaio sarà superata da una nuova comunità e nella forma socio-antropologica del "lavoratore"; si realizzerà una sintesi spirituale fra emozione, volontà e intelligenza; i valori torneranno al loro ordine naturale. Il III Reich non sarà soltanto l'ordine tedesco ma anche l'ordine definitivo dell'umanità nelle cui forme saranno accolti gerarchicamente tutti i popoli sotto l'egemonia dello Herrenvolk o popolo signore, ossia del popolo tedesco o versione pagana del popolo dei santi.

Naturalmente, l'ordine millenario non potrà farsi luce senza una terribile contesa, mescolanza di guerra e di rivoluzione, nella quale sarà in discussione l'essere o il non essere della Germania e del mondo e nella quale, di conseguenza, occorrerà combattere fino all'ultima possibilità, fino a perdere, se necessario, gli uni e gli altri, giacché se perisce la Germania deve perire il mondo. Era questo uno dei pensieri ossessivi di Hitler. Mircea Eliade ci ha dato la chiave di questo atteggiamento suicida ricordandoci il pessimismo della mitologia germanica espresso nella ragnarök, cioè in una "fine del mondo" catastrofica; pessimismo che "comporta una battaglia gigantesca tra gli dèi e i demoni, terminata con la morte di tutti gli dèi e di tutti gli eroi e la regressione del mondo nel caos, anche se dopo la ragnarök il mondo rinascerà rigenerato", giacché i germani mantenevano la concezione ciclica. Tradotto in termini politici – continua Mircea Eliade – voleva dire, più o meno, ciò che segue: "rinunciate alle vecchie storie ebraico-cristiane e resuscitate nel fondo della vostra anima la credenza dei vostri antenati germanici; subito dopo preparatevi alla grande battaglia finale fra i nostri dèi e le forze demoniache; in questa battaglia apocalittica i nostri dèi e i nostri eroi perderanno la vita, e noi con loro: tale sarà la ragnarök, ma un mondo nuovo nascerà più tardi" (Eliade, Miti, sogni e misteri, Parigi 1957). Questa componente mitica motivò più delle altre la condotta di Hitler e dei suoi seguaci.

Manuel Garcia Pelayo,
Il regno felice della fine dei tempi, in Miti e simboli politici,
Borla, Torino 1970, pp. 49-59

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