Antimodernità

 

1. Ritorno alle origini e antimodernità

UNA RIFLESSIONE CONTROCORRENTE SULLA FIGURA E L'OPERA
DI ANTONIN ARTAUD *


di Monique Borie


E io voglio con il geroglifico di un soffio ritrovare un'idea del teatro sacro (Artaud)

 

Il ritorno alle origini era, (…) secondo Artaud, il solo percorso possibile. Non si trattava affatto di pessimismo o di archeologia e neppure di un primitivismo sommario. (…) Era questa, per Artaud, l'unica risposta possibile a una crisi del teatro inserita in quella più ampia di un'intera cultura: la restituzione della verità della vita e del potere del linguaggio necessita una rottura – che il ritorno alle origini radicalizza – con la cultura dominante.

(…) Le culture delle origini sono garanti [infatti] di una scienza salvaguardata, di quel sapere segreto che costituisce, per lui, l'unità degli esoterismi e fonda unacultura diversadiretta contro la razionalità riduttiva e separatrice della cultura occidentale ufficiale. Vigilanza culturale di una tradizione occulta che mantiene, in qualche modo, la bellezza di una visione magica del mondo.

(…) "Pensare l'esoterico come qualcosa di irrazionale e di frastornato è una prospettiva sociologica superata" (Edward Tiraykian,  "Esotérisme et exotérisme en sociologie", in Cahiers internationaux de sociologie, LII, 1972, p.50). Bisogna interrogarsi, al contrario (…), sul senso e sulla portata di quella rivendicazione dell'occulto quale origine dell'esperienza immaginaria e, al contempo, quale vera cultura alternativa.

Contro il pensiero separatore di una cultura scientista e razionalista, Artaud si richiama proprio a quel valore di vigilanza culturale del quale investe ogni tradizione rimasta prossima alle origini. (…) Vigilanza che è anche quella del poeta veggente, guardiano di un segreto sulla conoscenza dei principi delle cose. E forse, quando Artaud ha rotto con i surrealisti, è stato innanzi tutto perché riallacciandosi alla logica materialista della cultura dominante essi rinunciavano a questa vigilanza.

(…) La risposta apportata da Artaud, al di là della crisi del teatro, alla crisi della coscienza moderna, può essere posta a fianco di quelle di Nietzsche e di Bataille, il favore o l'indulgenza dei quali, (…) vanno alle religioni pagane. Artaud è, in ogni caso, tra coloro che – come Nietzsche Bataille– in rottura con la religione istruita, si sono appellati a quella diversa "antropologia" (…) che è l'antropologia pagana.

(…) Se il pensiero pagano può essere attuale è [infatti] in quanto costruzione di una visione del mondo in cui l'individuo definisce diversamente la sua identità attraverso le sue relazioni con gli altri, con il mondo, con le forze invisibili che vengono chiamate dèi. Una costruzione che, orientando lo spazio e il tempo, conferisce senso e limite alla pratica umana, ristabilendo così tutta la forza del simbolico.

(…) Il tentativo di Artaud si può inserire [dunque] nel movimento di ciò che Georges Balandier chiama la "contro-modernità" – quella contro-cultura destinata a un rovesciamento dei valori, attraverso la quale si tenta di sistemare uno spazio in cui sia possibile un altro rapporto con se stessi, con gli altri e con la natura.

(…) Il teatro come messa in opera di un'altra concezione della persona nell'ambito di un rapporto diverso con il mondo e di una pratica differente del linguaggio: tale è [infatti] la rivendicazione d'Artaud. Essa implica il richiamo a una logica diversa, quella logica magico-religiosa che comprende una visione unitaria che non separa i piani della realtà (né nell'uomo, né nell'universo, né nel passaggio dall'invisibile al visibile) da una rappresentazione della forza (presente nel linguaggio come nelle cose come nell'uomo stesso).

Una logica simile, ricorda Artaud, è esistita nel passato perduto della tradizione occidentale, o si è mantenuta nel suo versante segreto ed esoterico, ma, soprattutto, continua a restare viva nelle culture orientali o nei territori amerindiani, rimasti più vicini alle origini. Se Artaud si richiama al passato perduto o ad altrove culturali è [dunque] proprio per fare del teatro uno strumento di contro-cultura. (…)


Monique Borie, 
Antonin Artaud. Il teatro e il ritorno alle origini,
Nuova Alfa Editoriale, Bologna 1994


* In questo interessante studio la figura di Artaud viene presentata come un esempio - più unico che raro - di intellettuale rivoluzionario a 360°, in cui lo slancio profetico del suo pensiero, tipica espressione della corrente surrealista cui apparteneva, si coniuga con un deciso ritorno alle radici tradizionali delle culture antiche ed extraeuropee, secondo una concezione peraltro del tutto estranea all'impostazione progressista del surrealismo coevo che lo portò a rifiutare la svolta marxista compiuta da Bréton - e da questi imposta al movimento surrealista francese - per spostarsi invece su posizioni decisamente antimoderne, che lo avvicinarono al pensiero e all'opera di René Daumal e di René Guénon e che gli valsero, per questo, la definitiva espulsione dal movimento surrealista. (PGZ)

 

 

2. Manifesto dell'Antimodernità

"C'E' CHI DICE NO": TREDICI ANNI FA, MA SEMPRE ATTUALE


di Massimo Fini

Un Modello di sviluppo atroce, sfuggito dal controllo anche di chi pretende di governarlo, ci sta schiacciando tutti, uomini e donne di ogni mondo. Proiettandoci a una velocità sempre crescente, che la maggioranza non riesce più a sostenere, verso un futuro orgiastico che arretra costantemente davanti a noi - perchè  è lo stesso modello che lo rende irraggiungibile - crea angoscia, depressione, nevrosi, senso di vuoto e inutilità. In occidente questo modello paranoico è riuscito nell'impresa di far star male anche chi sta bene (566 americani su mille fanno uso abituale di psicofarmaci). Esportato ovunque, per la violenza dei nostri interessi e quella, ancor più feroce, delle nostre buone intenzioni, il modello occidentale ha disgregato popolazioni, distrutto culture, identità, specificità, diversità, territori, tutto cercando di omologare a sè.

Il marxismo si è rivelato incapace di contenere e di sconfiggere il capitalismo. Perchè non è che una variante inefficiente dell'Industrialismo. Capitalismo e marxismo sono due facce della stessa medaglia. Nati entrambi in occidente, figli della Rivoluzione industriale, sono illuministi, modernisti, progressisti, positivisti, ottimisti, materialisti, economicisti, hanno il mito del lavoro e pensano entrambi che industria e tecnologia produrranno una tale cornucopia di beni da far felice l'intera umanità. Si dividono solo sul modo di produrre e di distribuire tale ricchezza. Questa utopia bifronte ha fallito. L'Industrialismo, in qualsiasi forma, capitalista o marxista, ha prodotto più infelicità di quanta ne abbia eliminata. Per due secoli Capitalismo e Marxismo, apparentemente avversari, in realtà funzionali l'uno all'altro, si sono sostenuti a vicenda come le arcate di un ponte. Ma ora il crollo del marxismo prelude a quello del capitalismo, non fosse altro che per eccesso di slancio.

Su questi temi fondanti però si tace o li si mistifica. Anche le critiche apparentemente più radicali si fermano di fronte alla convinzione indistruttibile che, comunque, quello industriale, moderno, è 'il migliore dei mondi possibile'. Sia il capitalismo sia il marxismo, nelle loro varie declinazioni, non sono in grado di mettere in discussione la Modernità perchè nella Modernità sono nati e si sono affermati. Danno per presupposto ciò che deve essere invece dimostrato.

Stanchi di subire la violenza dell'attuale modello di sviluppo e il silenzio complice o la sordità di coloro, politici ed intellettuali, che dovrebbero farci da guida e invece ci stanno portando all'autodistruzione, in una società che non è più capace di recepire argomenti ma solo  'coup de theatre', abbiamo quindi pensato, recuperando un'antica tradizione, di ricorrere ad un Manifesto in 11 punti che traccia le linee ideali e culturali di un programma che intendiamo portare anche in campo politico, extraparlamentare e parlamentare. Vogliamo passare all'azione.

Levate la testa, gente. Non lasciatevi portare al macello docili come buoi, belanti come pecore, ciechi come struzzi che han ficcato la testa nella sabbia. In fondo non si tratta che di riportare al centro di noi stessi l'uomo, relegando economia e tecnologia al ruolo marginale che loro compete. Chi condivide in tutto o in parte lo spirito del Manifesto lo firmi. Chi vuole collaborare anche all'azione politica, nei modi che preferisce e gli sono più congeniali, sarà l'arcibenvenuto. Abbiamo bisogno di forze fresche, vogliose, determinate, di uomini e donne stufi di vivere male nel  "migliore dei mondi possibili".


Massimo Fini, giugno 2002,
http://www.massimofini.it/

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